lunedì 27 dicembre 2010

«Noi emigranti dei fornelli, ambasciatori della nostra terra»

Cannavacciuolo da Vico Equense al ristorante gourmet in Piemonte

«Quando comunicai a mio padre l’intenzione di fare il cuoco la prima cosa che mi disse fu di fare la valigia». Non ha dubbi su come si raggiunge il successo in questo mestiere Antonino Cannavacciuolo, originario di Vico Equense in costiera sorrentina, che a 35 anni ha già tagliato buona parte dei traguardi che caratterizzano la carriera di uno chef di successo. La sua storia ricorda tanto quella di Luigi Spasiano, suo coetaneo e chef emigrante della grande ristorazione. Antonino Cannavacciuolo ha conquistato il successo nel territorio nazionale. Oggi, infatti, il ristorante Villa Crespi sulle rive del lago d’Orta in Piemonte, è nel cuore dei gourmet di tutto il mondo. Quale è stato il tuo percorso professionale? «Finita la scuola alberghiera, ho seguito le indicazioni di mio padre e di un mio insegnate cominciando una serie di esperienze in Italia ed in Francia. Vedere, capire, approfondire e poi tentare una mia interpretazione di cucina: questo è stato il percorso delle origini durante il quale ho realizzato che la passione e la volontà devono essere necessariamente accompagnate da disciplina e sacrificio. Senza motivazioni tanto forti sarebbe impensabile stare lontani dalla propria terra». Quindi per chi vuole fare il cuoco è ancora indispensabile lasciare la propria terra? «Ci sono molti modi di fare questo mestiere, ma chi aspira a confrontarsi con le grandi cucine del mondo non può pensare di farlo restando in un unico posto, per quanto fortunato sotto il profilo gastronomico possa essere, come nel caso della Campania. Non si tratta di fare gli emigranti, ma è necessario capire che per svolgere questo lavoro è indispensabile conoscere le diverse tradizioni, anche quelle che in apparenza sembrano le più lontane dalla nostra cultura di origine». Dunque l’esperienza diretta come completamento delle conoscenze scolastiche? «Sicuramente sì, ma non solo. Non bisogna dimenticare infatti che il successo della cucina italiana nel mondo è anche merito dei tanti giovani cuochi che sono andati fuori per imparare e che sono rimasti nei diversi paesi svolgendo il ruolo di ambasciatori dei nostri prodotti e delle nostre ricette. E questo è accaduto anche a me che ho portato i sapori ed i profumi del sud in questo angolo di Piemonte». Due stelle per la guida Michelin, tre forchette per il Gambero Rosso, tre cappelli per l’Espresso: qual è il prossimo traguardo da raggiungere? «Sembrerà strano ma l’aver aperto un mio ristorante, che poi è anche albergo, a poco più di vent’anni, se da una lato è il coronamento di un sogno per un ragazzo, dall’altro mi lascia poco tempo per andare in giro e proseguire in quel percorso di esperienze e di conoscenze della cultura gastronomica dei diversi paesi». (Francesco Aiello il Mattino)

1 commento:

Anonimo ha detto...

complimenti da vico e i suoi casali. sempre meglio questi nostri compaesani con la bandiera che sventola alta.