venerdì 9 settembre 2016

Quando andavamo a “bacchiare”

di Filomena Baratto

Vico Equense - Ieri un amico mi ha fatto ricordare quando si “andava a bacchiare le noci”, quando anch’io da bambina partecipavo alla raccolta delle noci. Per me era una festa e non una fatica! Questo è il periodo delle noci e sono ritornata con la mente a quando eravamo bambini, ad Avigliano, terra della mia infanzia, con grande nostalgia. Dai primi si settembre a tutto ottobre partiva la raccolta delle noci. Nessuno era escluso dai lavori dei campi, eravamo una grande famiglia, un gruppo ben assortito e molto unito. Oggi manca, nei rapporti, quella complicità, quello stare insieme che faceva bene al cuore e alla mente. Noi bambini pensavamo a giocare, ma avevamo il dono dell’ubbidienza, ascoltavamo i grandi senza ribattere e se c’era bisogno di noi eravamo di aiuto. Oltre a sentirci utili e servizievoli, giravamo per i campi dando il nostro contributo divertendoci. E poi conoscevamo i tempi e le fasi di ogni lavoro, a contatto col terreno apprendevamo tutto della vendemmia, della bacchiatura, della semina, del raccolto, della mietitura. Sono azioni che dovrebbero conoscere i più piccoli, insegnano il valore del tempo, la pazienza, e la lentezza dei movimenti porta a riflettere, educa il cuore ai sentimenti, ci fa provare quello che non si può spiegare. Nel lavoro dei campi ogni giorno c’è un cambiamento, un miracolo, la natura risponde positivamente agli interventi dell’uomo e chi si abitua a vivere il ritmo di crescita delle piante, non sa più farne a meno. Allora, così come adesso, si andava a bacchiare le noci con alte pertiche e scala. Mi piaceva guardare verso l’alto mentre il nonno picchiava forte sui rami facendo cadere i frutti al suolo.
 
Qualcuna cadeva in testa e intanto riempivo il cesto e il grembiule per poi correre a svuotarli nei sacchi o nei recipienti più grandi. Eravamo tutti a testa china a raccogliere noci, mentre gli alberi oscillavano al tocco delle pertiche come dei saltimbanchi per come gli scompigliavano le chiome. I frutti pesanti cadevano giù avvolti nei verdi malli mentre io fissavo il nonno per paura che potesse cadere! Che emozioni! Intanto giocavamo a tirarci le noci, a buttare più in là quelle non buone, a farci dispetti, a vedere chi ne raccoglieva di più mentre le nostre povere mani diventavano sporche e nere. Non c’è cosa più bella nel ricordo che riascoltare le voci di quei bambini. La grande fatica era appena cominciata. Dopo la raccolta si passava alla smallatura: togliere il frutto dal mallo, un lavoro non proprio piacevole. Ci si poneva a cerchio davanti a un grande recipiente, seduti su piccole sedie o pezzi di legno, con grandi sacchi sulle ginocchia a mo’ di grembiule e ciascuno puliva le sue noci facendole cadere lì dentro. Ci alzavamo solo quando avevamo finito, stanchi ed esausti. Mentre si lavorava si chiacchierava, si scherzava, gli adulti raccontavano fatti e storie e noi piccoli ad ascoltare. Ricordo le risa delle donne a cominciare da mia nonna, tutte rosse in viso, belle tonde, allegre, mai scontrose o arrabbiate, serene, di una serenità d’altri tempi. Erano azioni conosciute e amate, erano riti a cui non ci si poteva sottrarre, era un omaggiare la terra che ci dava i suoi frutti. E intanto si mangiava. Si spaccavano i malli, si rompevano i gusci e si spellavano le noci fresche facendole scricchiolare sotto i denti. Nel terreno portavamo di tutto, anche il pane e piccoli spuntini, e chissà che dalle tasche non sbucavano dei pezzi di formaggio. I grandi avevano sempre qualcosa di buono da darci e ci alternavamo tra il gioco, il lavoro e il piluccare. Immergermi in quel mondo con tutte le persone di un tempo a cominciare da mio nonno, rimasto nei miei ricordi come un eroe, ridona una grande serenità. Scorgevamo i sensibili mutamenti dell’aria, conoscevamo i profumi della terra, l’aspro del mallo spaccato, il fresco dell’aria che sapeva di erba tagliata, e poi gli odori di tante cose buone che si appoggiavano nei paraggi come le insalate di pomodori, il pane duro bagnato, qualche bottiglia di vino, grappoli d’uva rubati alla distrazione dei grandi, specie se quella corniola, frutti tirati giù dagli alberi e mangiati. A sera, dopo la bacchiatura, eravamo sporchi e stanchi, lo si leggeva negli occhi e nella lentezza dei movimenti che avevano perso lo sprint mattutino, magari di lì a poco saremmo andati a letto, ma sazi di giochi e di vita nei campi. In quel prato c’era magia, rimasta in noi ancora oggi se ne ricordo e scrivo con immenso piacere. E il giorno dopo la festa continuava stendendo le noci al sole sugli attici sopra le stalle. Qualche volta mi ci rotolavo sopra, facendo arrabbiare i nonni, ma quel suono giocoso era invitante. Provate a mettere tante noci in un cesto e scuotetelo, è come avere il suono del mare. Mi rotolavo sulle noci immaginando di nuotare. E qui la bellezza di essere bambini: fare una cosa pensando di farne un’altra. Per diversi giorni , tutte le sere le noci venivano girate. L’asciugatura doveva essere completa da ogni parte. Correvo per prima su per non perdermi le onde e il suono. La terra è tutta una festa, dà emozioni che non immagina chi non ci vive. Quando il giorno finiva, i veri guerrieri eravamo noi bambini, stanchi, distrutti, ma sempre entusiasti. Certe emozioni non vanno più via forse perché quello è stato il nostro tempo migliore, e ancora oggi attingiamo ad esso continuamente per i bei ricordi lasciati. Se oggi nei campi ci fosse l’atmosfera di un tempo al posto dell’odierna fretta e approssimazione, visto che non ci resta più nessuno a voler fare questi lavori, allora sì che sarebbe un’altra vita!

2 commenti:

Antonello ha detto...

Quel che più ricordo di quel periodo è l'acqua e limone che si preparava per dissetarsi.

agnello ha detto...

Ribadisco che la tua penna è como il pennello di un pittore .... crea delle favolose emozioni colorate... Grazie