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sabato 27 maggio 2017

“Il lotto è l’acquavite di Napoli”

di Filomena Baratto

Vico Equense - “Se accade un fatto come io spero, oggi non mi vedete più qui, signore mio. — Che fatto? Un terno, che debbo vincere. — Un terno? — Un terno sicuro: tre, quarantadue, ottantaquattro. — Chi te l'ha dato? — L'innamorata mia. Se vinciamo, cambiamo stato”. Sono le parole tratte da “Terno secco”, uno dei racconti napoletani di Matilde Serao del 1889. L’autrice parla del lotto in molti dei suoi libri, riprendendone ogni volta un aspetto nuovo. Dal francese “lot”, sorte, ma prima ancora da una voce germanica “hlauts” porzione assegnata, il lotto entra a far parte della cultura e della mentalità napoletana in una simbiosi unica sin dal 1682, data del suo ingresso a Napoli. E pensare che nasce a Genova nel 1567, come scommessa sui candidati dei Serenissimi Collegi, chiamato “Gioco del Seminario” dall’urna di sorteggio, detta “seminario”, da cui si estraevano i nomi. Il lotto arriva a Napoli per esigenze governative di incrementare le entrate e per evitare che i Napoletani investissero sulle altre ruote. Prima di allora si giocava alle “bonafficiate”, precorritrici delle scommesse di oggi. E’ un fenomeno tutto napoletano che vuole gli eventi della vita concatenati come se l’universo fosse un’unica materia. A Napoli ogni fatto assume un valore dai contorni numerici. Se cade il caffè sul tavolo, se il gatto guarda la luna, se il vecchio muore seduto sono eventi da leggere non come fenomeni sensibili e pertanto spiegabili, ma come fatti che assumono caratteristiche diverse, come a svelarci un sogno in itinere.
 
A Napoli la vita si svolge su di una sequenza numerica. La Smorfia ce ne dà un esempio: ogni fatto un numero, come se la realtà fosse vissuta in codice. Si può addirittura esprimere un pensiero con i numeri: 22, 47, 1, 90 per la Smorfia sono un pazzo, un morto che parla, l’Italia e la paura. A Napoli si parla così. La fortuna va rincorsa e cosa c’è di meglio di un numero tratto dalla realtà o anche mandatoci dall’aldilà? Questo gioco è a stretto contatto con i defunti che, attraverso i sogni, ci forniscono i numeri, come se vegliassero sulla nostra fortuna. Nel Libro magico di San Pantaleone si parla di preghiere da proferire per ottenere una terna di numeri. Tra le preghiere recitate c’è questa riportata dall’antropologo Domenico Scafoglio nel suo libro Il gioco del Lotto a Napoli:” Oggi è luna e dimane è Marte/ A sorte mia mo se parte/ Vene pe mare, e vene pe terra/ Viene ‘nzuonne sorta mia bella./Viene’nzuonne e nun m’appaurà/ Tre belle nummere famme sunnà. Il rituale prevedeva queste parole dopo le preghiere avendo tra le mani il biglietto con i numeri da giocare. Il Signore dei numeri a Napoli è San Gennaro e prima che a lui, per paradosso, le preghiere vanno rivolte a Dio per far sì che interceda presso il Santo a fornire la terna vincente. Protettore del gioco del lotto è San Pantaleone, un medico vissuto al tempo di Massimiliano, morto martire durante il suo impero nel 305. La Chiesa non ha mai visto di buon occhio il lotto, per chiamare in causa i defunti come apportatori di fortune e per diventare così schiavi del gioco di cui non si può più fare a meno. La preveggenza del futuro è pertinenza dei defunti, che passati a nuova vita hanno una lettura degli eventi prossimi più chiara e distesa dei vivi. Quando arrivano sulla soglia dei sogni, indicano con gesti e parole i numeri da giocare. Non sempre riusciamo a decifrare il tutto, ma testardamente attribuiamo ad ogni cosa un numero e corriamo a giocarli come estremo tentativo di sfidare la fortuna. Ma proprio i riti, che invocano i morti a venire in nostro soccorso, sono quelli vietati dalla Chiesa. I defunti, avendo conosciuto la vita, ritornano dalle nostre parti come se avessero lasciato dei sospesi. Molto spesso li richiamiamo per la volontà di averli ancora con noi, così come a volte li invochiamo in previsione di accompagnare un altro vivo tra i morti. Sono molte le persone che attendono di sognare i defunti per i numeri vincenti. La tradizione fa poi affidamento al “Monaciello”, una figura mitica di tradizione popolare di cui parla Matilde Serao nei suoi racconti. E’ la storia di un bambino nato da un amore contrastato tra un aristocratico e la figlia di un mercante. Il bambino, dopo la morte del padre, ucciso dai parenti, resta con la madre che intanto impazzisce di dolore per la perdita dell’amato. Il bambino presenta un aspetto anormale: un corpo piccolo con una testa smisurata. La madre preoccupata per la sua bassa statura oltre a un aspetto deforme, si rivolge alla Madonna e nel farlo veste il figlio di bianco o nero. Tutti lo chiamano “monaciello” per la sua piccola statura e strana figura. Si pensa che, dopo la morte della madre, venga ucciso e che, anche da defunto, si aggiri per i luoghi dove era nato. I poteri del monaciello sono sia quelli di fare del bene per mezzo di premi, che fare del male con le vendette. Ma il lotto, oltre a essere un esercizio giornaliero delle folle che allenano la loro fantasia con le spiegazioni più strane di fatti ed eventi che accadono, è visto come un gioco e come tale può dare assuefazione con la parossistica ricerca di un terno sicuro. Ma il lotto, rispetto agli altri giochi, ha una sorta di incantesimo che fa rivivere fatti e persone senza distinguere più se si tratti di morti, di vivi, di miti o leggende. La fantasia prolifica e vive il suo momento di gloria. La Serao riesce a dare una visione completa di quello che è il Lotto a Napoli a cominciare dal romanzo “Il ventre di Napoli” dove, attraverso un affresco della società napoletana, parla ampiamente del gioco più famoso in città, denunciandolo come uno dei mali più diffusi tra la gente. "Il lotto è il largo sogno, che consola la fantasia napoletana: è l'idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si prende le anime. […] Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l'acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l'acquavite di Napoli." Ma ne “Il paese di cuccagna” approfondisce ancora l’argomento affermando che il lotto è un modo per depauperare le classi meno abbienti tutto a beneficio delle classi più agiate.

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