Fonte: Ciriaco M. Viggiano da il Mattino
«Nutro la forte speranza che si possa giungere nel giro di pochi giorni alla liberazione dei marittimi italiani sequestrati dai pirati somali». Margherita Boniver, inviata speciale della Farnesina nel Corno d’Africa, è convinta che ci siano solide basi per una soluzione positiva della vicenda dopo la missione politico-diplomatica. Le sue parole aprono uno spiraglio di ottimismo per le famiglie degli undici marittimi italiani nelle mani dei pirati somali. Sette sono campani. Tre a bordo della Savina Caylyn, sequestrata l’8 febbraio scorso quando si trovava a 500 miglia al largo di Mogadiscio: il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera e il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascione, entrambi di Procida, e l’allievo di coperta Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento. Gli altri quattro a bordo della Rosalia D’Amato, sequestrata il 21 aprile: il terzo ufficiale Gennaro Odoaldo e l’allievo di macchine Vincenzo Ambrosino, di Procida, l’ufficiale di coperta Giuseppe Maresca, di Vico Equense, il primo ufficiale Pasquale Massa, nativo di Meta e residente in Belgio. Da che cosa deriva la speranza per una soluzione a breve termine? «Sono stati attivati tutti i protocolli che il nostro governo poteva legittimamente mettere in campo per ottenere il rilascio dei marittimi sequestrati, mentre le autorità di Tanzania e Gibuti sono stati coinvolti nello stesso obiettivo con la piena assunzione della propria volontà di cooperazione».
Quali benefici può determinare questa situazione? «È stato stabilito il coordinamento negli sforzi comuni per ottenere la liberazione dei prigionieri dai pirati senza passare attraverso il pagamento di un riscatto. Lo scopo della mia missione era appunto quello di rafforzare dal punto di vista politico e diplomatico l’azione già svolta nel Corno d’Africa dai nostri servizi segreti». Cosa può dire direttamente alle famiglie dei marittimi? «Non devono perdere la speranza di riabbracciare i congiunti perché la mia missione dimostra l’attenzione riservata dallo stato italiano alla vicenda». Qual è il risultato più significativo della sua missione? «Le autorità di Gibuti hanno garantito all’Italia il pieno appoggio per combattere la pirateria e per liberare i marittimi sequestrati». Cosa è stato fatto, finora, su questo fronte? «Va condivisa la risposta della comunità internazionale con due missioni militari, una sotto l’egida della Nato e l’altra della Ue, che svolgono attività di pattugliamento per garantire un corridoio di protezione». Invece il premier di Gibuti, Dileita, chiede all’Ue di passare al bombardamento delle navi dei pirati. «No, la strategia da seguire è quella di allargare sempre più il corridoio di transito, anche se bisogna fare i conti con l’ampiezza dell’area da proteggere e con i sistemi sempre più sofisticati dei pirati. Il supporto di grandi navi alle piccole imbarcazioni corsare dimostra che s’è sviluppata una forte industria criminale. La situazione di grave instabilità della Somalia incide molto su questa situazione e sull’escalation della prateria marittima». Come può essere risolto il problema di perseguire sul piano giuridico i responsabili degli atti di pirateria? «Sono favorevole alla proposta di convertire il Tribunale speciale internazionale per i crimini nel Ruanda in tribunale speciale per giudicare gli atti di pirateria». Quali notizie può dare sulle condizioni di salute degli undici marittimi campani nelle mani dei pirati? «Da quanto ci risulta sono buone, ma bisogna tenere conto che si trovano da mesi sulle navi, devono fare i conti con la prigionia e le condizioni climatiche legate alle temperature elevate. Una situazione ambientale che, in questo momento, coinvolge circa 400 marittimi sequestrati dai pirati. L’Unità di crisi è a disposizione per fornire notizie ai parenti».
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