Ministro Gianfranco Rotondi, l'imbarazza essere diventato quasi un'icona gay grazie alla sua proposta sulle coppie di fatto? «Per fortuna non sono bello e non sono corteggiato da chicchesia, anche perchè ho una moglie gelosa». Come mai lei, cattolico, sta pensando ad una legge per le coppie di fatto? Cos'è, una sfida alla Chiesa? «Quando il centrosinistra nella scorsa legislatura pose il problema, io con Bondi e pochi altri facemmo altrettanto nel centrodestra, anche per una ragione di puntiglio culturale che rende la questione ancora più interessante. La missione della Chiesa è affidata non solo ai pastori, ma anche ai laici che la esercitano in vari settori, anche in politica che Paolo VI considerava la forma più esigente di carità. Come deve fare politica un cattolico? Forse realizzando la città di Dio solo per i credenti? Certamente no, il politico deve amministrare i diritti di tutti, deve tenere unita la società e quindi deve fare leggi che non contrastino con i principi cristiano, ma che comunque tengano conto di tutti». Se è così, cosa votò al referendum sul divorzio e a quello sull'aborto? «Nel '74 non votai, ma mi sarei espresso contro l'abolizione della legge sul divorzio. L'aborto è questione diversa. Se io decidessi per l'aborto commetterei lo stesso errore di chi vuole imporre ad altri (in questo caso il non nato) il proprio pensiero. Ma poiché l'aborto è legge ed è un punto di equilibrio per questa stagione dico no all'abrogazione della 194, altrimenti si tornerebbe alla pratica delle mammane». E il suo progetto di legge è molto diverso da quello dei Dico? «Ragiono come per il divorzio. Non si possono negare diritti a chi ha deciso di non sposarsi, tanto più agli eterosessuali con figli. Oggi questi ultimi, per esempio, ereditano dai genitori, ma non dai nonni, pagando la colpa sociale dei genitori non sposati». Nel merito cosa propone? «Io e il collega Renato Brunetta stiamo pensando ad un testo minimale, in cui possano riconoscersi tutti gli italiani, anche quelli cattolici. Ragioniamo sui diritti dei conviventi, per esempio sul diritto di assistere il partner malato, di succedere nel contratto d'affitto e nella proprietà dell'alloggio. Anche sui diritti ad entrare nelle graduatorie pubbliche. C'è anche una parte avvenieristica: pensiamo ad uno stimolo alle convivenze ampie degli anziani. Insomma, la nostra sarà una legge lontana dai Dico, senza registro pubblico, più vicina alla tradizione della coesione sociale, all'utopia di Mario Tomasini».E chi è Tomasini? «Un vecchio comunista di Parma che si batteva per l'abolizione degli ospizi».I conviventi possono essere anche gay? «Certamente sì. Il Signore ci ha dato una gamma ampia di peccati, non sta a me legislatore decidere quale è quello più grave e quale merita una legge ad hoc». Mentre lei, cattolico, «apre» alle convivenze, l'altra ministra campana, Mara Carfagna, esulta per la sua legge contro le lucciole. Lei che ne pensa? «Un ministro pensa sempre bene di ciò che fa un collega». Darà una risposta diplomatica anche a proposito dei due consiglieri municipali napoletani che hanno fatto outing sfidando la sindaca Rosa Iervolino che nega l'istituzione del registro per le unioni civili? «Credo che sia inutile legalizzare soluzioni fai da te, come i registri locali. C'è bisogno di una normativa bipartisan e infatti io e Brunetta stiamo lavorando ad un testo che vorremmo fosse condiviso da Pdl e Pd e se possibile anche dall'Udc. Ne abbiamo parlato con Paola Binetti, con Savino Pezzotta, regista del "family day"». In sostanza, quali differenze ci sono tra il vostro progetto e quello dei Dico? «I Dico sono centrati sul registro delle unioni civili e sono modellati sul matrimonio. Danno l'idea di voler fondare un nuovo istituto familiare. Invece noi ragioniamo sui diritti individuali, non avversati nemmeno dalla Chiesa. La prossima settimana ci vedremo con Brunetta per stendere il primo testo che comunque faremo vedere in Vaticano, con cui abbiamo costanti rapporti». (Rosanna Lampugnani da il Corriere del Mezzogiorno)
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