venerdì 27 novembre 2015

Marco, chef di frontiera: «Io, salvo a Parigi. Resto a lavorare sulla mia torre Eiffel»


Fonte: Salvatore Dare da Metropolis

Vico Equense - «Quando ho visto spegnersi le luci della “mia” Torre Eiffel ho capito che il mondo era cambiato. Certo, il rischio di restare uccisi c’è sempre, la Francia si è esposta molto nella lotta al terrorismo e quello che è avvenuto mi ha sconvolto. Ma non scapperò via, almeno per ora. Dobbiamo rialzare la testa, tutti insieme». La sera del maledetto 13 novembre era al ristorante, con un’amica, a un tiro di schioppo da Les Halles, il quartiere di Parigi assediato dai terroristi e a soli 5 minuti dal Bataclan, il teatro della morte. Aveva finito di lavorare da un paio d’ore e voleva passare una serata di relax. «Ma poi è scoppiato l’inferno». Quello degli spari, delle esplosioni, delle bombe, della morte. Cadaveri in strada. Sangue ovunque. La paura di finire sotto i colpi dell’Isis. «E la voglia di tornare a casa presto e dire alla mia famiglia che stavo bene, che ero vivo». Giovane ambizioso, appena 25 anni, cuoco in erba: Marco Di Martino, pochi mesi fa, ha avuto il coraggio di lasciare la sua Vico Equense per fare carriera. E’ riuscito a catturare le simpatie del maestro dei fornelli d’Oltralpe Alain Ducasse che l’ha messo a lavorare da due settimane nel celebre Le Jules Verne, il ristorante stellato aperto nel cuore della Torre Eiffel, al secondo piano.


«Un’esperienza straordinaria - spiega il giovane -, che l’Isis di certo non fermerà». Sì, perché lui, Marco, non vuole lasciare la Francia nonostante papà Giosuè e mamma Silvana gli hanno chiesto di tornare a casa. Anche perché non è la prima volta che viene sfiorato dall’incubo dei terroristi: «Quando ci fu la strage a Charlie Hebdo dello scorso gennaio - racconta il cuoco - stavo lavorando in un locale a pochi metri dalla redazione del giornale». Pure in quel caso, per fortuna, ne uscì illeso. Quasi un segno del destino, un’ombra di pericolo che gli ha sfiorato l’anima. Marco sa bene di essere un miracolato, «perché quando la furia omicida prende il sopravvento non si sa mai come va a finire». Seduto al ristorante, quando sui social si è sparsa la voce dell’attacco dei terroristi, non ci ha pensato su due volte a scappare. Una fuga disperata verso casa, vicino la municipalità di Parigi. Un cammino tortuoso con polizia ovunque, elicotteri e una folla impazzita che ha trovato riparo in “porte ouverte”, la catena solidale delle famiglie che hanno spalancato i portoni per chi non riusciva a tornare a casa. «Una sensazione indescrivibile - spiega il 25enne -. Si dice sempre che i francesi sono snob. E invece ciò che ho visto l’altra notte in strada è qualcosa di straordinario, che fa da contraltare alla barbarie, alla metropolitana chiusa e alla rabbia per le morti di innocenti». Eppure, inizialmente, si era capito poco. Solo tanta confusione: «Però - rincara la dose il cuoco - riflettendoci a mente fredda qualcosa che fa pensare c’è... Ho visto in giro, già nel pomeriggio, qualche ora prima degli attacchi, tante forze dell’ordine, alcuni agenti in borghese, posti di blocco. Non so se ciò fosse inserito in un dispositivo di sicurezza di routine attuato per un’amichevole sì importante come Francia-Germania ma comunque un’amichevole... Non so, ho questa sensazione». L’amarezza è tanta: «Per qualche notte non ho dormito e non solo per il baccano delle sirene. Sotto casa mia si è fermata una donna a piangere. Mi sono affacciato ed ho visto che era la mia vicina. Aveva perso il marito, durante uno degli attentati. Mai come questa volta ho provato un senso di impotenza. Chiudere le frontiere? Hollande doveva fare qualcosa. Spero solo che tutto finisca presto e che la luce torni a far splendere la Torre Eiffel riconsegnando al mondo intero un simbolo di libertà». Rientrare in Italia? «No, riprendendo a lavorare possiamo lanciare un segnale vero di riscatto contro il terrore. Certamente il rimpatrio è un’ipotesi che ho preso subito in considerazione. Ma su certe cose è meglio ragionare e far smaltire le tossine del momento. Poi, se davvero dovesse succedere ancora qualcosa in futuro, a quel punto non ci penserei su due volte a rifare in tutta fretta la valigia, salutare i sogni di gloria e riprendere l’aereo per l’Italia». Quel volo, insomma, per ora può ancora attendere. «Parigi è la libertà, l’amore, è tutto. Il popolo francese saprà sicuramente fronteggiare quest’ondata infernale di terrore perché - conclude Marco Di Martino - la Francia è davvero un grande Paese e ha tutto per restare unita. Anzi, lo sta già dimostrando, fin da subito».

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