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venerdì 20 agosto 2010

«Il berlusconismo è slogan e killeraggio. I finiani prendono le distanze

L'appello al dialogo sembra essere caduto nel vuoto. I finiani respingono la 'cortè di Silvio Berlusconi, accusandolo di fare politica attraverso «editti e killeraggio». Ma poco dopo la diffusione dell'affondo di Farefuturo, prima Moffa e a ruota Fli si dissociano: «FFwebmagazine» non detta la linea di Futuro e Libertà.

L'editoriale
«Adesso è cambiato tutto e niente sarà più come prima. Perchè nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non coincida integralmente con le sue espressioni più appariscenti e drammaticamente caricaturali. Nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non coincida con il dossieraggio e con i ricatti, con la menzogna che diventa strumento per attaccare scientificamente l'avversario e magari distruggerlo. Nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non si nutra di propaganda stupida e intontita, di slogan, di signorsì e di canzoncine ebeti da spot pubblicitario. Ma tanto non ci proveranno nemmeno, a convincerci». Lo scrive su Ffwebmagazine (www.ffwebmagazine.it), periodico online della Fondazione Farefuturo, il direttore Filippo Rossi. «Eravamo convinti - spiega Rossi - che fosse un semplice dibattito politico, il confronto tra due idee di centrodestra. Eravamo convinti che si trattasse di un normale dialogo tra idee diverse, opzioni diverse, leadership complementari. Eravamo sinceramente convinti che tutto potesse scorrere tranquillamente nei canali della democrazia interna a un partito. Era una sicurezza che derivava da una certezza cresciuta negli anni: Berlusconi non era il Caimano descritto dagli antiberlusconiani di professione; Berlusconi era un leader atipico ma liberale; Berlusconi non era uno da "editti bulgari"; certo, Berlusconi aveva tante questioni personali e aziendali (quante se ne potrebbero elencare) ma era comunque un leader con una sogno, una lucida follia; Berlusconi, insomma, non era come lo descrivevano i suoi nemici. Ed è in base a queste certezze che lo abbiamo difeso per anni, sperando nella sua capacità di spiccare il volo e diventare un grande politico, uno statista».
Così, continua l'articolo, «il pensiero corre agli eventi passati, all'editto contro Enzo Biagi, contro Daniele Luttazzi, contro Michele Santoro. Il pensiero corre ai sensi di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa. E oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea. Oggi ha ragione chi dice: perchè non ci avete pensato prima? Non c'è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore». Insomma - prosegue - adesso «è molto, molto di più di una questione politica. È una questione di civiltà. Di democrazia. E di libertà. Questioni forse più grandi di noi, che impongono una scelta difficile. Intendiamoci, tutto questo poi non impedisce la «politica», non impedisce di assumersi la responsabilità di trovare accordi per governare il paese. Si parla d'altro. Si parla di qualcosa di più. Perchè quello che abbiamo visto in questi ultimi tempi, tra documenti di espulsione e attacchi sguaiati alle istituzioni che sembrano concepite come proprietà privata e non come bene pubblico, relazioni internazionali di dubbio gusto e killeraggi mediatici, per non parlare delle questioni etiche trasformate in propaganda di partito, ecco, tutto questo dimostra che c'è una distanza culturale prima di tutto. E che la scelta a questo punto - conclude Rossi - è se stare o meno dalla parte di una politica che si possa dire davvero laica e liberale». (da L'Unità)

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