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sabato 19 marzo 2011

Il 150° anniversario, la retorica fascista, i Borboni e Don Pasquale

Di Franco Cuomo

Vico Equense - Le commemorazioni del 150° anniversario mi hanno trovato freddo e distaccato, anzi in alcuni casi mi hanno anche infastidito. Non mi allineo alla Lega che nel delirio di una rivendicazione di una nazione padana mai esistita, né geograficamente, né politicamente, né culturalmente, ha dimostrato al paese intero la crassa e rozza ignoranza che la contraddistingue: che contraddistingue i suoi rappresentanti politici. Ma avrei preferito una commemorazione meno nazionalista. I Francesi sono molto nazionalisti, gli Inglesi neanche a parlarne, i Tedeschi poi, e pure gli Spagnoli, forti dei loro antichi Stati nazione, formatisi nei primi 4 o 5 secoli del 1000 e i loro nazionalismo non lo amo, così come non mi è piaciuto quello nostrano che la televisione ci ha rappresentato. La mia impressione è stata quella di un brusco salto indietro. Ho fatto le scuole elementari negli anni 50, dalle suore. I miei libri: il sussidiario, con le nozioni di storia patria di geografia ecc. e i libri di letture erano infarciti di bandiere tricolori di poesie e canti della prima e della seconda guerra mondiale, degli "eroi", dei militi ignoti, di poesie di Luigi Mercantini, a scuola per un periodo abbiamo avuto anche il fiocco tricolore, appuntato sul grembiulino nero o blu a seconda della classe. Quando ho sentito cantare" Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio" mi sono ricordato di suor Luigina che ci faceva imparare la canzone, insieme ad altre, come le Campane di San Giusto, quella il cui ritornello fa.



"Le ragazze di Trieste cantan tutte con ardore o Italia, o Italia del mio cuore tu ci vieni a liberar! Ma mi sono tornati alla mente anche i nostalgici della monarchia i maestri Mercurio e Frisone che insegnavano alle elementari alla scuola pubblica che organizzavano parate nostalgiche. Insomma, quella trasmissione del 17 sera mi ha riportato alla memoria tutta la retorica della scuola post fascista della prima Italia democristiana degli anni `50, che non a caso era rappresentata degnamente da Pippo Baudo e da Bruno Vespa. Si poteva commemorare l´unità d´Italia diversamente? Forse si. Parlando delle radici della lingua romanza comune a molti dialetti, della pittura italiana del duecento e del trecento, di Duccio di Boninsegna, di Cimabue, di Giotto, di Ciullo d´Alcamo e di «Rosa fresca aulentis[s]ima ch´apari inver´ la state, le donne ti disiano, pulzell´ e maritate>> e della poesia siciliana, o di Cecco Angiolieri, del Dolce Stil novo di Dante di Petrarca, di Boccaccio, un movimento che attestava con forza un´unità linguistica e culturale ed un sentire comune autentico e questo, sì tipicamente italiano. Poi continuare col Rinascimento, cioè, con episodi storici consolidati molto prima del Risorgimento,che è solo l´ultimo momento di una serie di dinamiche che erano nate in periodi molto precedenti, e celebrato, consentitimi la brutalità, con i più triti e pesanti cascami della retorica fascista. Ma è andata come andata, con questa classe politica e questa televisione cosa ci si poteva aspettare? Sono un anti italiano se mi permetto di dire queste cose? Non credo, sono convinto anzi di amare gli aspetti più raffinati della cultura che hanno fatto grande l´Italia nel mondo ed ancora ne rappresentano la cifra unica e lo stile, ricordato ancora nell´Italian Style, dei nostri stilisti, dei nostri designers, dei nostri architetti, dei Visconti, Rossellini, Fellini e non certamente le poesie di Aleardo Aleardi o di Alessandro Manzoni, che è una maledizione tutta italiana, o l´indubbio apporto politico di una borghesia quasi tutta settentrionale, ma non unica. Detto questo però, devo anche criticare chi nel Sud ha festeggiato esponendo drappi dei Borboni, non so se per reazione o provocazione. Non è successo solo a Vico Equense, dove il parroco, don Pasquale Vanacore, dalla sua finestra ha esposto il vessillo borbonico, bianco con le insegne della famiglia reale. Anche qui la retorica la fa da padrone, ed anche molte inesattezze storiche e letture fuorvianti. I Borboni di Napoli, come tutte le dinastie reali, resero solamente grande la loro famiglia, ed indubbiamente sotto i Borboni Napoli aveva un´attiva industria cantieristica, si dotò della prima ferrovia, si attivarono le ricerche archeologiche di Pompei e di Ercolano, ma chi vuol ricordare solo questo rende un cattivo servigio alla storia. Nella campagne casertane e cilentane la gente moriva di pellagra, tifo, colera e viveva in condizioni miserevoli, nella stessa città di Napoli gli ospedali erano così fatiscenti che gli stessi poveri della città si rifiutavano di ricoverarsi, Su 1.828 comuni napoletani, ben 1.431 non erano collegati viabilmente tra loro; esistevano in un Reame così esteso solo tre strade postali! Gli unici che stavano veramente bene sotto i Borboni erano i Borboni e la Chiesa, con un clero che numericamente superava di gran lunga quello di un Paese molto più grande come la cattolicissima Francia! Mentre il patrimonio ecclesiastico ammontava a circa 40 milioni di Lire dell´epoca! Tra il 1830 ed il 1859 gli anni di regno di Ferdinando II, la spesa pubblica fu irrisoria, nel 1858, ultimi dati contabili certi, su un attivo complessivo di 32.800.000 ducati, (NdR: circa 1 miliardo di euro) lo Stato borbonico ne spese per opere pubbliche appena 2.216.000 a fronte di 11.911.000 per il mantenimento delle forze armate e dei reggimenti mercenari di bavaresi e svizzeri a tutela della famiglia reale. Insomma! Anche chi racconta la storia del Sud, colonizzato dal nord dice un sacco di bugie. Allora, per questi motivi mi sento anti italiano, ma con un grande amore per tutto quello che non viene mai raccontato dell´italia, mai rappresentato, mai insegnato alle giovani generazioni, ovvero il grande patrimonio culturale ed artistico, vero cemento nazionale, sul quale è molto difficile fare retorica a buon mercato e sul quale, non si possono fare sventolare patetiche bandiere.

3 commenti:

  1. Il Patrimonio artistico di cui lei parla e' opera di un'Italia divisa....Venezia e' opera della sua gloriosa Repubblica, Firenze e' opera dei Medici, Napoli e' opera dei vari sovrani che si sono succeduti. Quanto alla pellagra....bhe' la poverta' e la malattia tra la povera gente era pressoche diffusa nn solo nel regno Borbonico ma in tutt'Europa. Rimane il dato che la mortalita' infantile nell'Italia pre-unitaria era di molto piu' bassa che nel resto del paese. Da ricordare anche primi in Europa a lanciare opere sociali, come orfanotrofi e case di accoglienza per i poveri. Quindi di cosa sta parlando??? Dovrebbe valutare la situazione nel suo complesso? Il Regno di Napoli data la sua potenza e "pericolosita" costrinse gli inglesi a complottare con i Savoia per distruggere i Borboni e il loro regno.

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  2. Si dice Borbone, non Borboni.
    Borbone.

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  3. si dice Borboni se si parla della dinastia

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