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sabato 24 maggio 2008

Chi ha visto il nuovo PD?

Non poteva cominciare in maniera migliore la nuova stagione del centrodestra in Italia. La scelta di Napoli è stata felice. Napoli, che non senza eccessiva retorica, agli inizi degli anni Novanta, veniva indicata come la capitale di un rinascimento, cui avrebbero dovuto e potuto ispirarsi non solo le regioni meridionali, ma l'intero paese. La riunione del primo Consiglio dei ministri del nuovo governo ha avuto, dunque, al di là del suo valore mediatico, un duplice significato. Innanzi tutto quello di onorare una promessa simbolica fatta in campagna elettorale; e mostrare nella situazione napoletana l'esito estremo della politica del centrosinistra, non solo nel Sud. Bisognava, perciò, muovere dal Mezzogiorno, per avviare una politica unitaria e «nazionale» di riforme, rompendo con vecchi pregiudizi e vuoti ideologismi. E l'evento napoletano è stato, intelligentemente celebrato senza iattanza. Anzi con gesti di apertura significativi, in special modo verso quanti hanno avuto, in questi anni, la responsabilità politica e amministrativa della regione e di larga parte dei comuni e delle province campane. Questa «apertura» è stata immediatamente «utilizzata » e letta in chiave consociativa, da molti autorevoli dirigenti del Pd, i quali, piuttosto che interrogarsi sulle cause del fallimento della loro politica, stanno già lavorando in vista di prossimi importanti appuntamenti elettorali; e immaginare alleanze anche le più spregiudicate e disinvolte. Tant'è. Ma il punto dolente è un altro. Nel Pd, finora, non c'è stata una riflessione seria e severa sullo stato del partito. Solo qualche dichiarazione, affidata alla stampa, peraltro infarcita di luoghi comuni. Quanti avevano alacremente, nei mesi scorsi, lavorato per sostenere le proprie candidature al Parlamento e al Senato, non si sa dove si trovino o che cosa facciano. Intanto, vanno prendendo corpo iniziative, animate, perlopiù, da giovani, da intellettuali, da donne, da vecchi militanti «ulivisti», i quali non rimpiangono affatto le antiche forme di organizzazione partitica, ma avrebbero voluto davvero una svolta di alto profilo democratico e un serio confronto civile. Ieri l'altro, a Napoli, c'è stata una riunione del gruppo dirigente regionale del Pd con D'Alema. Da quanto si è saputo, in quella sede non è emersa nessuna idea atta ad avviare un dibattito non rituale, necessario come non mai a Napoli e in Campania, dove si è avuto un naufragio culturale, ideale e progettuale che è molto più ampio di quanto non dicano le stesse cifre della sconfitta elettorale. Sembra, da molti segnali, che si stia ritornando alla stagione precedente la nascita del Pd. D'Alema, all'indomani delle elezioni, in una sofferta intervista rilasciata al Corriere, aveva avanzato molte critiche alla linea di Veltroni; e aveva detto di voler impegnarsi per una «fase nuova», attenta alle realtà territoriali e alle domande di libertà, di democrazia e di progresso civile che vengono dalla società e dal mondo del lavoro. A Napoli avrebbe potuto almeno dar conto del suo progetto. Invece, sembra, tutto si è svolto tranquillamente, come se nulla fosse successo. Quieta non movere. (Aldo Trione da il Corriere del Mezzogiorno)

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