Vico Equense - In un mio prossimo romanzo in uscita in primavera per l’ anconitana Orecchio di Van Gongh, un fotografo newyorchese trasferitosi a Napoli – come gesto estremo contro gli abusi ambientali e sociali perpetrati dagli amministratori della città – progetta di far saltare in aria il MADRE, che per lui rappresenta il simbolo del potere politico tracotante della città che colonizza anche l’arte: uno scandalo per chi come lui era cresiuto a New York … Da un po’ di tempo sto seguendo le peripezie del noto e sui generis museo di arte contemporanea e sto seguendo soprattutto la polemica innestata da Cicelyn contro la Regione, rappresentata dalla professoressa Caterina Miraglia che è assessore ai Beni culturali, sul taglio di fondi operato dall’assessorato e che è stato motivato come un taglio sugli sprechi che sarebbero stati perpetrati da Cicelyn direttore del museo. La Regione ha anche comunque stanziato 300mila euro contro gli 8milioni che vanta il museo.Un credito di 8milioni di euro ad un museo da gestire come è stato gestito, mentre i cittadini rischiano l’assistenza medica e farmacologica? Ho scritto già altre volte sull’argomento, su cosa e come sarebbe dovuto essere un museo di arte contemporanea, sul suo ruolo sul territorio, sulla politica di acquisti, sulla utilità o meno di certi eventi , sul fatto che in quel museo sono pochissime le opere patrimonio della città ecc. ecc. Oggi a Cicelyn, dopo essere stato il deus ex machina del “sistema” arte a Napoli, protetto da Bassolino che è stato ed è ancora il vero padre del MADRE, gli tolgono l’ossigeno e gli viene chiesto di lasciare il testimone, per far posto niente di meno che a Vittorio Sgarbi. Ma che cosa si aspettava Cicelyn dopo la dissennata conduzione autocelebrativa? Di essere accolto e sostenuto nelle sue iniziative autoreferenti, tra applausi e consensi? Il fatto triste di tutta questa faccenda è che ad uscirne ancora una volta umiliata è la città di Napoli e la sua storia, una città che negli anni ’70 e negli anni ’80 era la città dell’arte contemporanea per eccellenza senza il bisogno di contenitori costosissimi e non certo per volontà autocelebrativa dei politici, ma per il lavoro di uomini come Lucio Amelio o Pasquale Trisorio, o donne come Lia Rumma. A chi chiedevano i soldi questi raffinati organizzatori di cultura che aprivano a loro spese spazi d’arte ed hanno fatto conoscere il meglio di quegli anni ad un pubblico colto e preparato che si addensava intorno ai loro opening, senza l’opprimente e ignorante presenza dei politici? Oggi si assiste all’ennesimo zuffa, l’ennesimo repulisti dei poteri forti della serie: levo i tuoi e metto i miei. Ci si preoccupa di occupare o di conservare posti chiave, mentre la città e la Regione affondano nel caos e nella disorganizzazione, tanto che a preoccuparsi di cultura pare quasi uno scandalo visto lo stato in cui versano ospedali e scuole. Cicelyn che dice che non se ne andrà perché ha un contratto a tempo indeterminato: con chi? Con la Regione? Avrebbe dunque fatto un concorso e lo avrebbe vinto? Dall’altro lato si preannuncia, con la nomina di Vittori Sgarbi la rozza protervia di questo centro destra in materia di arte contemporanea. Si poteva agire diversamente? Certo. A Cicelyn non bisognava chiedere, come invece è stato fatto dall’assessore, il conto della massaia, ma se e quanto, in termini culturali, il MADRE ha contribuito a cambiare la scena della città. Bisognava chiedere a Cicelyn se di tutti quei milioni di euro ingoiati dal museo è rimasto qualcosa in termini di opere alla città, che non siano solo quelle utilizzate per la piazza del Plebiscito. Chiedergli ancora se era il caso di continuare ad esporre arte contemporanea come se si stesse esponendo un Pietro della Francesca o un Caravaggio e non invece un’installazione di Yoko Ono o un lavoro di Vito Acconci. Insomma, era questo il vero rendiconto sul quale il direttore avrebbe dovuto rispondere. Invece si è scatenata la guerra delle vendette politiche colpendo a morte il museo che è stato il simbolo per antonomasia del bassolinismo a Napoli. Invece dell’esplosione che il protagonista immagina nel romanzo, una metaforica morte lenta causata per asfissia per mancanza d’ossigeno, voluta dai vertici politici del centro destra, mentre per le scelte culturali e artistiche i nuovi arrivati non si preannunciano migliori dei vecchi. (di Franco Cuomo)
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