martedì 2 giugno 2020

Le vie del Signore sono infinite

di Filomena Baratto

L’altro giorno in chiesa è stata dura assistere alla liturgia con la mascherina a mo’ di “museruola”. Chi aveva gli occhiali stava anche peggio, rimandando ai beccamorti del ‘600. Sul sagrato c’era chi misurava la temperatura corporea e sulla porta il dispenser col disinfettante per le mani. I posti a sedere, distanziati, per ogni banco due persone. La chiesa aveva 100 posti disponibili. Il sacerdote non sapeva dove sistemare le persone rimaste sulla porta, alle quali aveva già detto dall’altare che non c’erano più posti liberi. Le vecchiette non recepivano nemmeno il messaggio. Il Signore certamente non le avrebbe mandate a casa. Una contraddizione se deve accogliere tutti. Come si fa a spiegare agli anziani questa novità? Sembra inverosimile che una volta si entrava in chiesa a tutte le ore, le porte erano sempre aperte e non c’era alcun limite da mantenere. A Pasqua e Natale si stava come le acciughe, segno che eravamo tutti rispettosi e devoti. Anzi, più si stava assiepati in chiesa, più era segno tangibile di fede. Ora solo due persone per banchi, agli antipodi, anche dello stesso nucleo familiare e in tanto spazio ci si sente smarriti. La messa è iniziata con mezz’ora di ritardo per sistemare chi era rimasto fuori.
 
Come poteva un tempo Gesù non accogliere tutti? Come avrebbe potuto dire che non c’era posto, che bisognava stare distanti? Già immagino Zaccheo(Lc 19,1-10) che, alla mancanza di un sicomoro nelle vicinanze, cerca la postazione nel coro con l’organo, di fronte l’altare, sovrastando tutti dall’alto. Religione e salute, corpo e spirito che vanno in collisione! Conciliare il diritto alla salute con la professione di fede. Alla fine il parroco ha sistemato le persone nei posti disponibili sull’altare, sempre distanziati secondo norma. Molto suggestiva l’immagine del sacerdote durante l’omelia con la mascherina che rollava sul viso, come una barca sospinta dalle onde, mentre noi fedeli recitavamo le preghiere avendo la sensazione che la voce giungesse da fuori. Il massimo lo abbiamo raggiunto alla Comunione, ma prima il parroco ha spiegato come comportarci: allungare le braccia e prendere l’ostia appoggiandola nel palmo della mano, poi con l’altra prenderla e portarla alla bocca, spostando la mascherina. In quel momento sembravamo tanti ladri che preso il bottino lo incameravano velocemente per non farselo soffiare. E poi il segno di pace: ognuno si girava intorno alla ricerca dello sguardo altrui su cui appoggiarsi, con un accenno di riso che si percepiva da un arricciamento ai lati degli occhi. Ma ancora non era finita. A fine messa, non sapevamo come salutarci tra amici, parenti, persone che non vedevamo da tanto. A quel punto ci voleva una stretta di mano, un abbraccio, un sorriso…ma niente. Qualcuno ha azzardato uno slancio, qualche altro si teneva a notevole distanza, qualche altro ancora ci scherzava su. C’erano quelli che rapidamente si salutavano facendo toccare il gomito, come quel gioco di aste che si incrociano velocemente. E’ il nuovo modo di celebrare, dettato dal virus. Non è la prima volta che la Chiesa si adopera a prendere precauzioni per le epidemie. Una volta si sigillavano le fonti battesimali e ci si muniva di altari portatili per messe all’aperto. Oggi non mancano gli esempi di strategie pastorali: negli Stati Uniti Tim Pelc, parroco di Saint Ambrose (Detroit) asperge i fedeli a distanza con acqua santa da una pistola, mentre a Pisa, Mario Brotini, parroco di San Miniato, dopo aver comunicato via Whatsapp l’orario del passaggio, percorre il paese in un maggiolone con capote abbassata e brandisce un ramo d’ulivo per benedire. (C.Ferlan sul Corriere della sera) E chissà un giorno diremo ai nostri nipoti: “Una volta in chiesa non era così. Si cantava a squarciagola, si stava vicini nei banchi, si origliava la persona del banco dietro o avanti, si scambiava una parola con chi non vedevi mai fuori di lì, ci si confidava. Ci si incontrava tutti, era un po’ una festa, un momento di fede e di comunione con gli altri. Una volta per prendere l’Eucarestia c’era una lunga fila di persone con le mani giunte. E poi, nel tornare a posto, ci si sfiorava, si chiedeva permesso, ci si salutava, incrociavi lo sguardo degli altri regalando un sorriso. Il padre nostro si recitava tenendosi per mano e ci si dava un segno di pace abbracciandoci e baciandoci”. Chissà che non ci guarderanno con gli occhi fuori dalle orbite e ci prenderanno per dei primitivi. La messa sarà svelta e ultramoderna e durante la funzione non si vedrà più un sorriso, tutti mortificati da maschere di ogni tipo. Le uniche fiammelle accese saranno gli occhi, le mani più ferme che mai. Togliendo il tatto e la voglia di contatto come il gusto di proferire parola, forse daremo più valore all’ascolto e alla vista insieme.

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