lunedì 8 maggio 2017

La scommessa del «Renzi 2»

Matteo Renzi
Fonte: Mauro Calise da Il Mattino 

Saldamente. Forse addirittura più di quanto fosse avvenuto la volta scorsa. Quando era sembrato che avesse messo kappa, o la vecchia ditta, ma si stava soltanto allevando i fratelli-serpenti in seno. Oggi, dopo che la scissione si è ridotta a un fuoco di paglia e i due contendenti interni - sommati - non sono arrivati a un terzo dei votanti alle primarie, l'ex e neo-segretario si presenta come leader indiscusso del suo partito. Una leadership rafforzata da quello che Orlando ed Emiliano hanno - almeno in prima battuta - fatto intendere. In positivo e in negativo. Il governatore della Puglia ha sorpreso con i suoi toni distensivi, e con il riconoscimento che Renzi è il capo di tutto il partito. Questo è - e sarà un punto dirimente. Non si tratta di evocare i fantasmi del vecchio centralismo democratico, e tantomeno l'anatema - abusato - di un sedicente partito personale. In tutte le democrazie occidentali, i partiti hanno una sola leadership. Può essere più forte o più debole, più spostata verso il centro o più attenta ai richiami - di destra o di sinistra - radicali. Ma una volta che è stata votata - con un congresso e/o delle primarie - non può essere continuamente contestata. Pena un letale logoramento, di immagine e di iniziativa. È quello che è successo al Pd, negli ultimi due anni e mezzo. E non può succedere di nuovo. Su questo Renzi è stato lapidario. E si spera che anche Orlando si adegui a queste regole elementari della convivenza partitica. Nel suo discorso, il Guardasigilli non ha del tutto sciolto questo nodo. Sia nel merito, quando la sua visione delle proposte da mettere in campo - e di quelle passate da difendere - è apparso apertamente antirenziana.
 
Una posizione che continua a destare molte perplessità, visto che per oltre due anni ha condiviso, con Renzi premier, importantissime responsabilità di governo. Come è possibile che tutti questi dubbi siano venuti fuori solo adesso? Ma l'ombra più importante e inquietante - riguarda il metodo con cui Orlando ha criticato il processo decisionale imputabile, a suo avviso, al segretario. Un processo di tipo monocratico, con nessuna collegialità. Ora, non c'è dubbio che in passato qualche eccesso, in questo senso, ci sia stato. Ma se si vuole provare a costruire un percorso più ampiamente condiviso, il requisito essenziale resta il senso della misura. Se si parte da posizioni opposte - ad esempio, sulle alleanze è difficile arrivare a una sintesi. Soprattutto se, a proprio sostegno, non c'è una metà scarsa del partito, ma appena un quinto dei simpatizzanti. Insomma, se si vuole davvero raggiungere una mediazione, c'è bisogno, da parte della minoranza, di una - convinta - moderazione. Proprio ciò che, dall'inizio, è mancato nell'approccio dei bersaniani. Al primo posto dell'agenda di Renzi c'è, dunque, il consolidamento nella routine quotidiana - del controllo del Pd che si è riconquistato sul campo. Per farlo, il neo-segretario si trova di fronte a un bivio. La prima strada, quella a lui più congeniale, consiste nel continuare a fare il mestiere degli ultimi tre anni, il capo virtuale o reale - del governo. Vale a dire, parlare al paese attraverso i provvedimenti che vengono varati - o cestinati - in Parlamento e a Palazzo Chigi. In questo modo, ha la garanzia di una assidua ribalta mediatica. E può pensare di star preparando la piattaforma con cui andare alle elezioni. Magari il prima possibile, come molti - non necessariamente in malafede - continuano a sospettare. Il modo migliore per mettere a tacere queste preoccupazioni- insinuazioni - è di cambiare verso al renzismo. A quello degli ultimi due anni, con un ritorno alle origini. Riprendendo la passione e il messaggio del Renzi «rottamatore». Ma in una veste più consapevole, matura. La veste del rifondatore. Prendendo sul serio - serissimo - il suo ruolo di segretario del partito. Non più solo come trampolino di lancio verso un governo che, con le regole attuali, resterà inevitabilmente ballerino. Ma come strumento di lotta, dura e - possibilmente - duratura. Portando avanti con tenacia e coraggio due doti che certo non gli mancano una riforma radicale dell'ultimo partito di massa che sopravvive sulla scena italiana. Una riforma che gli dia l'energia - innanzitutto organizzativa - per competere con i grillini, e il loro macchinario satanico - metà leviatano e metà centauro cybercratico - con cui hanno messo sotto scacco la democrazia. Può darsi che in questo lavoro moltissimo olio di gomito e pochissimi riflettori - il segretario debba venire meno a quell'istinto di presenzialismo che è l'altra faccia del leaderismo. Ma verrebbe ricompensato ampiamente dai rapporti - meno mediatici e più immediati - che tesserebbe in giro per l'Italia. Riscoprendo e rinvigorendo le radici che sono la vera forza di un partito. E di un leader che voglia guidarlo.

Nessun commento: