domenica 15 gennaio 2017

Se la politica si perde tra i congiuntivi

Fonte: Massimo Adinolfi da Il Mattino 

Tre congiuntivi in un colpo solo non sono uno scherzo. Sono, forse, un record. Luigi Di Maio, come documentano i tweet qui sopra, ha provato dapprima con «spiano», poi con «venissero spiate», infine con «spiassero». Sbagliando tre volte. Una può capitare, due è già più difficile, ma per sbagliare tre volte lo stesso verbo, nella stessa frase, per esprimere lo stesso concetto ci vuole dell'arte. Sicuramente non è colpa dei poteri forti. Fosse stato Grillo, avrebbe comunque trovato il modo di dire; questa volta abbiamo fatto tremare l'Accademia della Crusca, l'Istituto dell'Enciclopedia italiana e la Società Dante Alighieri tutti in una volta. Ma è una versione che non troverebbe corso neanche tra i più fedeli seguaci del vicepresidente della Camera dei Deputati. Il quale, forse, di simili obbrobri si dichiarerà oggi non è materialmente responsabile, scaricando le colpe su qualche suo collaboratore. Ma vige in questi casi la responsabilità oggettiva: come nello sport. Cosa vi è infatti di più oggettivo della lingua? Se però si ignorano i congiuntivi, si mandano a ramengo le subordinate, non ci si raccapezza più con la«consecutio», tutta l'oggettività delle istituzioni va a farsi benedire. Viene in mente un simpatico personaggio nato dal genio dello scrittore di Lewis Carroll, autore di Alice nel Paese delle meraviglie. Il personaggio in questione, Humpty Dumpty, l'uovo parlante, avvia una singolare conversazione con Alice. I due non è che si intendano molto, perché l'uovo ha l'improntitudine di far significare alle parole esattamente quello che vuole lui, e lui soltanto. Certo, Humpty sa che alcune parole hanno un brutto carattere: «I verbi, in particolare, sono i più orgogliosi: con gli aggettivi si può fare qualunque cosa, ma con i verbi; però - prosegue - io riesco a dominare tutto il gruppo». Manca poco che non aggiunga: dal momento che uno vale uno, come dicono i miei amici pentastellati, non ci può essere nessuna autorità linguistica al di sopra di me ad impormi questo o quel significato, quel tempo o quel modo verbale. Perciò faccio quello che voglio, e se voglio che due soggetti, anziché «spiare» le massime autorità dello Stato, le «spiassero», le «avessero spiate» o le «spiano», come dice il mio amico Di Maio, amen e così sia!
 
Con buona pace di Alice e di tutti gli elettori votanti. Sembra il paradiso della lingua - o della democrazia; fate voi - in realtà ne è la pura e semplice cancellazione, perché non è possibile alcuna lingua dove ciascuno assegna alle parole significati a piacimento, o capovolge e sconvolge la grammatica del linguaggio. Come insegnava un filosofo: un linguaggio privato non può esistere, è una contraddizione in termini. Il linguaggio o è pubblico o non è; o si fonda su regole condivise, accettate, o non è linguaggio. Ora si dirà: ma non é un po'troppo scomodare tutta questa dottrina e tutte queste citazioni per qualche innocente capitombolo linguistico? Forse sì (anche se a pensarci: se Carroll ha potuto infarcire di pensieri un testo per ragazzi come «Alice attraverso lo specchio», si potrà pure infilare qualche riflessione quasi filosofica in un articolo dedicato alle disavventure di Luigi Di Maio con la lingua italiana, o no?). Ci sono, in realtà, tanti modi per scusare Di Maio (o il suo collaboratore): innanzitutto, dove sta scritto che per fare il vice presidente della Camera dei Deputati bisogna sciacquare i panni in Amo e parlare «la meglio lingua»? In secondo luogo, non è forse vero che l’ italiano parlato è molto cambiato, e il congiuntivo è ormai una rarità? E tu che scrivi e che ti ergi a pontefice della lingua, sicuro che non hai qualche scheletro nell'armadio, qualche verbo sghembo e slogato nascosto m qualche articolo, o almeno qualche correzione dell'ultimerà fatta grazie a un occhiuto correttore di bozze? Ancora: non sai che il purismo linguistico è roba da reazionari delle lettere, che i «grammar nazi» che girano in rete, pronti a lapidarti per l'uso improprio della punteggiatura, combattono una battaglia di retroguardia, già mille volte persa? Come si può pensare che l'italiano si mantenga uguale a se stesso nei secoli dei secoli, passando dalla meditata compilazione di una pagina alla concitata scrittura di un tweet? Se muore il congiuntivo, bisogna farsene una ragione. Muoiono ogni giorno parole e forme linguistiche, cambia ogni giorno la grammatica, che sarà mai la perdita di una coniugazione completa? Infine, immancabile: pensi forse che Di Maio perderà voti o non piuttosto li guadagnerà, grazie alla sua straordinaria naïveté linguistica?. Mi permetto di alzare la posta: tutto vero tutto giusto. Ma se è così, che fine fa Ulrict Ulrich è un altro personaggio letterario, protagonista de «L'uomo senza qualità» di Robert Musil, uno dei più grandi capolavori del Novecento. Ulrich possiede - e tiene in maggior conto del senso della realtà - il senso della possibilità: «chi lo possiede non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà deve accadere; ma immagina: qui potrebbe o dovrebbe accadere la tale o tal'atra cosa; e s gli si dichiara che una cosa è com'è, egli pensa: be', probabilmente potrebbe anche essi diversa». Ma per articolare tutte queste riflessioni c'è bisogno di congiuntivi come dell'aria. Per non soccombere alla dittatura del presente, per non essere schiacciati dalla realtà, per non accontentarsi solo di ciò che sotto mano, più vicino e più pratico, per dare senso e determinazione a nuove possibilità, in definitiva; per pensare e per fare pensieri lunghi, di congiuntivi c'è assoluta, vitale, indi rogabile necessità. Perché c'è il reale e c'è possibile; c'è l'indicativo e c'è il congiuntivi c'è l'affermazione e c'è la negazione. Ma se tenete solo l'uno, e rinunciate all'altro, ceri non sbatterete mai contro una porta chiusa però non avrete mai la più pallida idea di coi potrebbe esserci di là, se invece fosse aperta.

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