Ho sempre conservato gelosamente, e tanto più lo farò oggi, un ritratto che Maurizio Valenzi abbozzò sul dorso di un opuscolo del Pci. Era il maggio del 1981. Valenzi disegnava senza mai staccare la penna dal foglio, alla maniera di Modigliani. Partecipava alle riunioni di partito e ritraeva, nei locali saturi di fumo di via dei Fiorentini, chiunque lo incuriosisse. Ascoltava e disegnava, prendeva appunti e sintetizzava in pochi tratti le personalità complesse di dirigenti comunisti o l’emozionata presenza di giovani come me alle prime armi. Ho seguito Valenzi in quegli anni da cronista dell’Unità. Lo ricordo elegante e autorevole varcare la soglia di Palazzo San Giacomo e trasformarsi in quell’attimo da uomo di partito a uomo delle istituzioni. Partecipava a quelle riunioni, ma non ha mai confuso i ruoli. Erano altri tempi. Il primo e unico sindaco del Pci, il galantuomo di sinistra, l’artista, il dirigente che accolse Togliatti al suo rientro da Mosca: ecco chi era Valenzi. Una vicenda personale, la sua, che ha attraversato la storia politica e culturale del nostro paese. Ha conosciuto l’esilio a Tunisi, le sofferenze della prigione, ha frequentato i massimi esponenti dell’arte e della letteratura, ma ciò che più ha segnato la sua esistenza sono certamente gli anni passati a Palazzo San Giacomo. Le giunte Valenzi, costituite a metà degli anni Settanta, nel periodo delle larghe intese, e concepite come riflesso locale del compromesso storico, furuno un continuo misurarsi con le emergenze. Nacquero dopo il colera del ’73 e finirono sotto le macerie del terremoto, sempre schiacciate sui drammi sociali della disoccupazione, dei senza tetto, dei doppi e tripli turni scolastici, delle mense dei bambini proletari, del lavoro nero. Ancora oggi in molti ripensano a quelle giunte con grande nostalgia. Proprio l’altro giorno, inaspettato, è arrivato il ricordo di Luigi Cesaro, neopresidente berlusconiano della Provincia di Napoli: «Valenzi è stato per me un maestro », ha dichiarato commosso. Un paradosso che però è tutto dentro la storia di Napoli. Le giunte Valenzi hanno costituito un modello per Cesaro, ma non per Bassolino, convinto che quell’esperienza appartenesse a un altro mondo politico e che non avesse più nulla da insegnare. Anni dopo, quando la sinistra è tornata al governo cittadino, non un assessore di quelle giunte è stato recuperato. E tuttavia, se è vero che quelle amministrazioni hanno impressionato più l’immaginario collettivo che la storia reale di Napoli, è un dato acquisito che le giunte Bassolino non sono riuscite ad offuscarne la memoria. (Marco Demarco il Corriere del Mezzogiorno)
Nessun commento:
Posta un commento
La qualità e l’efficacia del blog dipendono quasi interamente dai vostri contributi. Si raccomanda, perciò, attinenza al tema, essenzialità e rispetto delle elementari regole di confronto. I messaggi diffamatori, scritti con linguaggio offensivo della dignità della persona, razzisti o lesivi della privacy, pertanto, non saranno pubblicati.