lunedì 16 ottobre 2017

“Radical chic”

di Filomena Baratto 

Vico Equense - E’ un innesto tra l’inglese “radical”, radicale e il francese “chic”, raffinato. Radicale, chi aderisce perfettamente al partito realizzando quanto professa senza interferenze o compromessi diventa raffinato quando sposa cause di altri? Mi viene di associare l’espressione a un titolo di un romanzo L’eleganza del riccio dell’autrice francese Muriel Barbery. Un riccio imbellettato malgrado gli aculei? Sarà la facile pronuncia, il fatto che sia di moda, che viene sempre più spesso usato come epiteto da chi vuole colpire od offendere. E’ nata per dire questo e non sicuramente per trovare l’espressione appropriata alle situazioni. Trincerati dietro la bella pronuncia, anche per chi risente di inflessione dialettale, viene usata soprattutto quando non si hanno altri argomenti su cui misurarsi. E’ questo il momento catartico del far venire fuori il radical chic. Si parte dal presupposto che la cultura sia di sinistra, creando stereotipi e mode che nel tempo non si addicono più ai fatti. Di quale sinistra si parla oggi? Esiste ancora la sinistra? Esistono frange che appartengono a un passato di lotte operaie, di guerra, di fabbrica, di aspetti sociali un tempo vissuti che non hanno più motivo di esistere. Situazioni diventate oggetto di discussione culturale, a volte residui di un passato che leggiamo nei libri ma che non corrisponde più alla realtà. E allora perché la cultura non potrebbe essere di destra? Forse perché si è borghesi conservatori attaccati a diritti e benefici che mai si lascerebbero?
 
Un mondo che sa di muffa per il quale i problemi degli altri non sono altro che cosucce di cui discutere in altri ambienti. Quale mondo può costruirsi là dove ogni argomento assume valore irrilevante? Un magnate o un benestante che vuoi che se ne faccia dei problemi della gente, che deve sopravvivere e lottare per ottenere? Una cultura di destra allora è meno vera della cultura di sinistra? La cultura necessita di terreno fertile, fatto di cose che incuriosiscano, che scuotano. Questa sinistra manca, è stata sostituita dai lamenti, dai falsi attacchi, dall’acquiescenza se non ci si può lamentare. Il centro non se la cava meglio, arranca. Mentre sembra che il mondo voglia essere governato dalla destra, ma solo un’illusione, visto che la democrazia non c’è più e si ha tanta voglia di essere guidati. Il fatto serio di oggi è che non ci sono più ideali perché manca un vero nemico ma presunti tali e e costruiti ad hoc. Bisogna mantenersi in una società diventata troppo piena di cose più che di persone e di conseguenza i partiti, i politici sono solo figure svuotate del loro significato. Lo si vede nella gestione dei problemi che non si risolvono, nei fatti che non procedono, negli interessi che restano circoscritti. Non ci sono contrappesi in politica, non esistono più. Dove sono le opposizioni, ci si oppone ancora o si fa solo dell’ostruzionismo, e dove sono i valori? Quali sono quelli della destra? Detto questo, come fa a reggersi un’espressione del genere se mancano i presupposti per cui è stata coniata? Ma la cultura la si vuole a sinistra e visto che oggi le lotte di una volte sono finite, anzi le hanno fatte abortire, perfino l’azione dei sindacati si è appiattita, con l’impossibilità di agire nella nostra falsa democrazia, la cultura, secondo i bene informati, resta a sinistra, ma diventa di destra se, chi la fa, appartiene poi alla borghesia, è possidente e si atteggia a portare avanti cause popolari. Così si diventa radical chic. E non si sa se debba essere più un complimento o un’offesa. Forse è una moda che va avanti sin dal 1970, quando il giornalista e scrittore Tom Wolfe usò l’espressione per definire una cena organizzata dalla moglie di Leonard Berenstein, Felicia, a casa del direttore d’orchestra. I proventi furono utilizzati per le Pantere nere, gruppo rivoluzionario. Fu così che apparve il radical chic. Una cena a casa di ricchi per una causa alquanto popolare, tutta una serie di contraddizioni che Wolfe fece emergere nel suo articolo, mettendo in circolo la nuova voce con cui si sposava la strada e la politica, il benessere e l’azione, una sorta di contaminazione tra le due parti, che secondo i benpensanti, non doveva avvenire. Ma d’altra parte quanto tempo è durata la vera sinistra? Non ci sono benestanti anche in questa ridotta casta di politicanti più che politici veri, che dall’alto del loro mondo dorato sembrano più uccelli appollaiati alle grondaie in giorni di nebbia che veri e consapevoli uomini di politica attiva? E’ come voler cercare la vera oratoria al tempo dell’Impero mentre il suo splendore fu al tempo della Repubblica, quando c’erano motivi veri per lottare e vincere. Le suasorie e le controversie possono avere la stessa forza delle Verrine o le Catilinarie o le 14 orazioni Filippiche di Cicerone e quelle a confronto, invece, non hanno l’aria più di un’esercitazione post mortem dell’eloquenza? Oggi tutto è contaminato: la destra vorrebbe la forza della sinistra di un tempo, la sinistra campa di ricordi, il centro è in continuo aggiornamento. Se vogliamo parlare di politica oggi dobbiamo rifarci al passato ed è per questo che reggono ancora le vecchie espressioni, così possiamo avere un punto di riferimento che oggi manca nella Babele di quello che continuiamo a chiamare politica ma non può essere tale se la gente non si sente più interessata o motivata a farla.

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