domenica 22 aprile 2018

De Angelis “Il mio sguardo sulle periferie”

De Angelis al Social World Film Festival di Vico Equense
con la moglie Pina Turco
Il regista oggi a Sorrento 

Fonte: Conchita Sannino da la Repubblica Napoli

Se sa raccontarle così in profondità, è perché le terre di mezzo impregnate di esistenze precarie, quei posti in bilico tra bene e male, sono state il suo personale romanzo di formazione. «Quando ci trasferimmo da Portici in una piccolissima frazione del casertano, avevo 9 anni», racconta a Repubblica Edoardo De Angelis. «Davanti a casa mia, per anni, ci sono state solo le fondamenta di un Centro direzionale che doveva significare sviluppo, relazioni, socialità, e non è mai stato costruito. E alle nostre spalle, c’erano le cave sempre più sventrate, usate per i rifiuti, divorate dai nuovi affari. Ecco, se oggi faccio il regista e racconto storie forse è anche per completare quel Centro direzionale, e per ripristinare quelle montagne». De Angelis, il regista dell’exploit di Indivisibili (6 David di Donatello), ha appena finito di girare sulla riva destra del Volturno Il vizio della speranza, l’attesissimo nuovo film per il quale forse si è già “prenotato” il festival di Venezia. Nei prossimi giorni, il regista che ha sfiorato la candidatura all’Oscar (passaggio mancato per un soffio nel 2017, con strascichi polemici) avvierà una collaborazione con Repubblica Napoli, firmando una rubrica di commento, che ha voluto battezzare semplicemente “Note di regia”. E da ieri, è ospite degli Incontri internazionali del cinema di Sorrento, dove domani dialoga con Hanif Kureishi di periferie e viaggi, di privazioni e avventure, soprattutto di radici evocate, ma anche lasciate alle spalle, per crescere.
 
«Anche io sono stato migrante, insomma. Dopo, anche da Caserta a Roma. I miei riferimenti? Il mio mito è Fellini. E il mio “maestro” è sicuramente Kusturica, attraverso il quale ho compreso meglio la grandezza del nostro cinema italiano. E poi la lettura delle pagine di Antonio Pascale, che mi hanno consegnato alle contraddizioni delle nostre terre». Poi c’è la migranza non borghese, quella dei flussi epocali. «E c’è un aspetto che mi affascina - continua De Angelis - una frontiera dolce, forse non sufficientemente sondata, è quella del ritorno a casa. Noi non teniamo in considerazione che, fatta eccezione per chi scappa dalla guerra, dai genocidi, dalle carestie, esistono moltissimi migranti che partono dal loro luogo, che è un grembo materno, in condizioni in media estremamente preferibili a quelle in cui verranno a vivere. Il dramma è che spendono, attraverso debiti quasi “eterni” contratti per i loro viaggi, una montagna di soldi che permetterebbe loro di vivere per anni nei paesi d’origine in condizioni meno disumane. Perché lo fanno? Perché la speranza è salvezza ma anche malattia, e desiderio di recidere la radice per maturare». Non accade così nelle storie di ragazze prigioniere, legate anche attraverso riti vodoo ai loro stregoni/sfruttatori, o alle madame: storie che De Angelis ha incontrato, e poi indagato, ricostruendo la vita delle Connection House di Castel Volturno. Ecco perché la sua vita di ragazzo casertano continua a intersecarsi con quella del cineasta visionario. E l’incontro di domani, con lo scrittore e drammaturgo inglese Kureishi, sarà - anche - un’occasione ghiotta per le curiosità del pubblico sulla nuova opera. Il vizio della speranza (leggi l’intervista sulla pagina nazionale Spettacoli) è la storia di una risoluta e determinata ragazza (l’attrice Pina Turco) che assiste una madre anziana, e lavora per la madama Marì (Marina Confalone): ha assunto il terribile mestiere di traghettare al di l à del fiume Volturno le donne incinte, che “vendono” figli e residui di dignità. Una vita imperturbabile, all’apparenza: fino a quando un evento imprevisto costringe la protagonista a rivedere dalle fondamenta una vita che non ammetteva ribellione, né coraggio. Nel cast anche Massimiliano Rossi, Cristina Donadio e Marcello Romolo, un film scritto con Umberto Contarello, prodotto da Pierpaolo Verga e Attilio De Razza. «La domanda centrale che mi sono posto facendo questo film è stata: è possibile prendere in mano la propria esistenza? È un tema che riguarda ogni vita. Ma diventa ineludibile quando siamo di fronte a condizioni disumane. Il resto? Lo si scoprirà, il cinema consegna sprazzi di verità, ma resta anche mistero»

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