mercoledì 23 maggio 2018

La maternità

di Filomena Baratto

Vico Equense - Il rapporto con la madre è un legame strettissimo, da scadere a volte in atteggiamenti patologici. La madre è quella che ci tira nella vita, ci tiene stretta a sé. La vita che nasce da altra vita, un segno chiaro e inequivocabile. Di lei conosciamo prima le mani che ci hanno toccato, curato, abbracciato. Le mani della madre, come afferma lo psicoanalista Massimo Recalcati, hanno come loro prima funzione quella di salvarci e non farci cadere nel vuoto. Tenersi per mano, tra madre e figlio, è una condizione naturale e necessaria. Attraverso questo contatto passa la vita e il figlio si sente protetto. Lo stesso Freud afferma che la madre è una soccorritrice e dalle sue mani il figlio apprende il primo linguaggio. Una lingua fatta di gestualità e trasmissione di calore, di legame, di appartenenza, di cura, di aiuto. Le mani appunto salvano dal vuoto. Ma la madre rappresenta anche il mondo attraverso il suo volto e in cui il figlio si specchia e si riconosce. Le prime impressioni che egli riceve della vita sono quelle del volto di sua madre. Da come nostra madre ci ha guardati così abbiamo appreso il mondo. Lei lo rappresentava e tutto era racchiuso nella geografia di quel viso. Ogni cosa abbiamo appreso lì, su quella carta del mondo. Siamo come nostra madre ci ha guardati, visto che il suo sguardo per noi era il tutto. Il volto della madre deve essere chiaro, leggibile, amorevole, affettuoso, ha l’onore di trasmettere la vita.
 
Quando sul suo viso si legge serenità fatta di sorriso, accettazione, partecipazione, il figlio procede nelle sue esplorazioni al di fuori di sè; al contrario, se sul suo viso si annidano sofferenze, zone buie e il vuoto, allora il figlio termina la sua esplorazione, perde il contatto con l’esterno e diventa depresso. Può accadere nella vita di non riconoscersi nel proprio volto, segno che quello di nostra madre non è stato così chiaro. Una donna, con la maternità, vede il mondo completamente diverso da come lo vedeva prima. La vita di un figlio scandisce un prima e un dopo. Altra immagine della madre è quella di nutrire, dove il seno assume l’aspetto del bisogno, quella del nutrimento che è diverso dalla madre del segno. Quando il figlio succhia sta rispondendo a un bisogno, ma quando è sazio e continua a stare attaccato al seno, cerca altro. Il segno della complicità, della presenza, dell’esserci di sua madre. Dalla fame ci si sazia, della madre no e quando si resta attaccati a lei significa altro, volere la sua presenza. E’ questo il segno dell’ amore, che non è dato dal cibo, ma dallo stare vicini, dall’instaurare un rapporto non per forza legato al nutrimento. E’ qui il vero rapporto d’amore, quando il figlio ha bisogno della madre non per nutrirsi ma per averla. D’altra parte cos’ è l’amore, ogni tipo d’amore, se non dare quello che non abbiamo? E’ facile donare quello di cui siamo pieni, ma in questo caso si tratta di carità. E’ la mancanza che ci fa amare gli altri, diamo proprio quello che non si ha, il nostro vuoto. Quando il bambino continua a stare attaccato al capezzolo della madre, pur avendo fatto il ruttino e gioca lì, restando nella stessa posizione di quando si sfama, è perché vuole un contatto, è la paura di perdere e non avere più il suo mondo. Lo stesso motivo per cui il bambino gioca a nascondino. Questo è il gioco per sperimentare l’amore: il figlio vuol sapere se è mancato alla mamma e al papà. Questa domanda è la domanda dell’amore. Quando due persone che si amano si incontrano, per prima cosa chiedono l’uno all’altra quanto si sono mancati. Quella mancanza implica un vuoto, un allontanamento, un vuoto. E i bambini si nascondono ai genitori per sapere quanto vuoto hanno scavato con la loro assenza dentro di loro. La presenza quindi è un segno d’amore, esserci è amore. Ma il bambino sperimenta anche l’assenza della madre. L’assenza della madre al figlio, dice Recalcati è necessaria perché la madre non esaurisce qui il suo ruolo. Per lo psicoterapeuta la madre sufficientemente buona, visto che non esiste una madre modello e siamo sempre in via di perfezione, è quella che continua a essere una donna, che non esaurisce la sua femminilità nella maternità. La madre che rimane donna è da ritenersi una buona madre. Altrimenti accade che con la sua maternità soffoca il figlio fino a farlo morire. Accadde così per una delle due madri che ricorse a Salomone per dirimere la questione di chi fosse il bambino. L’una lo aveva fatto morire schiacciato dal suo peso e pretendeva quello dell’altra. Non era disposta a perderlo, voleva tenerlo per sé. Mentre l’altra, pur di non farlo morire, fu la madre buona, vera, quella che sapeva che un figlio lo si perde. La stessa Madonna, madre di Dio, sapeva sin dall’inizio di concepire un figlio che avrebbe perso. Questo il senso della maternità: dare vita e amore a un essere che sappiamo non essere nostro e pertanto bisogna corredarlo di tutti gli strumenti per renderlo autonomo. Un figlio ha bisogno di una madre che lo ami ma non lo soffochi, che lo renda autonomo e libero. L’amore è cura, cura per la vita, della vita particolare. E proprio nella cura del particolare si trasmette la vita. Il dono più grande della maternità è trasmettere il desiderio della vita.

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