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venerdì 23 febbraio 2018

The Sorrento peninsula, a sacred land full of beauty

di Raffaele Lauro da Excellence Magazine Luxury 

Tutta la costiera sorrentino-amalfitana, includendo il Sentiero degli Dei, che si diparte da Agerola (Bomerano) per arrivare fino a Positano e alla Punta della Campanella, sovrastata dal Monte San Costanzo e impreziosita dai reperti del Tempio di Athena, fondato dall’errante Ulisse, risulta profondamente impregnata di sacralità, nel significato più profondo della classicità e della mitologia greco-romana. Non esiste, quindi, un solo angolo di questa terra di bellezza che non sia nutrito di spiritualità e che non assuma un significato oltremondano, in relazione alle presenze divine che l’hanno abitata e che, tuttora, la abitano. Se la dea Athena signoreggiava, con il suo tempio, sull’estremità della Penisola Sorrentina, prima che questa propaggine rocciosa di natura meravigliosa si tuffasse nelle acque cilestrine del mare, per riemergere, come Venere Ciprigna, nell’incanto naturalistico di Capri, la corrispondente deità, la dea Minerva, signoreggiava, del pari, sull’ingresso alla costiera, sul confine tra Vico Equense e la “planities” sorrentina, con il suo tempio, altrettanto maestoso, circondato dai pacifici ulivi, tanto amati dalla divinità, nata dalla testa di Zeus. Un santuario, questo, adorno di roghi votivi, accesi dagli antichi abitatori sorrentini e ispiratore, per loro, delle grandi virtù eroiche della dea: la lealtà, la saggezza, il coraggio, la lotta per le cause giuste e la strategia per la difesa dei suoi devoti! Abitatori dei villaggi agricoli, sorti alle falde della montagna, presso la Fonte del Petrale o sulla spianata di tufo grigio, che si apriva da Scutolo verso il piano. Geniali costruttori, insieme con i coloni greci e poi con quelli romani, dei terrazzamenti ai fianchi della collina, sostenuti da muri e muretti di tufo, onde ricavare gli appezzamenti da adibire alle colture agricole, adatte all’ambiente.
 
Custodi fedeli del tracciato strategico della via Minervia, che scendeva dal confine di Alberi, attraversava i villaggi e consentiva ad Augusto, e al suo successore Tiberio, di inviare, a Roma, tramite veloci corrieri terrestri, gli ordini imperiali e di ricevere le notizie dal Senato, senza dover abbandonare l’amata isola di Capri e rinunziare agli “otia” nelle splendide dimore isolane (Giardini di Augusto, Villa Jovis, Villa Damecuta, Palazzo a mare) e nelle ville marittime sorrentine. La dea Minerva appariva, ai nativi, adorna dell’egida e della lancia nuova, maestra delle arti utili, frutto dell’architettura, della matematica, della geometria e dell’ingegneria navale. Quanti segreti del mestiere la dea delle arti utili ispirò e trasmise, nei cantieri della Marina di Alimuri di Meta, della Marina di Cassano di Piano e della Marina Grande di Sorrento, alle maestranze che partecipavano direttamente alla costruzione dei velieri (i maestri d’ascia, i carpentieri, i segatori, i calafati, i “maestri di mare”, destinati all’assemblaggio delle manovre) e alle maestranze che vi partecipavano indirettamente, sparsi sui territori (gli artigiani impegnati nella produzione delle vele, delle cime e delle botti)? Territori, quelli della Penisola Sorrentina, tutti feraci, baciati dal sorriso di Demetra, la dea madre, la dea della terra produttrice, che presiedeva all’agricoltura, che vigilava il sereno lavoro dei contadini, lo aiutava e lo rendeva più facile con i suoi saggi insegnamenti. Territori, quelli della Penisola Sorrentina, pieni di luce, dardeggiati dai raggi del carro di Apollo, il dio del Sole, nonché delle arti musicali e poetiche, recante sul capo il “lauro” trionfante dei vincitori, simbolo del suo folle innamoramento per la giovane ninfa, Dafne, trasformata, per essere sottratta alla furia erotica del dio, in una pianta di alloro. Quante piante di lauro e di alloro, quanti simboli di Dafne hanno impreziosito, per secoli, i cigli e i valloni della costiera sorrentina? Territori, quelli della Penisola Sorrentina, profumati di mare, sotto la signoria di Poseidone-Nettuno, dio del mare, padrone delle acque e della navigazione, incedente con il tridente, regalo dei Ciclopi, il toro, il delfino, il cavallo e con quel carrello d’oro che placava istantaneamente le tempeste, caro ai pescatori e ai marinai delle origini. La terra sorrentina, dunque, come tutta la costiera sorrentino-amalfitana, è sacra, perché rappresenta il teatro vivente di miti divini: dal mito della processione degli dei che corrono, lungo il sentiero, verso Li Galli, in soccorso ad Ulisse, insidiato dalle Sirene, ai tanti miti degli dei celesti, che scendono in terra dall’Olimpo, e degli dei sottomarini, che riemergono dal mare. L’immergersi e il riemergere dalle acque marine di queste deità non assume mai un significato negativo, funesto, di non-ritorno, ma sempre un significato di rinascita della speranza, di rinnovamento, di nuovo inizio e di nuova vita. Per questa ragione, gli abitatori antichi di questa terra sacra non hanno mai manifestato debolezza o terrore di fronte al divino, perché, quando un dio appariva, li rendeva liberi, coraggiosi, forti e sicuri. Ecco perché i sorrentini antichi hanno sempre guardato con rispetto a queste presenze superiori, le hanno trattate sempre con amichevole familiarità e hanno raccorciato sempre le distanze tra le realtà terrestri e quelle oltremondane. Questa concezione del sacro, in termini classici e mitologici, ha fornito loro una percezione arcaica del mondo, intesa come dimensione profonda della realtà, tipica proprio delle popolazioni sorrentine. Dai miti antichi alle eccellenze gastronomiche di questa terra, il passo non è stato breve. Sono passati più di venti secoli, ma i fondamenti dell’arte culinaria sorrentina, quella odierna, che annovera prestigiosi ristoranti e una decina di chef stellati, sono rimasti gli stessi: l’amore per la propria terra e per le colture genuine, protette dall’omologazione imposta dalle multinazionali dell’alimentazione. La filosofia della cucina mediterranea, quindi, si alimenta delle stesse radici culturali della classicità. Il fondatore indiscusso di questa dottrina gastronomia rimane don Alfonso Iaccarino, con il suo ristorante-boutique “Don Alfonso 1890”, a Sant’Agata sui Due Golfi, e con la sua tenuta agricola, “Le Peracciole”, aggrappata alla Punta della Campanella, dalla quale il maestro trae gli ingredienti naturali, a partire dai limoni, per creare le sue ricette, conosciute ormai in tutto il mondo. Un’eccellenza italia, a livello internazionale.

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