lunedì 28 dicembre 2020

Un cuoco in libreria e un letterato in cucina

di Filomena Baratto 

Cosa accomuna un cuoco a un letterato? La passione! Quella che il primo mette nel creare un piatto è la stessa che permette al letterato di restare incollato ai libri. La passione travolge e avvinghia. Vale per i fornelli e per i libri. La letteratura non dà alcun piacere immediato se non la conoscenza a lungo termine. La gola, spesso, scade nel vizio se si eccede col cibo, recando danni alla salute. E mentre per un attimo di piacere delle papille gustative si è disposti a pagare molto, non si è dello stesso avviso per la lettura di un libro. C’è ancora chi i testi li strappa, li dimentica negli scaffali, li sfoglia appena. Si spende volentieri più per gustare un piatto che per comprare un libro. Un testo bisogna leggerlo per gradirlo e richiede tempo per arrivare alla fine. Leggere sa di ascolto, viaggio, storia. Mangiare sa di libertà, godimento di breve durata. Nella lettura ci sono proiezioni mentali, fantasia, creatività. Nel tempo la cucina si è evoluta, perfezionata e apprezzata, mentre i libri, se non sanno di leggerezza, di ironia non vengono avvicinati. I due mondi potrebbero fondersi in una felice unione. Immaginate di andare a cena con Madame Bovary che ci invita ad assaggiare la minestra maritata, grande sforzo nel suo caso.

 

E ancora a cena con il Capitano Achab di Moby Dick a gustare un patè, o Natal’ja Rostova di Guerra e pace di Tolstoj che chiede un’insalata russa. Ma anche Cenerentola con la mozzarella in carrozza o i Lillipuziani di Gulliver con i cecinielli. Sarebbe uno spasso mettere su un ristorante letterario dal nome: Dimmi chi vuoi a cena (Non provate a prendere l’idea che è già registrata). Una carrellata di personaggi in cerca di un cliente da sedurre. Già pregusto Dante e Virgilio in cerca di anime che si sciolgano nei piatti, e che magari in un dialogo tra i due a tavola, ci scappi il verso 117 del XXXII canto dell’Inferno dove dice: "là dove i peccatori stanno freschi" per dire che questa cosa non si potrà fare. In giro potrebbe vedersi Milton aggirarsi tra i tavoli alla ricerca del piatto perduto, Il conte di Montecristo , ancora in catene gironzolare assetato di vendetta, il vecchio di Hemingway con il mare nei piatti, Pinocchio con i torsoli di pera, il signor Dino Buzzati alle prese con una salsa tartara, Rossella O’Hara che mangia niente nel suo piatto fatto di vento. Un ristorante dove si respiri aria di secoli, di fatti, di storie, di tragedie e di commedie, dove il cibo sia un piccolo ristoro per riprendersi da un sospiro o un’uccisione, una dichiarazione d’amore e una fucilata, una cavalcata o un duello. Così come non è semplice per un cuoco accontentare i clienti con piatti letterari, un amante della letteratura in cucina può anche perdersi con una gru. Comincia a raccontare la novella di Chichibio, la quarta della sesta giornata del Decamerone di Boccaccio, ponendo in secondo piano come si cucina la cacciagione. Per la colazione non si può eludere quella della Montagna incantata di Thomas Mann là dove dice:” Poi si sedette e avvertì con piacere che la prima colazione era considerata un pasto serio”. La variante sarebbe un buon tè nel deserto. Oggi l’arte culinaria è accessibile a tutti, contrariamente alla lettura che richiede concentrazione, attenzione e comprensione. Intraprendere un viaggio nel libro non è lo stesso che incamminarsi nel piatto davanti e consumare con tutti i sensi. La lettura usa solo gli occhi sulla pagina bianca segnata di nero, tutt’al più potrebbe servirsi degli orecchi leggendo ad alta voce, ben poco per invogliare a inoltrarsi tra le pagine. E se con venti euro compri un degno libro e ti senti in colpa, al ristorante ne spendi anche cinquanta e sei felice. E poi col benessere si ingrassa, il cibo lo vedi addosso, con la lettura si apprende solo alla fine, sempre che si sappia leggere e non si salti di pagina in pagina per dire di averlo finito. Forse per la salute la lettura è più conveniente del cibo, oltre a essere più economico. Ma si sa, non si vive solo di cultura e di libri, bisogna alimentare il gusto come i neuroni. Ecco perché un cuoco vale più di un letterato. Uno chef alimenta lo stomaco e da quando il mondo è nato c’è bisogno di carburante per vivere. Diciamo che il cibo è primordiale, il sapere viene dopo, quando la pancia è piena. E dovendo mangiare almeno tre volte al giorno, è comprensibile il successo dell’arte culinaria oggi. Ma un lettore non diventerà mai stellato come un cuoco. La storia insegna che anche tra chi legge c’è chi non può far a meno del buon cibo e tra chi cucina chi non può resistere ai libri. Ecco il motivo per cui un ristorante letterario metterebbe d’accordo tutti. Intanto sempre di cibo si tratta: l’uno per il corpo, l’altro per la mente. Mens sana in corpore sano, come diceva Giovenale.

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