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domenica 21 marzo 2021

Pezzi di Storia della marineria Equense

della Lega Navale sezione di Vico Equense

“Siamo nella primavera del 1934, in piena era fascista, la propaganda imperversa ma l’idea di raggiungere a remi la capitale dell’Impero è geniale, come pure nobile il proposito dei pescatori di rendere omaggio, incolonnati e con i remi in spalla, alla tomba del Milite Ignoto e all’Ara dei Caduti fascisti. L’idea venne al fiduciario del Circolo fascista rionale di Napoli “Giovanni Luporini”, il camerata Franco Forlenza e fu subito appoggiata dal Consorzio peschereccio campano, si trattò di mettere insieme un gruppo di gozzi e di pescatori in grado di remare da Napoli fino al cuore di Roma, in un pellegrinaggio che fu anche manifestazione di forza e di fede dei lavoratori fascisti. Il raduno previsto fu a Mergellina, dove confluirono i pescatori vogando sulle loro imbarcazioni, provenienti da ogni marina del Golfo e della Costiera sorrentina, vi presero parte tutti i principali centri marinari: ben quattro equipaggi venivano da Ischia: il gozzo “San Michele” di Sant’Angelo, “Antonio Scannapieco” di Ischia Porto, il “Nazario Sauro” di Lacco Ameno e il gozzo “Pietro Matarese” di Forio, due gozzi da Capri, due da Sorrento, due da Vico Equense e uno rispettivamente dalle marine di Massalubrense, di Piano di Sorrento, di Torre Annunziata, di Torre del Greco, di Procida, di Pozzuoli, e i gozzi dei borghi marinari napoletani di Santa Lucia, della Marinella, di Loreto, di Mergellina.

 

I gozzi e l’equipaggio di Vico Equense

Come detto gli equipaggi di Vico Equense erano due: il “Sant’ Antonio” (probabilmente gozzo chiamato per l’occasione il “Paturzo Michele” in onore del comandante e giornalista di Piano di Sorrento) con il capo barca Antonio Manganaro  e l’equipaggio, composto da Eduardo Cuccurullo , Pasquale Manganaro (detto gallinel), Andrea Cuccurullo, Eduardo Cuccurullo, Gennaro Cuccurullo, Emanuele Sorrentino e Carlo Sorrentino di Umberto.

 Il “San Pasquale” con l’equipaggio composto da Luca Manganaro di Giovanni detto (Palatella), Luca Manganaro di Salvatore (detto di Zifiella), Ferdinando Sorrentino, Pasquale Cuccurullo, Luigi Cuccurullo detto (Giarrone), Sorrentino Pasquale (detto Garibaldi) Michele Sorrentino detto (o’Capitano).

  

Aderirono all’appello in tutto 20 barche ognuna composta da sei vogatori ed un capobarca, 140 uomini che andavano dal più esperto 56 anni, il pescatore Vincenzo Doria di Santa Lucia, al più giovane 18 anni, Luigi Trapanese, pescatore di Mergellina. Si trattava di vogatori formidabili in possesso di una remata lunga ed efficace, non avevano bisogno di affiatamento o di allenamento, ad esempio quelli di Torre Annunziata avevano l’abitudine di spingersi sino nelle acque pescose di Salerno, oppure gli equipaggi di Vico Equense composti da fratelli e cugini: uomini che remavano insieme sin da piccoli, da quando avevano iniziato a prendere un remo in mano.

 

Il raduno napoletano

 

Gli organizzatori non volevano assolutamente che la vogata avesse un carattere di regata o di competizione, gli uomini che prendevano parte all’evento non erano in alcun modo degli sportivi, ma sono degli umili pescatori dai muscoli allenati dalla durissima fatica della pesca. Tanto il “Gruppo fascista Luporini”, rappresentato dai camerati Franco Forlenza e Gennaro Mastrostefano, quanto il Consorzio peschereccio sovvenzionarono i partecipanti con un piccolo contributo economico, ma si guardarono bene dal dare loro suggerimenti per i preparativi: pertanto i venti equipaggi ebbero piena libertà di decorare i gozzi secondo il loro gusto e le loro tradizioni: le loro imbarcazioni avevano colori vivaci: bianco, verde, rosso, giallo, le insegne rappresentavano la secolare storia delle loro marinerie. Anche i loro metodi di pesca, si rifacevano alle antiche tradizioni, ad esempio alcuni colpivano le spigole e i pesci-spada con lunghe lance, altri usavano pescare a strascico: con la menaide una rete per la pesca di sarde e alici detta “menaita”, nella quale il pesce resta imprigionato per la testa o con il metodo del palangaro, detto “palangheso”, considerato uno dei sistemi di pesca sul fondo più selettivi: grazie alla grandezza degli ami, altri ancora pescavano facendo uso di “lampare” e uncinando i polipi veraci. Malgrado il clima della festa, non mancò lo spirito di competizione tra i pescatori, ad esempio vi fu una discussione animata tra uno spavaldo marinaio di Procida e un vecchio e celebre capovoga della Marinella, don Salvatone Granato. Il giovane rivendicava la bravura dei procidani, che uscivano per la pesca con qualunque tempo: don Salvatore riconobbe la bravura degli isolani, ma rammentò loro che il primato toccava ai vecchi lupi della Marinella, che pescavano al buio con la “menaita”, con ciò significando che la “lampara” era considerata una molllezza. A mezzogiorno i 140 vogatori pranzarono a Mergellina, nella trattoria di “Nase ‘e cane” (Ciro a Mergellina), famoso ritrovo della Napoli marinara, naturalmente all’aperto, nel frattempo il mare si era già gonfiato sotto il soffocante scirocco, e scrosci d’acqua iniziarono a cadere sui pescatori, che imperterriti continuarono ad avvolgere i rossi vermicelli, tanto più che i compagni di Forio d’Ischia avevano portato dall’isola qualche barile di vino bianco che aggiunse allegria, ad un pranzo già di per se molto conviviale.

 

La partenza per l’Urbe.

 

Poco dopo le 18.00 del 18 maggio, un rimorchiatore di alto mare portò i venti gozzi dall’approdo di Mergellina, alla rotonda Diaz, dove era stato allestito il palco delle autorità, schierati su due file sulla banchina, i pescatori sono furono passati in rivista dall’ammiraglio Ernesto Burzagli, Comandante del Dipartimento marittimo del Basso Tirreno, il commissario del Comune duca Niutta, consegnò con brevi, commosse parole, al fiduciario Forlenza un messaggio per il governatore di Roma.


L’ammiraglio Ernesto Burzagli

Terminati i convenevoli il megafono diede l’ordine agli equipaggi di occupare i banchi di voga, i pescatori accorsero entusiasti agli scogli, il tempo era diventato pessimo e il marinaio sorrentino Provisiero, con la sua lunga esperienza scuoteva il capo, ma appena l’ammiraglio Burzagli diede il segnale di partenza, ecco che con impeto i venti gozzi partirono a dispetto del mare grosso, e la folla napoletana li ammirò e dette loro il buon viaggio con una calorosissima dimostrazione di simpatia.              Il gruppo era seguito da un minuscolo motopeschereccio della stazione ittiologica di Napoli (Stazione Dohrn), si trattava di un “guscio di noce”, a bordo c’erano oltre agli organizzatori, anche tre giornalisti e un medico di cui fortunatamente non ci fu mai bisogno. Anche per loro fu una dura navigazione, in una delle tappe più tempestose, apparì sulla scia della flottiglia anche un rimorchiatore inviato dalle autorità marittime. Durante la traversata il tempo peggiorò e fu necessario rassegnarsi a restare una giornata a Pozzuoli, ci fu pioggia e mare grosso; il 19 maggio, alle prime luci dell’alba, rimisero le barche in acqua, c’era “mare lungo”, le onde morte rendevano più penosa la navigazione, ma una volta doppiato il Capo Miseno le cose migliorarono, in ciascuna imbarcazione i sei rematori rivolti alla prua, in piedi, s’incurvavano ritmicamente nella vogata, il settimo uomo, brandendo il remo di poppa, ritmava la voga e dirigeva l’imbarcazione. Il successivo approdo fu Gaeta, dove giunsero alla fine di una dura vogata, per quarantadue miglia in mare aperto, si racconta che giunti quasi all’arrivo, l’equipaggio del gozzo di Sorrento non seppe resistere, e quando gli passò vicina la motobarca della Difesa marittima, si mise in competizione con essa, dinanzi alla folla che gremiva la riva, i remi dei sei pescatori sorrentini “A tutta forza!”, arrivarono per primi in un delirio di acclamazioni. Quello che più commosse i pescatori fu il saluto cordiale e fraterno dei marinai della seconda Squadra, di stanza a Gaeta, sotto il sole, le magnifiche navi all’ancora formavano un superbo spettacolo, dalle murate gli equipaggi applaudivano freneticamente i vogatori, molti di quei pescatori sentirono dolce la nostalgia degli anni trascorsi in servizio nella Regia Marina, quando i gozzi sfilarono sotto le alte murate dell’incrociatore “Trento”, la banda di bordo dedicò loro “Giovinezza”. L’indomani lasciata Gaeta alle 7.30 del 20 maggio, la singolare flotta di gozzi, in tre ore raggiunse Terracina, il mare era “come una tavola”, cosi tranquillo da indurre gli equipaggi a spassarsela tutto il tempo a spese di quelli di Santa Lucia che erano sette uomini di una certa età su di una barca di ventotto anni, il “gozzo dei vecchi” si difese strenuamente con un’allegria inesauribile, dai vivaci attacchi portati dai giovani ed irriverenti vogatori. Durante la tappa da Terracina ad Anzio che fu compiuta di notte, un temporale scoppiò all’altezza del Circeo, ma non vi fu neppure un attimo di sconcerto e la prua delle barche continuò ad avanzare tranquillamente, il fanale acceso a prua rischiarò la buia superficie del mare. All’alba del 21 maggio, i pescatori trovarono Anzio avvolta dalla nebbia, la folla mattiniera convenuta per l’occasione ebbe modo di applaudire i pescatori di Porto d’Ischia che col loro gozzo giunsero per primi a riva dopo una lunga volata.

 

L’arrivo a Fiumicino, alla foce del Tevere

 

Lo scalo di Fiumicino si presentò festoso e difficile, i venti gozzi da pesca che sulle orme di Enea, avevano solcato il Tirreno si attraccarono in fila lungo il molo, i 140 pescatori napoletani l’indomani erano attesi a Roma, e dopo essersi riposati, ospitati nelle scuole del paese, erano tornati alle loro barche e chiacchieravano amabilmente come se non si fossero visti da anni; c’era poi la folla dei curiosi, anch’essa chiassosa e divertente, a disturbare la quiete del piccolo scalo, nel quale gli scaricatori erano abituati a lavorare in tranquillità. I gozzi arrivarono alle 11.00 nelle acque del Tevere, erano partiti da Anzio alle 05.15, mantenendo una bella media, nelle previsioni degli organizzatori la velocità media delle imbarcazioni sarebbe dovuta essere di tre o quattro miglia orarie, le tappe invece furono compiute alla velocità di cinque e anche di sei miglia all’ora. Dopo la sosta notturna, alla buon’ora, alle 04.30 del 22 maggio, salutati dalla folla accorsa malgrado fosse mattino presto, i vogatori affrontarono la corrente avversa a tempo di record, mantenendo una velocità media di 4 miglia all’ora, arrivando alle 07.00 a Mezzocammino, situato a 22 chilometri dalla foce del fiume. Da qui, dopo aver attraccato le imbarcazioni ai piloni di un cantiere fluviale, si recarono a piedi a ponte Galera, dove furono cordialmente ricevuti dal segretario del Fascio locale, l’avv. Giovannetti della Federazione canottieri e da altre personalità, e presero parte ad un ricevimento organizzato in loro onore dalla Casa del Fascio. L’indomani il 23 maggio, alle 05.00, i venti “gozzi partenopei”, che erano partiti da Napoli la settimana prima, ripresero a vogare da Mezzocammino, proseguendo il loro viaggio sul Tevere alla volta di Roma. Le imbarcazioni superarono i venti chilometri che le separavano da Roma con un buon ritmo, il percorso si svolse fra il ritmico affondare dei remi e il canto a voce spiegata dei centoquaranta vogatori, e fu compiuto in circa quattro ore: alle 09.00, infatti la flottiglia di gozzi raggiunse il porto industriale di San Paolo, dove fu accolta dall’urlo delle sirene degli stabilimenti vicini e dall’applauso della folla ammassata lungo i parapetti delle due rive. Attraccate le imbarcazioni, i marinai scesero a terra e si recarono agli alloggiamenti loro assegnati per un breve riposo. Alle 16.30 gli equipaggi erano di nuovo ai loro posti, indossati gli abiti della festa, berretto rosso, maglia bianca e farsetto azzurro, al canto delle loro più caratteristiche canzoni, i marinai ripresero a risalire il fiume sacro di Roma e le imbarcazioni, in formazione compatta, attraversarono così la Capitale. Dal popolare quartiere di Testaccio fino a quello aristocratico della zona Flaminia, i pescatori furono stati fatti segno alle più festose accoglienze da parte della cittadinanza che affollava gli argini del fiume. Alle 17.30 le imbarcazioni, furono ricevute dai dirigenti del Dopolavoro, dai rappresentanti del Governatorato e dalle Associazioni fluviali, ed infine attraccarono presso lo scalo del Regio Circolo Canottieri “Tevere e Remo”, da cui l’indomani sarebbero iniziate le regate, per le quali erano previsti numerosi premi. La cittadinanza romana assistette con vivo interesse alla pittoresca regata con cui, nella mattinata del 24 maggio, nelle acque del Tevere si concluse la fatica dei 140 pescatori del Golfo di Napoli venuti a Roma con i loro «gozzi» a forza di remi. Le regate per coppie di imbarcazioni iniziarono alle 09.00 e si svolsero circondate da vivissimo entusiasmo, molto emozionante, tra le tante, fu la gara che vide affrontarsi il gozzo di Capri I e uno di Vico Equense. Alla fine delle gare, risultò vincitore l’equipaggio ischitano di Sant’Angelo, ecco i risultati della regata:

 

1. Sant’Angelo d’Ischia, in 2’37” e 4/5;

 

2. Sorrento, in 2’42”;

 

3. Capri, in 2’42 2/5:

 

4. Vico Equense I, in 2’44”;

 

5, Vico Equense II, in 2’45”;

 

6. Procida, in 2’45” 1/5;

 

7. Mergellina, in 2’45” 2/5;

 

8. Torre del Greco I, in 2’51” 1/5;

 

9. Torre del Greco II, in 2’51” 3/5;

 

10. Capri II, in 2’51” e 4/5.

 

Seguirono gli equipaggi di Santa Lucia e Borgo Loreto a pari merito; quelli di Massa Lubrense, Pozzuoli, Ischia, Torre Annunziata, Lacco Ameno, Piano di Sorrento.

 

Al termine delle gare i pescatori si recarono nella palazzina dei canottieri della “Tevere-Remo”, dove gli equipaggi furono premiati con una medaglia ricordo della Federazione dell’Urbe, consegnata dal camerata Vezio Grazi.

 

L’omaggio ai caduti

 

Gli organizzatori e gli equipaggi si recarono in Campidoglio per consegnare al governatore di Roma il messaggio che il duca Niutta, podestà di Napoli, aveva scritto a nome della città; furono ricevuti dal Governatore di Roma, il principe Francesco Boncompagni Ludovisi e il camerata Forlenza lesse al governatore il messaggio: «Tutti i pescatori di questo incantevole golfo avrebbero voluto dar prova della loro passione e delle loro virtù, ma solo 140 si apprestano a compiere il geniale pellegrinaggio di fede fascista. Quelli che restano — e sono mille e mille, — si troveranno però ugualmente presenti quando i compagni solcheranno le bionde acque del Tevere e si presenteranno alla Eccellenza Vostra come al primo cittadino della eterna città. Nel presentarli al governatore di Roma, io sono orgoglioso di poter affermare che, pur nella loro umiltà, essi sono ben degni di ascendere i monumenti della Patria». Ultimato il ricevimento in Campidoglio tutto il gruppo, assolse allo scopo principale della loro missione, recandosi remi in spalla, a rendere omaggio al Milite Ignoto e all’Ara dei Caduti fascisti. Rendiamo infine omaggio ai vincitori, ai primi di maggio, prima di scendere in acqua i marinai santangiolesi si erano recati nella loro chiesetta per chiedere l’aiuto divino e promettere al santo patrono San Michele, una gran festa degna del suo nome se li avesse assistiti in quella che era la loro missione: “Vincere” e dopo un silenzioso saluto ai caduti in guerra, nel locale cimitero, avevano messo l’imbarcazione in mare: l’equipaggio era formato da Egidio Di Iorio (detto Rondinella, capitano dell’ imbarcazione), i fratelli Luigi e Michele Mattera (nominati per la loro forza i “marosi”), Alberto Mattera (detto “maciste”), i fratelli Domenico e Giovanni Barricelli (rispettivamente “Ferone” e “Tosce” una vera forza della natura), ed infine Federico Mattera gran pescatore di polpi e “sorci di mare”.

Fonte: LURUS

https://youtu.be/yeDeDiHl-M8

https://youtu.be/kzmM6BuO6pg

                                                                                                           

                                                                                                                                             

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