giovedì 8 agosto 2019

L’occhio elettronico

di Filomena Baratto

Vico Equense - Il nostro Dio ce l’hanno sempre rappresentato come un grande occhio in un triangolo. Vede tutto, ci sovrasta e conosce ogni cosa di noi. Questa la storiella di quando eravamo bambini che diventa realtà perdendo il fascino che gli forniva il catechismo. Esiste il grande occhio che ci sorveglia e ci spia? Sì, esiste, non per premiarci o castigarci, solo per tenerci sotto controllo. Nel romanzo 1984, George Orwell, già nel 1949, preannunciava il nostro presente. Ci illudiamo di servirci della tecnologia mentre è lei che ci tiene a bada. Le siamo così devoti che più ce ne serviamo più crediamo di proteggerci. Ci forniamo di videocamere, di occhi elettronici per monitorare casa, territorio, punti sensibili, attanagliati da un pericolo incombente facendoci sentire persone difese in un futuro migliore, scevro da attacchi e accidenti. Ci sono anche quelli subdoli come lo schermo televisivo, il computer, lo smartphone che ci spiano registrando le nostre abitudini, usi e consumi. Autostrade, banche, bagni pubblici, scuole, supermercati, ospedali sono tutti luoghi forniti di occhi elettronici. Senza il terzo occhio testimone non ci sentiamo protetti. Dobbiamo controllare il lavoro in ufficio, gli sconosciuti in chiesa, chi marca il cartellino, chi lavora e chi si lascia andare al passare delle ore. Quanto tempo passeremo poi a visionare queste immagini togliendolo alle nostre attività? Siamo sicuri di controllare e non lasciarci prendere la mano?
 
Vale più la nostra sicurezza o la nostra libertà? Ma è anche vero che siamo giunti a un punto del progresso in cui non si torna indietro e siamo figli di questo tempo che ci vuole tecnologici. Restano pur sempre macchine e non sempre efficienti. Intorno alla videosorveglianza ci sono notevoli giri di affari. E poi accade anche la beffa: come quella volta a Torre del Greco in un duplice omicidio di camorra avvenuto proprio sotto la videocamera, quando non fu possibile acquisire le immagini necessarie per un guasto al sistema. Ogni cento metri siamo sotto una telecamera che ci riprende a nostra insaputa. La sicurezza è un discorso complesso. Non la otteniamo solo con la sorveglianza, ma anche col senso del dovere, del lavoro, di responsabilità che sono qualità afferenti alla sfera etica, alla nostra formazione. Se manca questo principale valore non bastano videocamere a riprenderci. Nella società del benessere non ci sono stimoli a far nascere questi sentimenti e deleghiamo alle macchine ruoli che sono solo nostri, col pretesto che un occhio possa fornirci quella sicurezza di cui abbiamo bisogno. Questa condizione ci predispone a diventare automi, assottigliando la nostra umanità. Acciufferò un ladro in più ma non toglierò l’azione del rubare. E affidandoci troppo alle macchine perdiamo le nostre capacità investigative, la nostra intelligenza, favorendo la pigrizia e non sarà solo questione di privacy. Questa non è altro che una degenerazione, un rammollire l’anima e il cervello affidando alla tecnologia quello che è di nostra competenza. Abbiamo sdoppiato la nostra natura, così mentre difendiamo il corpo, offendiamo l’anima che viene monitorata durante la sua giornata da continui occhi elettronici. E chissà che da lassù non sbirceranno nelle nostre abitazioni prendendo in esame la nostra vita privata, girandola, profanandola e trasformarla in qualcos’altro. Dove sono poliziotti solerti, impiegati appassionati, adulti responsabili, istituzioni che assolvano alle loro funzioni senza delegare, inoltrare, rimandare, e uno stato che renda forti per difendersi e far fronte alle necessità? Stiamo volgendo la nostra umanità a beneficio di una protezione fisica che non ha più motivo di esserci quando le strappiamo l’anima. Che vuoi che me ne faccia della mia incolumità se l’avrò già pagata con la mia privacy, una sfera che spetta solo a me decidere se rendere pubblica? Più che proteggere, violiamo le vite altrui. Se ogni essere non potrà decidere della vita, perché continuiamo a parlare di libertà? L’abbiamo già persa da un pezzo anche se non sembra. Quando tutte le nostre vite si leggeranno come libri aperti, cosa resterà di noi? Diventeremo come l’esercito di terracotta del primo imperatore cinese Qin a Xi’an nell’Aldilà. E cosa sarà la nostra vita senza più alcuna fiducia nel prossimo? Un inferno! Dovremmo sorvegliare la nostra libertà che non ammette alcun tipo di controllo, specialmente quelli subdoli celati sotto falsa protezione.

1 commento:

Lucio ha detto...

Buongiorno Sigra Baratto

Spesso leggo I suoi articoli con molto interesse.
Oggi pero' non mi trova pienamente d'accordo, credo che lo scopo della videosorveglianza sia quello di creare un deterrente per garantire la sicurezza ai cittadini.Inoltre le immaggini possono essere di aiuto ai tutori dell'ordine che non possono garantirci la loro presenza su tutto il territorio.
Detto cio ' aggiungo che spesso ci si sente privati della liberta' personale ma se questo e' il prezzo da pagare per ottenere piu' sicurezza le garantisco che sono disposto a perdere un po' della mia privacy e come me molti altri che non hanno nulla da nascondere.
La tecnologia deve essere utilizzata, basta farlo con buon senso conoscendone I limiti operativi.
Oggi grazie a qualche telecamera in piu' abbiamo le immaggini del ponte Morandi sul quale per anni le capacita' investigative di cui parlava lei sono state ad aspettare una strage che era da tempo preannunciata.
Le telecamere non acciuffano I ladri ma garantiscono una vigilanza costante e mostrano cose e fatti di cui anche gli spettatori ne hanno fatto una inesatta interpretazione.
Anima e cervello si rammolliscono senza stimoli e questi bisogna trovarseli da soli senza nessun alibi.


Saluti








Saluti

lds