lunedì 23 giugno 2008

Andreotti non fu rapito: di Sorrento il carabiniere che lo spiega

La testimonianza di Carlo Russo, per 25 anni al servizio dell'Arma e caposcorta del senatore a vita. "Moro abitava in periferia e la sua scorta aveva meno uomini" (di Valerio Lucarelli)

Se per seguire tuo padre carabiniere sei costretto a girare mezza Italia e vivi più le caserme della tua casa, è difficile volerne seguire le orme. Eppure questa è la storia di Carlo Russo, 25 anni al servizio dell'Arma e a lungo caposcorta di Giulio Andreotti. Nato a Sorrento nel 1944, Russo resisté agli assalti del padre che voleva dissuaderlo dall'ingresso nell'Arma. Ma la Sorrento di quegli anni offriva poche opportunità e Russo decise di arruolarsi. Avrebbe vissuto allo sbaraglio la stagione degli anni di piombo, tra il fuoco delle Brigate rosse e l'inadeguatezza dello Stato. «Nel 1970 – racconta Russo – accompagnai da Roma a Perugia il ministro della Difesa Tanassi per un comizio. Fatta la staffetta, avrà pensato qualche mio superiore, può fare anche la scorta. Nel ´74 gli subentrò Andreotti e continuammo con lui il nostro servizio. Quindi Andreotti non scelse la scorta, la trovò già al ministero». Russo ricorda bene una cena particolare, il 14 marzo 1978. «Cenammo con gli uomini della scorta di Moro alla Camilluccia. Moro e Andreotti definivano gli ultimi dettagli del nuovo governo. Parlammo del servizio che svolgevamo e concludemmo che, in quelle condizioni, le Br sapevano dove, quando e come colpirci, mentre noi non sapevamo dove, quando e come saremmo stati colpiti. Quella sera con noi non c'era il brigadiere Zizzi, che sostituiva un appuntato calabrese che per dispetto era stato mandato in ferie non richieste. Questo gli salvò la vita e la fece perdere al povero Zizzi. Il 16 marzo era al suo primo servizio di scorta. È l'unico che non ho avuto il tempo di conoscere». Dopo il sequestro Moro le Br scrissero: "La sua scorta armata, composta da 5 agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata". «Non eravamo certo uomini dei "famigerati Corpi Speciali". Le Br volevano far credere di essere tanto potenti da annientare uomini degli apparati speciali dello Stato. Era tutta propaganda. Almeno fino al ´77 alcune strutture dello Stato consideravano gli uomini delle scorte degli accompagnatori che non richiedevano alcun addestramento. Non facemmo nemmeno tiro in poligono finché non intervenne Cossiga, che capì come eravamo ridotti e quante sciocchezze qualcuno gli aveva raccontato. Moro e Andreotti viaggiavano su normali auto di serie, checché ne dicano i terroristi. Andreotti usò l'auto blindata solo dopo il sequestro Moro. M'imposi, minacciando altrimenti di non svolgere il nostro servizio». Sul perché i terroristi scelsero di rapire Moro e non Andreotti, Russo ha una idea precisa: «Moro abitava in periferia, mentre Andreotti viveva nel centro storico di Roma. In più la scorta di Moro era composta da 5 uomini e 2 auto, quella di Andreotti da 7 uomini e 3 vetture. Nel ´77 Leonardi, caposcorta di Moro, mi fece leggere una lettera nella quale chiedeva l'auto blindata per Moro. Mi disse che l'aveva consegnata personalmente a un suo superiore che entrambi conoscevamo bene. Ritengo che la richiesta di Leonardi venne sottovalutata. Non voglio e non posso pensare altro. Abbiamo regalato la nostra vita allo Stato. Per cosa? Rischiare la vita, o perderla, non è servito a nulla. I brigatisti tengono lezioni nelle Università. Noi, invece, siamo additati come venduti ai politici scortati. Anche le vedove Leonardi e Ricci e gli altri familiari dei caduti in via Fani si dicono abbandonati dalle istituzioni. Almeno noi possiamo raccontare quanto c'è accaduto». (La Repubblica)

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