giovedì 19 marzo 2020

La giornata al tempo del coronavirus

di Filomena Baratto

La giornata al tempo del coronavirus comincia all’alba, con lo scorrere delle notizie sulla home di fb, passando poi per la rassegna stampa, per i bollettini medici, per il numero dei malati, i deceduti, i guariti, i positivi, i negativi positivizzati, i farmaci provati e quelli in via di sperimentazione e poi la notizia ultima. E fin qui stavamo ancora a letto. Se ti lasci trafiggere da un lampo di paura, ti passa anche la voglia del caffè. Intanto insisti a scorrere la home per cercare qualcosa che non troverai. E cosa puoi fare dopo che ti sei imbottito la testa di notizie, soprattutto se sei ipocondriaco e somatizzi tutti i sintomi appena letti? Il caffè lo hai preso, lo smart working ti attende, tu procedi con le immagini di quello che hai finito di leggere. Non accusi niente e ti senti un privilegiato che ancora respira, pensa e vive chiuso in casa, nel silenzio delle stanze e delle parole. Oltretutto con i rapporti limitati cosa vuoi che ci sia da dire. Tanto l’argomento, l’unico vero argomento, è sempre lo stesso: il coronavirus. E mentre ti appresti a sederti per dare avvio al lavoro, avverti un po’ di tosse, ti senti un po’accaldato e cadi in trappola pensando che il “bastardo” potrebbe colpire anche te e non sei mica al riparo come credi. Fatta una sommaria anamnesi delle tue malattie, patologie in atto, curva di paziente nel tempo, ti rendi conto di aver superato il colera, il morbillo, di esserti salvato dal tifo ancora bambinello, di non aver contratto alcuna malattia seria. E quando stai per credere di non temere, ti tuona nella testa la frase:
 
“Questo è un virus senza precedenti, un nuovo mostro da laboratorio “ che sembra così famelico da non aspettare altro che te al varco per sbranarti. E qui partono i pensieri ancora più lugubri: che sia il tuo ultimo tempo, che forse tu abbia raggiunto il culmine della tua esistenza e non debba aspettarti più niente, che tu non sia poi così giovane. Per un po’ di tempo lavori a computer, lanciando di tanto in tanto un occhio ai giornali. Finalmente, dopo aver dato spazio ai pensieri più neri, nella mente fa capolino l’istinto di conservazione che ti sottolinea che non è detto che sia giunta la tua ultima ora. E con questa lampadina accesa, ti dai una mossa o botta di vita come si dice con un buon caffè, un dolce. E mentre ti appresti a farlo, incombe la paura di ingrassare, visto che stai in casa e i tuoi passi sono diventati di piombo e tutto quello che mangi già lo tocchi con le mani sulle costole. E allora ti prometti di essere più buono a tavola, di fare un po’ di ginnastica, magari girando mille volte per la casa come un topo in gabbia, di non pensare al cibo ma dedicarti a quello che ti piace fare, come se fosse semplice. Da questo momento mangi solo cibi a ph alcalino e non acido, per non favorire l’attecchimento del “bastardo”. Poi, dopo lo spuntino, ritorni al lavoro ma già noti che i morti sono aumentati, allora sposti l’attenzione sulla lettura del virus e del complotto, della Cina, dell’America, l’Europa, e adesso anche l’Africa, siamo tutti collusi in questo massacro, nessuno si salva e corriamo ormai senza scampo. E con questa notizia ormai ti dai per spacciato. Ma che ti importa, fuori c’è il sole e la vita continua e come diceva Cartesio “Cogito, ergo sum”, respiro, mangio, scrivo, quindi vivo. E poi il silenzio concilia la contemplazione, la riflessione, il ritrovare te stesso, per poi perderti nello spazio interiore diventato all’improvviso un abisso. Ti alzi, prendi un libro, lo sfogli, un altro caffè. Eppure continui a pensare, a desiderare, ad avere voglia di lavorare, di incontrare amici, parenti e di abbracciarli e dirgli del tuo bene. Ma non puoi farlo ora e forse nemmeno nel futuro prossimo, poiché una volta assestatasi la situazione, non sappiamo se avremo bisogno ancora della mascherina o di un respiratore, se esisteranno ancora i baci o se useremo un nuovo modo di manifestare l’affetto, se ritorneremo al nostro essere primitivo e la tecnologia si porrà come il supplizio di Tantalo: tanta estensione di contatti per non trovarci mai veramente. La domanda è come questo affetto, circolato da millenni, non abbia saputo o potuto evitare tutto questo. Nel delirio massimo capisci quanto quel bastardo riesca a smuovere la tua genetica, la tua chimica e la tua materia grigia. Così piccolo e così insidioso, e poi invisibile. Assurdo, un corpo inesistente stravolge, nel giro di una settimana, il baricentro della nostra vita. Se sei vivo, non è giunta ancora la tua ora, ti tocca questa ennesima epidemia, situazione surreale, per te che fino a ieri avevi il mondo in mano. L’invisibile bastardo, che necessita della nostra vita per vivere, vuole sconfiggerci. Ma abbiamo sempre convissuto con i virus e possiamo definire la nostra una convivenza civile: lui abita in noi, che gli diamo vita, ci assicura di non fare danni, di lasciare l’abitazione in ordine, da buon condomino, osservando e rispettando le regole. Ora come il bastardo, ne potranno nascere altri. La vita nasce sempre, anche quella di un virus. Lo avrà mandato Darwin, lo vuole la Mente Suprema o il nostro prototipo ha bisogno di un ritocco? La quantità di spazzatura mentale che produciamo in momenti come questi è veramente infinita e chissà che in questo caos non partoriamo la mamma del bastardo e di tutti i figli che da ora in poi nasceranno. Intanto ti accorgi che ha assorbito tutti i pensieri della giornata, che ormai è quasi notte, il sole è calato, non hai visto anima viva ma solo virtuale, sentito qualche parente, qualche amico, che devi cenare, che potresti anche evitare di mangiare visto che non hai consumato se non in pensieri. E hai il coraggio di dire che domani sarà un giorno migliore. Il cervello si affida alla speranza, un modo per continuare a vivere. In ogni caso, ci sorprende all’improvviso anche la fede, l’unica capace di placarci e renderci mansueti di fronte all’insondabile. Ubi maior, minor cessat.

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