domenica 13 maggio 2018

Torre e Castellammare. Così il Pd si è suicidato

Il Pd aveva toccato il fondo. Ma evidentemente non gli è bastato. A Torre del Greco e Castellammare, per esempio, hanno persino iniziato a scavare pur di sprofondare più in basso. Nel primo caso, e stiamo parlando della più grande città al voto in Campania, il simbolo è sparito dalla competizione elettorale (qualcosa che avvenne anche a Pompei qualche anno fa). Nel secondo, invece, il partito ha presentato solo 19 nomi su 24 dopo uno scellerato braccio di ferro tra segreteria provinciale e locale. E poi c'è la "furbata" di Boscoreale, il feudo di Mario Casillo: qui il Pd s'è camuffato in un conveniente «Bd», cioè Bosco democratica, pur di far funzionare l'ammucchiata con il centrodestra. «Stavolta ci siamo superati», urlano a telefono i vertici napoletani alle dodici in punto. «Diamoci all'agricoltura a questo punto». Poteva essere il primo, timido, segnale di riscossa, magari approfittando delle strategie autolesioniste di Lega e Movimento Cinque Stelle che vanno all'altare in nome del potere, e invece no. «Questo è un disastro», urla il segretario provinciale. Massimo Costa. E' un'ecatombe politica, uno scempio figlio di incompetenza e inadeguatezza. Un de profundis recitato sulla lapide di un partito già seppellito alle ultime Politiche. Più spaventoso del peggior incubo. «Almeno il 4 marzo si è perso nelle urne, abbiamo perso ancora prima di iniziare la campagna elettorale».
 
I primi responsabili del fallimento, anche se sul banco degli imputati saranno in ottima e numerosa compagnia, si chiamano Massimo Meo, uomo di fiducia della consigliera regionale Loredana Raia, e Nicola Corrado, fedelissimo di Nicola Oddati. Il primo è il segretario cittadino di Torre del Greco. Il secondo avrebbe invece dovuto rilanciare il partito a Castellammare di Stabia, l'ex fortino rosso dove l'ingovernabilità ha mandato a casa gli ultimi tre sindaci prima della fine della consiliatura, Antonio Pannullo compreso, il vassallo di Mario Casillo che ha tentato fino alla fine di riproporre la sua candidatura. Massimo Costa è nero di rabbia nel giorno della consegna delle liste. Si sente tradito due volte sul fronte Torre del Greco. Per il fallimento, e soprattutto perché gli avevano garantito che tutto stava procedendo nel migliore dei modi. «E invece non siamo nemmeno in gara», dice a muso duro il segretario del partito democratico metropolitano di Napoli. «Si è verificato un inaccettabile e sconsiderato ritardo nella consegna delle liste che ha vanificato il grande lavoro organizzativo e politico di tanti esponenti del partito». Costa lo chiama ritardo, qualcuno, invece, sostiene che sia stato un delitto premeditato. Una resa dei conti interna al partito, uno sgarbo agli uomini del consigliere regionale Mario Casillo. Il segretario Costa ovviamente non fa riferimento alla teoria del complotto per non alimentare le fiamme, ma sotto sotto sa che dovrà indagare su un ritardo assurdo. Da dilettanti. Troppo stupido per convincere. «Quando il segretario cittadino Meo, con il quale avevo già parlato in mattinata per assicurarmi che tutto procedesse nel verso giusto, alle 12:36 mi ha informato di tale irresponsabile ritardo nella consegna, sono rimasto basito per la gravissima superficialità che impedisce alla comunità di Torre del Greco di sostenere il Pd», dice Costa. «Non nascondo la grande amarezza e il dispiacere». A fallimento certificato, Massimo Meo ha annunciato le proprie dimissioni e Costa, le accetta senza battere ciglio. «Un atto consequenziale a questa, grave ed irreparabile mancanza». Ma non finisce qui. E non finisce qui nemmeno la questione Castellammare, dove le dimissioni di Nicola Corrado non sono ancora arrivate, e non arriveranno prima di lunedì. Qui il segretario cittadino ha sfidato apertamente Costa, sfilando i suoi candidati della lista dopo l'ordine di riproporre agli elettori i consiglieri comunali uscenti. Andrea Cozzolino, impegnato in un convegno al tribunale di Torre Annunziata, a metà strada tra Torre del Greco e Castellammare nel giorno del disastro, non può far altro che allargare le braccia. Su Castellammare prova a soffiare sulle ceneri della speranza («Quando interrompi un'esperienza fai fatica a ricostruire. Speriamo che i cittadini possano premiare questo sforzo»), su Torre del Greco è imbarazzato e chiude con un «No commnent» amaro. Chi invece ci va giù duro è il consigliere regionale Antonio Marciano. «Si è chiusa un'altra pagina vergognosa per il Pd a Napoli e in Campania. La scelta dei candidati sindaci e delle liste nelle città al voto è stata indecente. I fatti di Castellammare e Torre del Greco sono la più plastica e drammatica condizione di un partito sotto ricatto di qualche banda. Non c'è stata serietà ne responsabilità da parte di chi dirige il partito. Siamo andati oltre. Siamo alla occupazione sistematica degli spazi in spregio a qualsiasi regola della civile convivenza. Al limite della paura fisica». Un allarme che scuote un partito in ginocchio. A livello nazionale, ma anche a livello locale. Assunta Tartaglione, alla guida della segreteria regionale, non usa mezzi termini per condannare il fallimento di Torre del Greco. «La mancata presentazione della lista è un enorme danno politico e di immagine per il Pd, oltre che una beffa per iscritti, militanti e cittadini. Le motivazioni portate dal segretario cittadino sono quantomeno surreali, anche con versioni contrastanti. Ha detto che la lista era raffazzonata, e non si capisce cosa volesse dire. Nemmeno ha spiegato i problemi sorti nella fase di preparazione, evidentemente non s'è fatto nulla per risolverli. Chi è chiamato a ricoprire questo ruolo - conclude Tartaglione - ha la responsabilità di percorrere tutte le strade per risolvere le questioni sul tavolo e di farlo per tempo, magari coinvolgendo e chiedendo aiuto alla segreteria metropolitana. Non ha senso parlare oggi per infangare il partito quando è troppo tardi per intervenire e porre rimedio», (Fonte: r.s. da Metropolis)

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