Caro direttore, in questi giorni di fine luglio a Napoli, come anche Repubblica ha riportato, si sono svolti incontri e seminari sul Partito democratico, sul profilo, la natura e la funzione che il partito deve avere e contemporaneamente, dopo il congresso provinciale, il nuovo esecutivo ha aperto il cantiere che porterà a settembre alla nascita dei circoli territoriali e all´adesione di tantissimi iscritti, quelli che, con passione e fiducia, parteciparono alle primarie. È una vivacità che ovviamente fa solo bene al Pd, che testimonia soprattutto quanto non sia vero che nella nostra realtà ci sia stato e ci sia solo uno scontro tra ceti politici e tra oligarchie sulla gestione e conservazione del potere. È questa una lettura che non mi convince e che fa torto a un gruppo dirigente che faticosamente e responsabilmente ha iniziato una severa autocritica, ha ricominciato ad ascoltare le voci dei territori e le richieste di discontinuità con i quindici anni di governo di centrosinistra e con un modo di intendere la politica e i partiti schiacciati sul livello istituzionale e amministrativo. È vero, la sconfitta elettorale ci dice innanzitutto che occorre ricominciare a pensare un progetto politico e culturale alternativo al centrodestra. È su questo terreno, sulla costruzione di un progetto credibile e di un´identità riconoscibile che abbiamo perso le elezioni. Berlusconi, da tempo, riesce a interpretare e rappresentare i cambiamenti della società italiana, offrendo risposte sbagliate ma concrete ai cittadini, anche a chi è più attirato dalle sirene dell´antipolitica, riuscendo in qualche modo pure ad arginare il consenso nei confronti della magistratura. Noi non abbiamo saputo più leggere ciò che accadeva nelle nostre città, abbiamo perso relazioni, rapporti con il territorio. Le nostre sezioni, penso a quelle dei Ds, partito dal quale provengo, hanno smesso di esser punto di riferimento nei quartieri e non hanno svolto più la funzione di rappresentanza dei bisogni e dei diritti dei cittadini. Ora con la costruzione del Pd nelle città abbiamo un´occasione che non possiamo sciupare. Continuare a ragionare in base a vecchi schemi correntizi, senza vedere e interpretare le domande di cambiamento che ci sono nella società napoletana, questo sì sarebbe un errore da oligarchi. C´è bisogno di aprire con coraggio una nuova fase politica nel Pd e fuori del Pd. C´è bisogno di aria nuova, di iniziare una nuova storia, davvero unitaria e plurale nel partito, aperta alle sollecitazioni esterne, dove chi esprime opinioni diverse non venga additato come un nemico o un traditore. Non basta dire torniamo sui territori. Per fare che cosa, su quale progetto, per rappresentare quali interessi? Sono domande ineludibili che rimandano all´esigenza di aprire un grande dibattito nel partito sulla nostra identità, su come vogliamo fare l´opposizione nel paese, su quali scelte programmatiche nette, e quindi con quali alleati, intendiamo ricandidarci al governo della regione. Questo non lo si può fare proponendo un modello di partito dove da una parte ci sono gli ex Ds e dall´altra gli ex Margherita. Per fare ciò bastava la federazione. È necessario, invece, uno sforzo per mescolare sui territori le culture sociali e popolari presenti nel dna di tanti ex militanti cattolici e di sinistra. E occorre declinare e dare sostanza alle parole popolari e di massa. Per fare ciò dobbiamo ripartire dalle periferie, dal basso per costruire il progetto alternativo al berlusconismo.A settembre ci attende la campagna di radicamento del partito. Evitiamo che avvenga nel chiuso delle stanze, con vecchi riti e divisioni di partito. Apriamo una campagna d´ascolto, innanzitutto tra noi, e iniziamo a costruire le fondamenta del nuovo Pd.
(Antonio Amato consigliere regionale Pd da la Repubblica Napoli)
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