Regione Campania - E’ presto per dire se la clamorosa implosione del Pdl avrà riflessi sulle geometrie politiche che reggono le regioni e le città del Mezzogiorno. Non è scontato che la crisi di governabilità del centro sia esportabile tout court in periferia, sebbene non mancheranno i trasformisti e i gattopardi, come sempre accade quando la direzione politica si sfarina. Nel frattempo, all’opinione pubblica meridionale toccherà capire in che modo la comparsa di un «partito» di Gianfranco Fini possa incidere sulle sorti del Sud. Proveniente da una tradizione neofascista che nel Mezzogiorno aveva avuto radici solide, saldandosi con aree metropolitane di disagio sociale, Fini ha proposto negli ultimi anni il profilo di una destra che — dovendo differenziarsi dal Cavaliere e dal suo originario programma liberale, liberista e nordista — fatalmente invade i territori della sinistra, del dipietrismo e del meridionalismo. Da qui l’insistenza — oltre che su temi come i diritti degli immigrati o la legalità — su un nazionalismo «repubblicano», il quale entra in collisione con la Lega e assume simmetricamente la difesa del Mezzogiorno. Non a caso, Fini ha spesso avanzato riserve su quei provvedimenti (dal federalismo al risanamento sanitario) che costringevano le amministrazioni del Sud a misurarsi con le modalità di spesa «virtuose» del Centro-Nord. Ce n’è abbastanza per chiedersi di quali paladini abbia bisogno il Mezzogiorno. E se possa giovargli la traumatica rottura del Pdl. Certo è che— in un territorio dipendente da risorse e funzioni pubbliche — una paralisi dell’esecutivo suona infausta. Dove storicamente alberga poco mercato e poco Stato, l’ulteriore latitanza di quel poco di Stato annuncia l’aggravarsi dei problemi, non una liberazione di eventuali animal spirits. L’ingovernabilità è destinata a danneggiare soprattutto il Sud.Non minori dubbi suscita la polemica sul federalismo fiscale. Che sia questo il toccasana del Mezzogiorno è poco credibile. Né c’è da prendere alla lettera chi baldanzosamente descrive la riforma come una sorta di redde rationem al quale inchiodare il Sud degli sprechi e delle inefficienze: il processo politico, in Italia, è caratterizzato da programmi roboanti e mediazioni al ribasso. A maggior ragione, tuttavia, il meridionalismo antileghista di Fini presenta caratteri di ambiguità ideologica. Rischia d’essere un modo sommario e demagogico di appellarsi agli umori profondi, deprecatori e assistenzialistici del senso comune meridionale.Il Sud avrebbe bisogno di valorizzare le sue componenti moderne e competitive, ridimensionando quanti, spesso all’ombra della politica, non producono ricchezza e anzi divorano la ricchezza di tutti. In questa prospettiva, ancor prima che una concreta riforma, il federalismo fiscale contiene evidenti significati culturali. Richiama ai principi di responsabilità, trasparenza, merito. Sarà pure un mito (dati i tempi inenarrabili della legificazione italiana), ma è il mito che serve al Mezzogiorno. La polemica antileghista dei finiani, che del resto ha ragioni nella competizione interna alla maggioranza, finisce per riesumare il mito opposto della debolezza irredimibile del Sud. Non un buon viatico per le ambizioni modernizzanti del presidente della Camera, né naturalmente per il Mezzogiorno. (di Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno)
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