domenica 4 giugno 2017

Sistema sempre meno tedesco. Il Parlamento si prepara alla carica dei «nominati»

Nel Pd l'idea di liste «corte» per salvare i migliori perdenti 

Fonte: Dino Martirano da Il Corriere della Sera 

Parla sempre meno tedesco la legge elettorale in votazione alla Camera che si ispira alle regole varate nel lontano 1949 per eleggere il primo Bundestag. Correzione dopo correzione, l'originale rimane sullo sfondo anche se il testo concordato da Pd, FI, M5S e Lega ruota intorno alla soglia di sbarramento del 5% che in Germania seleziona l'ingresso in Parlamento delle forze politiche minori. Tutto il resto, invece, balla. Ora è saltata anche la proporzione fifty-fifty tra i deputati eletti nei collegi uninominali e quelli trainati in Parlamento dai listini bloccati: i primi saranno il 37% e i secondi il 63%, con 78 seggi in più riservati ai «nominati» che potrebbero arrivare a quota 381 su 618 (630 con i 12 eletti all'estero). L'ultimo accordo siglato da Pd, FI, M5S e Lega che — stando ai sondaggi — sarebbero gli unici partiti a essere rappresentati in Parlamento con la nuova legge, prevede che i collegi uninominali scendano da 303 a 225 (233 se si considerano gli 8 del Trentino nei quali si vota con la legge Mattarella). Aumentano invece (da 27 a 29) le circoscrizioni in cui presentare i listini del proporzionale. Tante variazioni in corso d'opera dipendono ufficialmente dal fatto che Pd e M5S rischierebbero di dover dire «Grazie, avevamo scherzato...» a decine di candidati vincenti nei collegi e poi costretti a rimanersene a casa perché i seggi sono già tutti occupati.


I cosiddetti «sovranumerari». In Germania, il problema è risolto con il numero variabile dei deputati ma la nostra Carta non prevede questa elasticità. Per cui, onde limitare il rischio di avere decine di eletti a perdere, è stato concordato di tagliare 71 collegi e, contestualmente, di aumentare il numero delle circoscrizioni (una in più, rispettivamente in Lombardia e in Veneto) con un incremento del 13% dei posti nei listini blindati dai partiti. M5S (senza fare barricate che metterebbero a rischio l'accordo) e Articolo i insistono poi sul «voto disgiunto come in Germania» — che permetterebbe di votare il candidato uninominale ma non necessariamente il partito collegato — però Pd e FI hanno alzato un muro a difesa di una sola «X» sulla scheda capace di trascinare partito, listino e candidato uninominale. E ancora. Sulle pluricandidature (lo stesso «vip» viene schierato in un collegio e in tre listini) Forza Italia, che farà eleggere tutti i parlamentari sui listini, sta puntando i piedi contro il ritorno al modello tedesco autentico che ne prevede una sola. Il problema sembra riguardare il M5S, che attaccò le pluricandidature dell'Italicum, mentre il Pd, conferma il capogruppo Ettore Rosato, «non le utilizzerà». Ma il tema interessa anche Ap, spiega Peppino Calderisi, ora consulente di rango di Angelino Alfano: «Con una pluricandidatura, per i piccoli, ove si superasse la soglia del 5%, passerebbero solo i candidati del listino, cioè la nomenclatura... Invece con tre pluricandidature si rimetterebbero in gioco anche i migliori perdenti nei collegi». Questo per dire che Ap, come Mdp, rischia di non trovare i candidati per i collegi se questi sono considerati persi al 100% in partenza. In Germania le liste, lunghissime, sono il frutto di una selezione regolata da veri partiti dotati di statuti e strutture. Ora il «listino» (corto necessariamente dopo al sentenza della Corte 1/2014) al Pd piace ancora più corto: «La dimensione del listino — spiega Rosato — per noi sarà variabile in modo da consentirci di recuperare alcuni migliori perdenti nei collegi». Come dire che anche il Pd, davanti a tanti «nominati», deve offrire una chance a chi viene chiesto di schierarsi nei collegi insicuri. In commissione si vota (ma verrà respinto) anche l'emendamento di Pino Pisicchio (Misto) per il ritorno al «tedesco», seppure con preferenze per la quota proporzionale.

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