Fonte: Aldo Cazzullo da il Corriere della Sera
Napoli è da sempre città di terremoti, di sottosopra. Di passioni violente, di cambiamenti repentini. Ma il voto del 29 e 30 maggio sconvolge qualsiasi previsione, e crea problemi a tutti. A Berlusconi. E al Pd. Entrambi sconfitti da un uomo che si è candidato contro tutti i partiti; compreso il suo. Nel 1992, l’alleanza Dc-Psi-Psdi-Pli sfiorava in città il 70%. Un anno dopo, Napoli mandava al ballottaggio un comunista ingraiano e la nipote del Duce. Nel 1997 fu Bassolino a essere rieletto con il 73%. Negli ultimi tempi la città aveva svoltato a destra: nel 2008 Berlusconi sopravanzò Veltroni di dieci punti, l’anno dopo cambiò colore la Provincia (58,3% contro 35,2), e alle Regionali 2010 Caldoro superò De Luca. Poi è arrivato il ciclone de Magistris. Un uomo in competizione con il suo stesso leader, Di Pietro. Deciso a dare battaglia sia alla destra di Cosentino, sia a quel che restava della sinistra.
Solo contro tutti, compreso Vendola, convinto dal Pd ad appoggiare lo scialbo Morcone. In due settimane, de Magistris è passato dal 16% delle liste che lo sostenevano al 65% del corpo elettorale. Segno che tra lui e i napoletani è scattata una fascinazione. E che la crisi del berlusconismo (nel Mezzogiorno spesso accompagnata dalla crisi della sinistra tradizionale) rende il corpo elettorale molto più fluido di quanto si pensasse. Napoli ha sempre avuto un sindaco di centrosinistra, da quando esiste l’elezione diretta. Ma è diventata uno dei luoghi-chiave del berlusconismo. Il premier ha investito molto sulla battaglia dei rifiuti —finora persa da tutti —, e ha conosciuto in città molte delle sue vicissitudini: Noemi, la suite al Vesuvio, il club «Silvio ci manchi», Apicella. Il voto di ieri è certo un no a Berlusconi, oltre che al suo candidato Lettieri. Ma il trionfo di de Magistris è anche uno schiaffo al centrosinistra. Napoli premia l’uomo che indagò su Mastella e pure su Prodi, della cui onestà personale neppure gli avversari politici hanno mai dubitato. Al di là del fascino personale che esercita — anche sulle elettrici —, de Magistris resta un personaggio discusso, e discutibile. Sanzionato dal Csm, come ai magistrati non accade quasi mai. Privo di esperienza amministrativa. Un vincitore che ha ancora tutto da dimostrare. Eppure la sua vittoria è segno non solo della rabbiosa frustrazione di una città bellissima, costretta da anni a convivere con i rifiuti, il degrado, la camorra. Eleggere un ex magistrato — anche se con fama di rigore più che di misura, di spregiudicatezza più che di equilibrio — indica che a un numero crescente di napoletani la città così com’è non va più bene. Un tempo la classica scena simbolica — la moto che sfreccia con tre ragazzi senza casco — veniva indicata dal napoletano medio quasi con condiscendenza. Oggi la stessa scena viene indicata dallo stesso napoletano con riprovazione; soprattutto quando fa notare che il vigile finge di non vedere perché sa che, se fermasse quei ragazzi, ne riceverebbe un insulto, uno sputo, un colpo; e che quei ragazzi si comportano così perché sanno che c’è chi li protegge. Il bisogno di legalità, di sicurezza, di cambiamento ha scelto de Magistris. Ora l’ex pm è atteso a un compito durissimo. Farebbe bene a comporre una giunta la più aperta possibile, anche a mondi diversi dal suo, compresi riformisti e cattolici. Perché lo stesso vento che oggi lo sospinge al potere potrebbe domani spirare a favore di culture e suggestioni ben diverse. Napoli è percorsa da tensioni profonde, a partire da un forte risentimento verso il Nord. I 150 anni non hanno portato solo tricolori; hanno rinfocolato un movimento identitario che sarebbe riduttivo definire neo – borbonico. La crisi del Pdl apre le porte a una Lega del Sud, a un Bossi meridionale, che prima o poi spunterà. I prossimi mesi diranno se il futuro di Napoli sarà deciso da opposte demagogie, o se il «paradiso abitato da diavoli» (come Croce chiamava la sua piccola patria) potrà mai diventare una città davvero europea.
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