domenica 12 marzo 2017

Un solo responsabile politico

Matteo Salvini
Fonte: Paolo Macry da Il Corriere del Mezzogiorno

Era già successo in occasione delle visite di Matteo Renzi in città. Si è ripetuto in pompa magna con Matteo Salvini. Antagonisti, centri sociali, ultras hanno messo a ferro e fuoco un pezzo di città. Ma la cosa inaccettabile non è soltanto la violenza a volto coperto, i bastoni, le botte, le bombe carta. La cosa inaccettabile è che, nei fatti, il responsabile politico dei disordini di ieri sia Luigi de Magistris. Ovvero la massima istituzione napoletana. De Magistris, nei giorni scorsi, ha sapientemente trasformato una legittima opposizione al leader della Lega in ostracismo illegale e anticostituzionale, negando a Salvini l'agibilità fisica per un comizio. E intanto ha fatto intuire la sua presenza alla manifestazione contro il «nemico» (salvo mandare al corteo qualche assessore) e cioè ha coperto politicamente la protesta e ha alzato a dismisura il livello della tensione. Il fatto è che non si tratta di un incidente di percorso, bensì di una strategia che ha avuto modo di manifestarsi a ogni occasione utile. De Magistris sapeva bene di mettersi contro l'opinione pubblica nazionale, i media, gli organi dello Stato. Sapeva che gli avrebbero ricordato le pratiche talvolta cruente che cinquant'anni fa la sinistra extraparlamentare usava per negare ai «fascisti» il diritto di parola. E conosceva la pericolosità di un'area antagonista sempre pronta a trovare nemici da combattere. Un'area della L'editoriale quale il sindaco non ha esitato a servirsi nella costruzione del proprio consenso, rendendole in cambio piccoli e grandi favori.


Ma la minaccia della violenza non è una novità nella storia dell'amministrazione arancione. Altre volte, de Magistris ha usato una violenza verbale inaudita contro i propri avversari. Poi li ha intimiditi, avvertendoli di non farsi vedere in città. Sorta di cavalier Benito in sedicesimo, ha fatto capire che è lui ad avere le chiavi dell'ordine pubblico napoletano, perché a lui guardano i ragazzi che fanno la guerra alla polizia a Bagnoli, o gli incappucciati con le molotov che bloccano Renzi, o i commando sguinzagliati contro Salvini. Come un piccolo cavalier Benito, il sindaco propone la «città dell'amore», ma a patto che si rispettino le sue volontà, le quali sono costruite sull'odio e sulla minaccia del disordine. De Magistris non improvvisa. Il suo ambizioso disegno è la creazione del mito di una Repubblica Napoletana dell'Identità. Cioè di un costrutto culturale che affonda a piene mani nel discorso pubblico contemporaneo: popolo contro élite, sovranismo territoriale contro globalizzazione finanziaria, localismo comunitario contro governo centrale. Un tempo simili slogan sarebbero finiti nel cestino con un'alzata di spalle. Oggi non è più possibile. Dopotutto, è questo territorialismo che ha generato il riflesso autarchico del popolo della Brexit, ha restituito protagonismo all'America profonda, ha moltiplicato partiti e movimenti europei dal piglio xenofobo ed etnocentrico. E xenofobo ed etnocentrico è anche il progetto demagistrisiano. Poco importa che la violenza colpisca Salvini, r'odiatore del Sud". Salvini è soltanto un pretesto - l'ultimo in ordine di tempo - per affermare urbi et orbi che sono i napoletani a decidere chi possa venire a Napoli. L'obiettivo è creare un'identità a scala locale, la quale diventi operativa con azioni dirette e concrete, com'è il tentativo di imbavagliare un avversario politico. In questo modo, la Repubblica Napoletana allude ai primi passi di una sovranità che andrà conquistata «armi alla mano»: le armi di un popolo autolegittimato a imporre il proprio volere e, per questo, pronto a rompere la legalità. L'esclusione di Salvini permette di sperimentare i confini inviolabili della Repubblica Napoletana. Una Repubblica non inclusiva, ma esclusiva, etnicamente fondata sulla «gente del Sud», su una diversità impenetrabile perché illiberale. Sta qui il senso etnocentrico e xenofobo dell'operazione. È Napoli (o meglio de Magistris) che chiude le porte, non l'odiato Salvini. Oggi però la questione più urgente non è questa (a cui pure la politica farebbe bene a dedicarsi). È, piuttosto, il grado di legittimità di un sindaco che sta portando la terza città italiana nelle secche dell'extraterritorialità e nei fuochi della guerriglia. C'è da chiedersi cioè se non abbiano qualcosa da dire, al riguardo, gli organi dello Stato, la Procura della Repubblica, il Prefetto, il Ministro degli Interni. Ricordando che il cavalier Benito fu preso sul serio quand'era ormai troppo tardi.

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