sabato 1 aprile 2017

L’ospitalità

Un dipinto di Vermeer
Vico Equense - “Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39 Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40 Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. (Luca 10,38-42) Questo brano del vangelo secondo Luca ci fa riflettere sull’ospitalità. E anche se non ci sentiamo proprio dei cristiani integerrimi o affatto dei cristiani, ci offre un valido contributo per chiarire il concetto di ospitalità. Essa è sacra, o almeno lo era, una volta e col tempo ha cambiato connotati diventando un rischio dai contorni economici, essa non è più scevra da interessi. La vera ospitalità è di fare spazio all’altro e mettere un confine al nostro io per includere il vicino. L’altro ha bisogno di spazio accanto a noi, che sia caloroso e accogliente. In questo brano l’ospite, Gesù, è trattato in modo diverso dalle due donne, Marta e Maria. Marta è indaffarata, si preoccupa di offrire servizi, Maria invece è calma ed è seduta ai piedi di Gesù, dando l’impressione di non partecipare alle preoccupazioni di Marta. Noi siamo proprio come Marta, portati ad offrire servizi, come se l’ospite dovesse seguire il nostro corso di vita, come se Gesù dovesse entrare nella giornata di Marta e assorbirla. Maria, seduta ai suoi piedi, è lì, presente e ascolta l’ospite, lo accoglie secondo il suo spazio e la sua natura. E mentre Marta vuole il plauso alla sua operosità, Maria ha come unico scopo quello di integrare l’ospite lasciandogli campo libero. L’ospitalità è questa. Non che l’ospite non abbia bisogno di servizi, ma è fondamentale ascoltarlo, dargli lo spazio di cui ha bisogno, essere quasi al suo servizio.
 
Questo concetto conosciuto in tutte le società, anche quelle meno evolute, oggi ha assunto valori strani. Si legge l’atteggiamento di Maria come un’eccessiva devozione al nuovo venuto perdendo di vista il lavoro di chi è con lei, che quasi subisce la presenza dell’ospite. Siamo portati a comportarci come Marta, a preoccuparci di: dove dorme, cosa mangia, quanti giorni resterà, come faccio a svolgere le mie attività, quanto spazio mi toglierà. Tutte preoccupazioni giuste ma che ponendole al primo posto tolgono il contatto vero con un altro essere. E’ come se volessimo delle certezze per dominare la situazione, controllando più che integrando l’ospite, con la paura che possa prendere il sopravvento e farla da padrone. Ma se l’ospitalità era quella di trattare l’ospite meglio di me stesso, perché mi preoccupo di tutto il resto? La stessa paura inficia l’ospitalità, la rende un dovere. A un ospite non gli offrite la stanza più bella, il cibo più genuino, l’accoglienza migliore? E l’accoglienza non è accettare l’ospite e farlo sentire a casa sua? Le nostre risposte sono tutte sì, con tanti “ma”. Il ma è presto tradotto in diffidenza, per cui mi chiedo come faccio ad ospitare uno che non conosco, come faccio a sapere prima se dopo non mi tratterà male, non mi diventerà nemico, che non ci andrò a perdere? Perdere cosa? I nostri servigi? Le nostre aspettative? Il nostro plauso? La nostra benemerenza? Convertire il nostro impegno in qualcos’altro? Se la nostra ospitalità nasce dal cuore, non dobbiamo metterci che il solo piacere di dare. Se invece la nostra ospitalità ha dei fini, allora cominciamo a porre dei paletti per delle contropartite. Che posto do all’ospite? Quanto mi costerà ad averlo qui? Sarà produttivo? Mi renderà quello che spendo per lui? Homo oeconomicus ha distrutto tutto, anche l’ospitalità che era la forma più alta di civiltà, addirittura sacra. Oggi mettiamo tutto sulla bilancia per aver il prezzo di ogni cosa e conoscere a priori quanto ci renderà. Vale anche per le persone, hanno assunto un ruolo e un prezzo e ci muoviamo solo in questo senso. E’ una società morta, stagnante, dove un piccolo o grande accadimento ci destabilizza, ma, stranamente non economicamente, quanto psicologicamente. Siamo diventati ripetitivi, abitudinari, metodici. Una società impenetrabile, che non ascolta ma giudica, non conosce ma commenta, non è curiosa, non vuol ampliarsi né arricchirsi. Una società chiusa nel suo stretto abito di ignoranza, presunzione, pregiudizio, potere, un circolo vizioso da cui non defluisce alcuna positività. Un’acqua stagnata che morirà di fetore se non apre all’altro, se non include ma esclude. Maria, ai piedi di Gesù, si pone in ascolto, ha bisogno di conoscere il nuovo venuto, ha voglia di partecipare alla sua vita. In lei è prioritario sapere e non preordinare come Marta, gli lascia campo libero di esprimersi. L’accoglienza è accettazione, mettere l’altro a suo agio. Non ci preoccupiamo di conoscere, solo di presumere e come tale resta la nostra conoscenza: approssimativa e difettosa. Solo dopo l’ascolto possiamo preordinare la vita all’ospite e preoccuparci delle mille incombenze di Marta. E conoscendo si sa anche come trattarlo, come assolvere ai suoi bisogni. Maria affronta la situazione nel modo migliore, Marta vuole solo il plauso di quello che sta facendo, ma mette in secondo piano quello che ha da dire l’ospite. Crede che offrirgli servizi più che attenzione sia la forma di ospitalità più alta e valida. Ma non sa che l’ospitalità passa attraverso lo spazio dell’ospite, di quello che occupa accanto a me e come i nostri spazi interagiscono, di quanto mi sono spostato per formare il suo. Lo spazio che gli si offre inteso come integrazione nella mia sfera, vale più di quanto mangerà e dove dormirà e quanto si spenderà per lui. E mentre a Marta potranno anche non convalidare i servizi resi all’ospite, cosa che lei stessa mette in dubbio, Maria ha scelto la parte che nessuno potrà toglierle, ha scelto di esserci, ed esserci è più importante del fare, in ogni relazione sociale.

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