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domenica 6 febbraio 2011

Un’emergenza chiamata Pd

Bassolino non c’è più, ma soltanto ora il suo regno si sbriciola. La storia era cominciata nel 1993, quando l’ex governatore fu chiamato a commissariare il Pds napoletano, e finisce oggi, con il commissariamento del Pd. Il partito è in piena emergenza e la sua virtuale scomparsa minaccia di desertificare il quadro politico cittadino. Proprio come all’inizio degli anni Novanta. Sono state le primarie a scoperchiare il vaso di Pandora e, con un coraggio che rasenta la furia eversiva, è stato Umberto Ranieri a rompere il giocattolo. Rifiutando il verdetto delle urne, Ranieri ha denunciato clientele, elettori comprati, inconfessabili appoggi sottobanco. E, sebbene nulla di veramente nuovo fosse accaduto, l’effetto è stato quello di un terremoto. «I voti di Miano sono infettati dalla presenza del clan di ‘o Capitone», ha scritto The Front Page, il blog di Rondolino e Velardi. Messo in piazza, il «bagno di democrazia» è diventato un bubbone. Frattanto, rispondendo a questo giornale, il segretario del Pd Enzo Amendola era costretto a riconoscere che in questi anni, a Napoli, le iscrizioni al partito sono state un grande bluff. Gonfiate con ogni mezzo dai soliti notabili, fino a raddoppiare la consistenza effettiva dei militanti. E visto che parliamo di un partito da oltre quindici anni nella stanza dei bottoni, molti hanno cominciato a sospettare che quelle tessere facili e quei voti alle primarie fossero stati pagati con risorse pubbliche, ovvero con le nostre tasche. Naturalmente, di fronte a simili accuse, l’unica cosa che non si può fare è nasconderle sotto il tappeto con un colpo di scopa. Ma è proprio questa la strada che sembra imboccare l’intera dirigenza nazionale, da Bersani a D’Alema. E, malgrado l’ovazione che ha accolto ieri l’attacco temerario di Ranieri ai «cinici avventurieri» del suo partito, questa sarà la probabile conclusione della storia: un nuovo candidato (mediaticamente spendibile) imposto da Roma e qualche briciola di consolazione per i duellanti, se accetteranno di farsi da parie. Nessuno insomma spiegherà come è potuto succedere che al Pd si iscrivessero anche i morti e che alle primarie votassero anche i camorristi. Ma si tratta di una strada pericolosa. Pochi ormai sono disposti a fare sconti a una sinistra che è reduce da una fallimentare stagione amministrativa e che, quasi vent’anni fa, arrivando al governo cittadino sull’onda di Tangentopoli, si era presentata come l’alfiere della legalità. Aveva giurato guerra alla spesa pubblica facile, al voto di scambio, alla corruzione. Aveva promesso che i vecchi rapporti tra politica e camorra sarebbero stati recisi alla radice. Ancora oggi, d’altronde, mentre gli amministratori regionali di centrodestra lavorano in silenzio con pochi lustrini e pochi soldi, il Pd continua imperterrito a denunciare il pericolo che, alle prossime elezioni, Napoli cada nelle mani dei «lupi famelici» e del malaffare. Una retorica diventata, nel frattempo, paradossale. Quel che succede sembra aver tolto alla sinistra ogni titolo morale, oltre che politico. E priva il bipolarismo locale di un credibile contrappunto alla destra. (di Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno)

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