E la crescita? A quando le riforme strutturali? I mercati attendono risposte chiare
di Raffaele Lauro
L’economia italiana, di trimestre in trimestre, ristagna (+0,8% tendenziale nel 2° trimestre 2011), i conti pubblici non migliorano come atteso (debito pubblico al 120% PIL quest’anno), e le prospettive di crescita peggiorano sotto il peso delle manovre, in un quadro già di rallentamento dell’economia europea e mondiale, che non offre compensazioni al rigore interno. Il Parlamento ha approvato, sollecitamente, sotto la spinta della speculazione finanziaria, questo nuovo round di drastiche misure, ma la domanda è: come mai l’artefice di queste manovre, che ha tenuto in mano le leve della finanza pubblica e dell’economia, per gran parte degli anni 2000, non ha distribuito il rigore lungo il corso del decennio, rendendolo più sopportabile? Perché si è fatto poco, nella prima metà dello scorso decennio, e ora ci si deve precipitare ad applicare una terapia falcidiante non solo per l’economia, ma per l’intera società? E non è finita, perché il provvedimento in esame presenta diverse falle. Quali? Prima fra tutte, va sottolineata la carenza di interventi che sostengano la crescita delle attività produttive e servano a innalzare il potenziale produttivo del Paese.
Se il rigore in questi frangenti è necessario e non consente alcun impulso quantitativo alla domanda pubblica, è pur sempre possibile, entro questi limiti promuovere una diversa destinazione delle risorse pubbliche e private, che privilegi la formazione di capitale produttivo, una differente configurazione della tassazione che incentivi un incremento di competitività e produttività, vero tallone di Achille dell’economia, uno smantellamento dei privilegi e delle posizioni di rendita, che danno a pochi, a spese del benessere del Paese, un radicale allentamento delle tante rigidità che ingabbiano lo sviluppo economico. Ben poco di quanto richiesto si trova in questa manovra e, quindi, è probabile che il PIL crescerà meno del previsto, ovvero come stima la Banca d’Italia, decisamente meno dell’1% nel prossimo biennio. Ciò vuol dire che continuerà la stagnazione economica, con la conseguenza che nuove misure di austerità saranno necessarie, in breve tempo, per centrare gli obiettivi di disavanzo in rapporto al PIL. È singolare, al riguardo, che solo dopo avere proposto queste misure l’artefice della manovra si accorga di essere caduto in un circolo vizioso di minore crescita, che induce a maggiore rigore e, quindi, a un ulteriore rallentamento economico. Ne è prova la revisione delle proiezioni di PIL, che sta avvenendo in ritardo rispetto alla presentazione della manovra e, con ogni probabilità, evidenzierà il bisogno di un’ancora maggiore austerità. Un altro difetto del provvedimento sta nell’essere sbilanciato nel senso del prelievo di risorse dagli italiani, piuttosto che del taglio della spesa pubblica, particolarmente di quella improduttiva, e del recupero di efficienza e produttività nell’offerta di servizi pubblici. Ciò nonostante l’abolizione del contributo di solidarietà sui lavoratori privati, mentre resta quello sui dipendenti pubblici e sui pensionati. Questa abolizione è stata sostituita da un’intensificazione del contrasto all’evasione fiscale, ma si sa bene che i relativi proventi sono difficilmente quantificabili a priori ed aleatori. Si consideri anche che reprimendo giustamente l’evasione fiscale si ottiene anche la scomparsa di attività in nero che, nel breve termine, non potranno proseguire alla luce del sole, a causa della mutata convenienza. In ogni caso, la pressione fiscale è destinata a scalare il picco del 44,5% del PIL nel 2014, se non prima, ma in realtà potrebbe salire molto di più, visto che è probabile che per raggiungere gli obiettivi di bilancio si dovrà fare uso della cosiddetta “clausola di salvaguardia”, che prevede tra l’altro un inasprimento dell’imposizione indiretta. Inoltre, è probabile che Regioni e Comuni reagiranno alla decurtazione dei trasferimenti da parte dello Stato, inasprendo tariffe e addizionali. La composizione stessa del prelievo resta insoddisfacente, perché si accanisce sulle retribuzioni e sui risparmi, che sono essenziali fattori di crescita. Al tempo stesso, non allevia il peso dell’IRAP e dei contributi non previdenziali, misura che potrebbe fornire un significativo supporto alle imprese per migliorare la competitività ed ampliare la domanda di lavoro e di investimenti. Stimolare la produttività, tanto nel settore privato che nel pubblico, dovrebbe invece essere assunto a priorità al pari del risanamento dei conti pubblici, perché la crescita vada di pari passo col rigore di bilancio. Sul versante della spesa preoccupa il continuo declino degli interventi a favore degli investimenti, che dovrebbero ridursi in valore del 15 % nel triennio 2011-13 e molto di più al netto dell’inflazione. Né attenua questa preoccupazione l’aver assegnato 2 miliardi al Fondo per gli interventi strutturali di politica economica, perché la sua destinazione finale è imprecisata e le finalità sono state finora disparate. Avevo già deprecato questa tendenza in precedenti interventi in Aula al Senato. Oggi, con maggiore enfasi, pur nel rispetto della disciplina di gruppo, ritengo doveroso sollecitare il Governo a fare una chiara inversione di tendenza, concentrando più risorse su quei progetti d’investimento che contribuiscono alla competitività del sistema e su quelli che godono del concorso finanziario dell’UE. Mentre si taglia la spesa più produttiva, rimane molto aleatoria la riduzione di quella per il sistema politico. Per esempio, l’abolizione delle Province seguirà un percorso di norma costituzionale che ne allunga i tempi, ma nulla vieta di anticiparne gli effetti mediante l’aggregazione di fatto delle funzioni con quelle delle Regioni e dei Comuni nelle more della definitiva approvazione della norma. Inoltre, molto di più si potrebbe fare per eliminare i troppi privilegi degli ex-parlamentari, un’azione che da tempo invoco per tutti coloro che finora ne godono, indipendentemente da quando eletti. Ciò gioverebbe grandemente all’immagine della politica nell’opinione pubblica. Nell’insieme, per il contenimento delle spese pubbliche si avverte sempre più l’urgenza di un cambiamento di metodo, attraverso una più intensa e continua applicazione della revisione annuale (spending review) di ciascun capitolo di spesa, al fine di valutarne la ragion d’essere e la rispondenza a criteri di efficienza e di qualità dei servizi attraverso l’impiego di indicatori quantitativi. In tal modo sarà possibile identificare meglio le aree in cui incidere maggiormente con tagli, preservando al contempo quelle di maggior merito per la società e l’economia. Al tempo stesso questa revisione può forzare gli enti di spesa a riorganizzare le loro strutture e migliorare la gestione, perseguendo produttività e qualità dei servizi. Tra le misure strutturali, un plauso va espresso per la liberalizzazione del commercio e di parte dei servizi pubblici locali, e per il riordino della normativa sulle professioni regolamentate. Resta tuttavia il rischio che, a queste disposizioni di principio, non seguano norme applicative coerenti ed efficaci per rinnovare la concorrenza e l’efficienza, ma si continui a proteggere sacche di quasi-rendita, che sono costose per lo sviluppo economico. Anche sul fronte della semplificazione amministrativa, i progressi sono modesti, mentre potrebbe dare una scossa positiva al sistema produttivo una più coraggiosa riforma strutturale, perfino intervenendo sui principi per l’esercizio delle autonomie da parte degli enti locali. Per completare il quadro delle riforme di struttura che sono urgenti in questa fase, bisognerebbe aggiungere interventi per promuovere l’occupazione giovanile, ben sapendo che attualmente un’elevata disoccupazione si concentra tra i giovani e le donne. Per non disperdere il capitale umano rappresentato dalle nuove leve del lavoro è opportuno mettere in campo un intervento aggiuntivo alla recente riforma dell’apprendistato, che permetta di incentivare il superamento del divario tra le competenze professionali richieste dalle imprese e quelle offerte dai giovani. Si è detto delle carenze e dei difetti della manovra approvata, ma vi è un altro aspetto che rende ogni valutazione necessariamente approssimativa. Mi riferisco ai continui cambiamenti degli interventi e all’incertezza che regna sull’impatto di molte misure sulle finanze pubbliche e sull’attività economica. Ad esempio, ben poco di certo si può dire sui risultati dell’atteggiamento draconiano per il recupero dell’evasione fiscale, perché si è già visto in passato che gli introiti effettivi sono molto al di sotto delle stime e perfino degli stessi accertamenti fiscali. Lo stesso Ministero dell’Economia, d’altronde, segnala l’approssimazione nella stima degli effetti o la estrema difficoltà di fare valutazioni attendibili su alcune importanti misure. Per questo motivo è stata introdotta la “clausola di salvaguardia”. Quindi, si potrebbe parlare di una manovra elusiva, che in definitiva implica un assegno in bianco all’esecutivo per aumentare i prelievi o decurtare ogni agevolazione fiscale nel tentativo di arrivare alle mete prefissate. La scarsa luce sugli effetti e l’assegno in bianco sui contenuti mostrano che il provvedimento approvato è lungi dal diradare l’incertezza che regna sulla sua efficacia e sulla capacità di assicurare una duratura messa in sicurezza dei conti pubblici. Mentre i mercati finanziari si attendono risposte chiare ed efficaci sulla volontà del Paese e sulla capacità dell’economia di rispettare gli impegni finanziari, abbiamo approvato, quindi, un provvedimento dai contorni indefinibili. E i mercati non hanno mancato di rilevarlo immediatamente, lasciando lo spread tra il BTP ed il Bund, su livelli relativamente elevati.
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