martedì 10 gennaio 2017

Le neviere

di Filomena Baratto

Vico Equense - In quest’anno appena cominciato, ci ha sorpreso la neve, scendendo copiosa su tutta l’Italia, ritornando a imbiancare le alte quote dove mancava da diverso tempo. Un paesaggio tra i più pittoreschi, quello nevoso, che ci fa rivivere le atmosfere delle fiabe. La neve ha il suo fascino se non fosse che, abituati al nostro sole, siamo poco o per niente attrezzati per affrontarla. Quando giunge, ci trova sempre impreparati e il massimo che possiamo fare è quello di non uscire e attendere che passi. E mentre siamo entusiasti di poter giocare anche noi con quelle manciate di neve in mano a costruirci pupazzi, poi non vediamo l’ora che la smetta per non poterla gestire. Le stazioni turistiche di montagna sono in fermento per questo evento, diventato più unico che raro dalle nostre parti. Anche la nostra montagna ha ripreso il suo fascino, coprendosi di neve e riportandoci indietro, quando il ghiaccio era il grande protagonista del luogo. Poi è arrivata la neve artificiale, i metodi di raffreddamento sofisticati e del ghiaccio di una volta, così utile e atteso, è rimasto solo un ricordo dei nostri nonni. Monte Faito è il nostro gigante, che sovrasta tutta la penisola, con una vista su due mari, con una selvaggina e una vegetazione di specie protette. Qui, la neve rende la montagna come incantata e una volta la si raccoglieva per non perderla. Sotto la sua morsa l’aria si fa ghiacciata, la vista diventa monocolore, il silenzio regna sovrano e quel bianco cosparso ovunque illumina più di una giornata di sole. In cambio fa freddo, si gela, le piante per l’occasione si coprono di merletti, ricami e bordi e tutto sembra assopito, bloccato, come in un grande sonno. Una pace prende in consegna i luoghi e li lascia riposare, come se dovessero caricarsi prima di riaprirsi a primavera. Una volta la neve era una ricchezza.
 
Vi sono ancora adesso le bianche conche preposte a raccoglierla, le neviere, e intorno tanti faggi secolari disposti in folti filari. Prima che la neve coprisse il suolo, il piano veniva isolato per evitare ogni sbalzo di temperatura che potesse scioglierla. Era poi ricoperta con foglie secche degli stessi faggi per ripararla dai venti caldi, al resto ci pensava l’ombra e la frescura dei faggeti. Il ghiaccio veniva tagliato in estate a blocchi rettangolari e portato giù a valle attraverso carrucole alzate ai piloni e trasportati avvolti in panni di canapa. C’era poi un punto di raccolta, a Vico, giù alla marina, accanto alla chiesa della Madonna della Neve. Quante persone erano impegnate in quel traffico di refrigerio! La via della neviere parte dall’acqua della Lontra a salire, giungendo fino al Pian del Pero. Qui ci sono faggi secolari, che, se potessero parlare, rievocherebbero il lavoro di cui sono stati testimoni. Come soldati sull’attenti, contornano il percorso della neve e sono i veri protagonisti di queste foreste. Oggi, che la tecnologia ha reso possibile molte cose, non abbiamo bisogno più del ghiaccio delle neviere come una volta. Oggi possiamo tutto, finanche creare la neve. In questi giorni di nevicate le conche naturali sono già piene, ma nessuno ha predisposto il lavoro che si faceva per tagliare e trasportare il ghiaccio. La spesa, come dice il proverbio, non vale l’impresa. Nessun manto per isolare il suolo, nessuna copertura di foglie, nessun lavoro estivo, nessun impegno da parte di esperti. Il ghiaccio ora è libero di vagare sotto gli alberi e sciogliersi ai primi raggi del sole. I faggi hanno perso un po’ quel ruolo di guardiani di neve. Sono quasi soli, ora, non si sentono più così utili come una volta. E forse cercheranno di allargare i loro rami al sole e non mettersi più a raccolta intorno per custodire la neve. La montagna bianca in questi giorni ha un fascino unico con i suoi silenzi, il freddo pungente, i colori diafani. Faito resta la grande montagna, sempre la stessa, affidabile e forte, unica e ricca. Il fatto è che cambiamo noi e crediamo che sia lei a renderci orfani di cose e di possibilità. A volte bisogna anche saper vedere e ascoltare e la montagna insegna più di un vecchio saggio. La storia delle sue neviere è un grande capitolo e farebbe bene andarle a rivisitare. Avrebbero tante cose da dirci. Lungo i percorsi di vita fatta, c’è sempre tanta esperienza in cui si possono leggere righe nuove o rileggere pagine lasciate indietro. A volte la negligenza è un impedimento più dell’ignoranza.

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