domenica 21 ottobre 2018

Moiano, piccolo, grande luogo

Moiano
di Filomena Baratto

Vico Equense - Mia nonna era originaria di Moiano, proveniva da via Sala e non so quante volte avrò sentito questo nome. Per me, che ero piccola, Moiano era solo via Sala. Era lì che si andava, era lì che abitava la sua famiglia, era lì che si nominava. Mai sentito dire vado o vengo da Moiano. Via Sala rappresentava Moiano. Cercavo di immaginarmela e ogni volta in modo diverso. Una volta pensavo fosse il luogo dei noci, forse per i tanti noci che avevano i familiari e qualcuno perse la vita cadendo dall’albero, come il padre di mia nonna. Un’altra volta lo immaginavo come il luogo dei pascoli, come mi faceva credere il “Momento”, quando scendeva da Moiano col suo torello pronto per la monta. Era per me come un luogo di fiabe, un cilindro da cui qualcuno tirava fuori i conigli. Poi finalmente l’ho conosciuto che ero più grandicella, quando andavo con nonna a trovare i parenti, ai matrimoni nella chiesa di San Renato. La piazza si riempiva di gente per la “guantiera” alla sposa con i confetti ricci che ricordo perché erano i più costosi e più buoni e io li preferivo tra tutti. Il riso si infilava nelle scarpe e mentre recitavo le poesie agli sposi, un’abitudine che mi costringevano a mantenere ad ogni matrimonio, nel bel mezzo della declamazione, fuoriusciva da qualche piegolina dell’abito o ciocca di capelli un chicco di riso e questo costituiva una piccola distrazione per me che dovevo restare concentrata. Come premio dei versi che recitavo, potevo assentarmi per qualche oretta e fare un giro con le ragazze più grandicelle e i loro amici. Fu allora che ebbi modo di conoscere Moiano.
 
Non c’era solo via Sala, ma via Raffaele Bosco che a volte si percorreva in bicicletta, per un breve tratto, via Paradiso,via San Bartolomeo, via Cirignano… Andavamo per le stradine, passavamo lungo i marciapiedi stretti, quasi sugli usci delle case. Andavamo per le case dei parenti, a sederci sui muretti facendo ciondolare le gambe e sgranocchiando ancora confetti, cioccolate, e a goderci il sole che ci dava prospettive uniche. Giù, oltre le chiome dei noci, si vedeva il mare e si giocava a re e regine, giù, all’orizzonte c’erano i sudditi. Oppure qualcuno raccontava un fatto e ci faceva spavento con qualche strano finale mentre in lontananza si vedeva il serpentone della Raffaele Bosco come se qualcuno venisse a prenderci per quella strada. Quando invece si ritornava davanti al sagrato della chiesa, sembravamo delle formichine per quanto era grande. Capisci col tempo che crescendo le cose intorno rimpiccioliscono, ma allora la chiesa di San Renato era immensa ai miei occhi. Le mie visite a Moiano mi portavano sempre in un viale, in un folto prato, una pezza di noci, su per le colline. Mio nonno mi faceva volare per la strada, a piedi, tirandomi come un cucciolo. Ma quando c’era un panorama che mi stupiva, lo tiravo io e lo costringevo a fermarsi, dovevo ammirare gli scorci, le case, la montagna dietro di me. Da lassù non parlavo mai, mi riempivo la bocca di “Oh” e i miei occhi erano più bravi di tutti i telefonini di oggi, ero io la fotografa. Le maestose immagini mi entravano in mente come cartoline da memorizzare e non dovevo fare alcuno sforzo, la bellezza si registrava da sola. Mio nonno, che era un intenditore di legno, mi portava in giro a cercarne per i suoi lavori nei campi e spesso mi sedevo sulle cataste dei tronchi ben allineati sui loro supporti. Accanto sempre qualche cavallo e dopo ci scappava anche un giro. Che meraviglia! Ma una volta mi portò, a piedi, che ancora li ricordo doloranti, fino a Santa Maria del Castello. Lassù un vento mi alzava il vestito, sentivo il sibilo forte ma nulla mi spaventò come quello che vidi intorno a me: un panorama stupendo! Il punto più alto con vista a destra e a sinistra. E quando mi condusse, qualche tempo dopo, alla croce, pretesi ci andassimo con l’Ape, il tre ruote del nipote almeno fin dove c’era la stradina. Certi luoghi diventano unici per noi. Non ho trovato in nessun altro posto qualcosa di simile e forse abbiamo attrazione per le cose che conosciamo bene e che amiamo per sentirle nostre o forse il posto ci reclama come sua proprietà. Oggi che Moiano lo conosco con gli occhi di adulta, mi sono rimasti quei ricordi che lo rendono ancora più bello con tutte le emozioni accumulate e serbate con cura. Qualche tempo fa in treno, da Milano a Napoli, mi sedeva accanto un signore che proveniva da Moiano. Dopo un po’ di convenevoli, cominciai a parlare pensando fossimo dello stesso posto. “Moiano”, gli dicevo, “è proprio a metà strada tra Vico e Faito e in posizione baricentrica. E’ a 600 metri di altezza sul livello del mare e mi piacerebbe abitarci. Per me che non amo il caldo eccessivo e il chiasso cittadino è il luogo adatto. E poi che posto! Quattro passi e stai a Santa Maria del Castello, un punto strategico. Chi può vantare di vedere Positano dall’alto? E l’altra costa dall’altro lato? Un posticino raccolto, con le sue buone pizzerie, Pizza Taxi, Il covo del Buongustaio, Pizzeria all’Angolo, Cuore di Pizza… E poi la mozzarella di Moiano, il buon formaggio… Ma Moiano è anche culto, per San Renato, vescovo di Sorrento, del V secolo che trova la sua unica sede proprio qui. Sa che la storia di San Renato vescovo, al tempo degli Angioini, si confuse con quella del vescovo di Angers? Costui si dice non abbia potuto battezzare un bambino moribondo per essere arrivato in ritardo. Non potendo tollerare quello che era accaduto, andò via dalla città. Ma poi, convinto a tornare, pregò sulla tomba del bambino che resuscitò, chiamandolo così Renato che significa appunto “rinato”. Gli Angioini, devoti al vescovo di Angers e venuti a conoscenza del vescovo Renato di Sorrento, confusero i due che tra l’altro si somigliavano per aspetto fisico. Ma più di ogni altra cosa amo i ritmi lenti di questi luoghi, lo scorrere del tempo in modo diverso dal nostro che è frenetico. Da bambina Moiano era la sola via “Sala”, oggi è per me aria, libertà, bellezza, pace, contemplazione!” Ero convinta di parlare con un vicano, ma il signore, nel momento in cui chiusi bocca, fece un sorriso e mi disse che non conosceva affatto Moiano di Vico. Lui veniva da Moiano in provincia di Benevento. Ridemmo tanto e chiesi scusa per aver parlato di Moiano così insistentemente, invitandolo poi a parlarmi del suo. E così fece. Mi promise che molto presto avrebbe visitato il bel posto di cui parlavo”.

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