giovedì 13 ottobre 2016

Che cosa accade nel Pd se vince il No?

Massimo D'Alema
di Keyser Soze da Panorama 

Il dado è tratto. Margini per una ricomposizione non ci sono, a meno che Pier Luigi Bersani e i suoi non vogliano perdere definitivamente la faccia: al referendum il Pd renziano voterà Sì, le minoranze voteranno No. Probabilmente, se ci fosse stata maggiore chiarezza sin dall'inizio, se «l'altro Pd» avesse avuto il coraggio di votare No anche durante l'iter parlamentare della riforma Costituzionale, é l'addio sarebbe stato meno lacerante. Un No netto sul merito di una riforma che, in definitiva, emargina l'anima più tradizionale del Pd, non sarebbe stato infatti inficiato agli occhi dell'opinione pubblica e della stessa base del Pd da troppi calcoli capziosi e da troppi tatticismi di una politica che ormai ha fatto il suo tempo. «Se Pier Luigi avesse seguito i miei consigli» dice con una punta di amarezza Massimo D'Alema «la sua posizione sarebbe stata più lineare e lui sarebbe uscito più forte. Non ha capito che Matteo Renzi è un'altra cosa rispetto al Pd. O almeno rispetto al Pd che noi abbiamo costruito». Sono discorsi, comunque, che riguardano il passato. Il futuro, invece, non presenta grandi alternative: o, dopo uno strappo del genere, le minoranze riusciranno a conquistare il Pd, magari sull'onda di una vittoria del No al referendum (c'è chi come Massimo Muchetti, senatore del Pd, già lancia la candidatura di Vasco Errani alla segreteria); o l'ipotesi di una scissione diventerà quanto mai certa. «Renzi non è il tipo che risparmia i vinti» osserva in cambio dell'anonimato uno dei leader dell'opposizione.
 
Il premier, infatti, comunque vada a finire il referendum, vuole restare leader del partito per disegnare a sua immagine e somiglianza le liste elettorali per le elezioni politiche che più passano le settimane e più appaiono quanto mai prossime. Per cui la scissione potrebbe rivelarsi come l'unico strumento di sopravvivenza per le minoranze. Un'ipotesi di questo tipo prevede, innanzitutto, una ricomposizione del variegato arcipelago degli anti-renziani del Pd. Operazione complicata ma non impossibile. Mentre meno problematico è il capitolo delle risorse visto che le fondazioni che gestiscono i beni immobiliari (e non) degli ex-Ds, sono saldamente nelle mani di Ugo Sposetti, schierato da sempre sulle posizioni del No. Infine, dato da non trascurare, la scissione ha bisogno di una legge elettorale che assicuri ai fuoriusciti una rappresentanza in Parlamento. Una legge che preveda, quindi, grandi dosi di proporzionale. «Qui dobbiamo fare iniezioni di proporzionale per dare rappresentanza al Paese» comincia già a dire Bersani «altroché Italicum», E su questo schema le minoranze del Pd hanno già l'alleanza dei grillini e, probabilmente, di buona parte del centrodestra. Ecco perché in queste condizioni la scissione sarebbe tutt'altro che un azzardo. Anche perché, da qui al referendum, i guai per Renzi non sono ancora finiti. Dopo gli addii di D'Alema e Bersani resta Romano Prodi. Il Professore per ora si è imposto un rigido riserbo sulle sue intenzioni di voto, malgrado Renzi lo abbia pregato più volte di schierarsi per il Si. Ma, forse, all'ultimo momento. Prodi potrebbe anche decidere di evitare di dare un dispiacere al premier annunciando pubblicamente il suo No: a sentire i suoi «cari», infatti, al Professore questa riforma della Costituzione non piace proprio.

Chi è Keyser Soze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult / soliti sospetti, dove quel personaggio è interpretato da Kevin Spacey, e nasconde un importante rappresentante delle istituzioni, che su Panorama racconta la politica dal di dentro.

Nessun commento: