mercoledì 16 maggio 2018

La Penisola sorrentina e i peccati sotto la maschera

Penisola sorrentina
Fonte: Carlo Franco da Il Corriere del Mezzogiorno

Sorrento bella e maledetta. La definizione, che î facciamo nostra, è di un educatore da sempre in trincea, vicepreside del liceo Publio Virgilio Marone di Meta e per venti anni assessore e sindaco di Piano di Sorrento. Per nascondere i suoi peccati la penisola ha scelto di vivere in maschera - come in un etemo carnevale - ma il trucco, ormai, non «regge» e la maschera, smascherata, fa sollevare il coperchio delle fragilità. E della vergogna. Nei comuni che vivono accanto a Sorrento e nel suo nome, poi, il mascheramento è più evidente e, in qualche modo, più goffo e marchiato di un provincialismo importato che emerge anche se la lingua della penisola più che l'italiano è l'inglese per l'affetto straordinario che dagli anni d'oro del Grand Tour lega il turismo d'oltremanica alla Terra delle Sirene. Anche le certezze, però, possono crollare e il pericolo oggi è reale e ha già determinato l'appannamento della cultura dell'accoglienza che ha reso famoso nel mondo il nome di Sorrento insieme ai versi del Tasso e alle strofe di «Torna a Surriento» e di «Caruso». L'antico primato non ha retto l'urto dei tempi - anche a causa delle infiltrazioni sempre più massicce di capitali non propriamente sorrentini ma stabiesi e vesuviani - e lo standard turistico, di conseguenza, si è abbassato: si è badato più alla quantità che alla qualità. Anche nel reclutamento del personale. Un cameriere ben nato al lavoro e che di certo non disdegna le attenzioni di una avvenente straniera, non fa ricorso all'aiuto della droga da stupro.
 
Come, purtroppo, questa inchiesta ha messo in evidenza. Facendo rimpiangere il tempo in cui un visitatore del Grand Tour scrisse in una corrispondenza per un giornale inglese di auspicare che non partissero i lavori per la strada che doveva unire Sorrento a Castellammare. Una straordinaria capacità di guardare lontano e il desiderio di tenere Sorrento distante, quasi fosse un'isola, dall'immensa piana napoletana che ancora oggi è il vero «nemico». Sorrento bella e maledetta. La definizione del professore Giovanni Ruggiero, che di pomeriggio si trasferisce a Pimonte e pone la sua esperienza al servizio di una comunità di tossicodipendenti, ci sembra, anche per questi motivi, la più calzante. Insieme a quella di un giovane sacerdote impegnato nel sociale, don Rito Maresca: «Prima c'erano i buoni e i cattivi, ma il confine è saltato e Sorrento annaspa nei suoi soldi e nel suo perbenismo». Che genera altri mostri: l'usura praticata in maniera sempre più massiccia, e il gioco di azzardo che coinvolge intere famiglie, dai nonni alle ultime generazioni. La realtà è sotto gli occhi, ma si tenta di nasconderla. Un esempio, tra i tanti: la fondazione antiusura, vicina alla Curia tra l'altro, decise qualche anno fa di chiudere lo sportello aperto a Sorrento. «Qui si preferisce il peggio», commenta mestamente il sacerdote. La maschera, come si vede, ritorna. E rimettersela sul volto, dopo tutto quello che è successo (non ci riferiamo solo all'episodio immondo dello stupro) sarà sempre più difficile. Meta e Sorrento, come Massa Piano e Vico, si mostrano al cronista come un pugile suonato che dopo il suono del gong non ce la fa a ritirarsi nel suo angolo. «Il mito romantico della conquista della straniera - dice Giovanni Ruggiero - è scaduto nella violenza cieca celebrata nei post di una chat che si chiama cattive abitudini e va oltre le peggiori intenzioni. Oggi non si acchiappa con tecniche di seduzione simpatiche e innocenti ma si stupra con pratiche indecenti e il ritorno alla normalità è un traguardo sempre più lontano». «Anche perché - come fa notare l'ex sindaco Ferdinando Pinto - la malattia, cioè la straordinaria capacità di fare soldi, è anche la sua forza. Siamo, insomma, nell'eterno paese di Bengodi nel quale regna la presunzione che tutto sia concesso». Ma la maschera, dopo questo ultimo scandalo, è andata in mille pezzi.

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