«Ho scelto in questi mesi di stare in silenzio».
Perché non era d'accordo? «Di certo, ben prima di Bassolino, avevo detto profeticamente che si partiva con il piede sbagliato, perché il Pd non poteva ridursi ad una spasmodica ricerca del candidato ideale. Il mio dovere, in quella fase, era di costruire. Ora sono concluse le primarie, sono stati eletti i segretari e gli appelli all'unità di Goffredo Bettini onestamente mi fanno venire l'orticaria». Il segretario regionale uscente dei Ds, Enzo Amendola, si dice riformista, di sinistra e intollerante. Perché l'appello all'unità non le sta bene? «Non perché io sia per le divisioni e le guerre, tutt'altro, ma perché ora è il momento di gettare il cuore oltre lo stagno, di fare scelte, anche impopolari, di pensare ai programmi. Il Pd deve riorganizzarsi sulla base della cultura politica. Io scelgo di metterci la faccia. C'è l'esigenza per i riformisti che si rifanno a livello nazionale a Fassino, Bersani e Letta di alzare la voce». Sta lanciando una nuova corrente, già presente nel Pci e nei Ds, quella dei riformisti? «Una corrente di pensiero, non una corrente organizzata di partito. Quando finisce una guerra in cui non ci si è risparmiati nulla parlare di unità è veramente pochezza culturale. Ora le differenze devono venire fuori».
E qual è la differenza più evidente? «C'è una parte, veltroniana, che immagina il Partito democratico moderato e centrista e una, a cui io mi riferisco, che pensa ad un Pd riformista, progressista e di sinistra. Siccome credo ce ne siano tanti a pensarla così dico solo che è il momento di organizzarsi»... continua
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