martedì 11 aprile 2017

Arola

Arola
di Filomena Baratto

Vico Equense - A parlare dei casali di Vico c’è un grande imbarazzo, credendo di parlare di uno e fare un torto a un altro. Sono uno più incantevole dell’altro e quando comincio a presentarli, esprimo le mie personali impressioni ricevute quando sono stata sul posto. Sin da piccola, quando sentivo la parola Arola me la immaginavo come un cerchio. A volte lasciarsi trasportare dal significato o dal richiamo delle parole può essere un modo per entrare in sintonia con i luoghi. Mi ha sempre dato questa sensazione, l’idea di qualcosa di tondo, di cui non riuscivo a capirne il motivo. Spesso, quando ci passavo, in macchina con i miei, ero poi costretta a girarmi, in quanto, solo dopo vedevo la Chiesa al centro, da lontano e non mi rendevo conto per dove fossimo passati. Poi finalmente ho potuto vederla bene e capire da cosa derivasse questa mia idea di rotondità che mi evocava il nome. Quando pronunciavo Arola era come se dicessi: girare intorno. Una volta era chiamata anche Ayrola. Personalmente ne ho avuto un’impressione piacevole sin da bambina, quando giungevo davanti alla chiesa di Sant’Antonino, quel girarci intorno, racchiudeva il significato di Arola, forse anche per collegarla con l’inglese “around” che significa appunto “intorno a”, “in giro per”. Quando si giunge in piazza appunto bisogna girare intorno alla chiesa posta al centro, ma “around” anche per il bel panorama mozzafiato che porge da un lato i Camaldoli e dall’altro il Vesuvio. Una vista che di più belle non ce n’è, un luogo tratto da qualche scorcio di Paradiso dantesco. Ma Arola può anche derivare da auranos che in greco significa cielo, per stare a quattro passi dal cielo, in alto, a 800 metri di altezza sul mare e in un paesaggio da sogno. Per altri Aros, sua denominazione greca per la ricchezza di acqua sorgiva.
 
Un luogo fresco e soleggiato, ricco di acque, di verde, di vegetazione, di tranquillità, di vita semplice e ancora a misura di uomo. Passeggiando puoi ancora avere un incontro ravvicinato con una gemma sull’albero, col profumo dei fiori prima di diventare frutti, con le persone che respirano aria buona e hanno la pace negli occhi e il rosso sulle gote, la flemma di chi pensa in modo chiaro, la serenità per discernere le cose; puoi imbatterti in persone che ti indicano ancora la strada e se non hai capito ti accompagnano, in sapori che credevi fossero quelli di un tempo e invece ancora oggi arrivano alle narici, ai gusti che sono propri di una terra fertile e ridente. Il termine più giusto per chi giunge qui è “ristorarsi”. Lo stesso Santo Patrono, Antonino, nel 619, assetato per aver fatto chilometri lungo i monti, fu ristorato da una vecchina che recava con sé secchi d’acqua. Per ringraziare la donna, benedisse quella terra dicendo che sarebbe diventata ricca d’acqua e di querce. Già nel 432 la chiesa parrocchiale di Arola era dedicata a Sant’Antonino. In stile greco romano, con altare settecentesco, essa era a unica navata, due porte, un campanile e sotto una sacrestia, sette altari di cui il maggiore per Sant’Antonino e gli altri sei rispettivamente alla Madonna del Rosario, a San Domenico, a Sant’Anna, alle Anime del Purgatorio, all’Annunziata, a San’Antonio di Padova. Successivamente la Chiesa è stata ampliata abbassandone il pavimento, facendo retrocedere l’abside in modo da costruire due navate laterali, là dove furono sistemati altari dedicati a Sant’Anna, Sant’Antonio, San Giuseppe e San Michele. Furono poi sostituiti Sant’Anna e il Crocifisso con San Francesco d’Assisi e San Luigi Gonzaga. La zona presenta una cima di collina unica che separa il territorio vicano da quello di Sorrento, questo luogo è detto Astapiana e proprio qui si sviluppò la Congregazione dei Camaldolesi. Il terreno fu donato da un certo Cesare Zafferano di cui si legge ancora il nome su una lapide esistente nell’ex convento, mentre furono dati dal feudatario mille ducati per i lavori. La Chiesa dell’eremo fu intitolata a Santa Maria de Jerusalem, in onore della cappella già esistente. I Camaldolesi, dell’Ordine di San Benedetto, rispettavano la regola dell’Ora et Labora. Il monastero dopo due secoli, fu soppresso nel 1807. La collina dei Camaldoli ha un grande valore paesaggistico e rappresenta uno dei luoghi più stupefacenti della penisola, raggiungendo con la vista Punta Campanella. Ci si inoltra attraverso un sentiero carrabile costeggiato da ricchi castagni e terminante con una torre a due piani, che pur essendo in condizione non stabile, conferisce al paesaggio un non so che di particolare e suggestivo. Un luogo conosciuto, turistico, preso d’assalto quando le belle giornate invitano a uscire e in prossimità delle feste come quelle pasquali. Il vecchio eremo fu rilevato poi dal Duca Giusso, ai primi dell’800, il quale ne fece restaurare le celle superstiti, circa dieci, e oggi è diventato luogo di ricevimenti. Spicca ancora il vecchio pozzo del 1586 proprio davanti alla villa, così come gli alberi intorno, comprese le carrubi secolari lungo il sentiero delle Grottelle, ricco patrimonio boschivo. Qui sembra che il giorno e la notte non si avvicendino ma abbiano un tempo unico e infinito. Le persone che vi abitano raccontano che non se ne sono mai allontanate, la terra chiama e la passione prende, come quella delle colture, come la vite, le querce, i castagni. Forse chi vi abita non ha bisogno di vedere altro, qui c’è tutto: aria, vista, colori, silenzio, pace. Quando nasci da queste parti altrove non sai nemmeno che esista e se non ci nasci tenderai per tutta la vita a volerci abitare ma non ti sarà possibile. Luogo per pochi eletti, agli altri solo il piacere di passarci. Quando a scuola una collega arolese mi parlava della sua terra, le si illuminavano gli occhi. Descriveva il posto con la saggezza di chi lo conosce bene, senza vanto, ma riconoscendone le qualità, i punti di forza e quello in cui bisognava migliorare. Lei vive ad Arola e non le importa spostarsi per andare a scuola lontano, lei parla della sua casa come del posto più bello al mondo e chi la ascolta non vuol fare altro che andare a visitare il luogo incantato. Le sagre rappresentano un buon inizio per conoscerlo, come quella del “riavulillo” che si tiene a inizio agosto quando registra un boom di presenze, di gente che arriva da ogni parte. Il riavulillo non è altro che un piccolo caciocavallo farcito con olive e peperoncino piccante, e a coppia tirato su dalla rafia. Arola è il luogo del bel clima, dei formaggi, dell’aria buona, del panorama per antonomasia, degli alberi, delle pizzerie, della vita ancora come una volta, della gente che sosta sotto il sole, dei fiori che sbucano da ogni ciotola, da ogni ramo, dei bisbigli all’ombra, della frescura, delle feste, delle tradizioni. Una volta una inglese mi chiese dove dirigersi per andare ad Arola, dopo averglielo spiegato, lei rispose :”Ok, around” e da allora Arola per me è diventato Around, intorno, in circolo, dove il mondo è al centro. Nessun altro casale ha questa forma e questa democratica posizione che rende tutti forti.

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