Fonte: Claudio Tito su La Repubblica
Intervista al sindaco. Rischio scissione tra i democratici. Sfida a Grillo sui cambiamento governo di un anno, poi presidenzialismo
«Cambiare il Partito Democratico per cambiare l’Italia».
Il giorno dopo l'elezione di Giorgio Napolitano e le dimissioni in blocco dell'intero gruppo dirigente del Pd, Matteo Renzi lancia la sua sfida.
È pronto a candidarsi per un progetto a favore di un «nuovo riformismo». Vuole un partito rinnovato, capace dì interpretare il Paese e che non si paralizzi nella difesa delle «sue correnti».
Renzi lancia la doppia sfida – “Ecco come voglio rifondare il Pd, un anno di governo e poi al voto”
Basta inseguire Grillo, dettiamo noi agenda. E apre al presidenzialsmo
Il sindaco di Firenze sprona i democratici ad accettare la sfida di un «infingardo» come Beppe Grillo dettando l'agenda del governo che sta per nascere.
«Mettiamoci la faccia anche con un nostro premier» ma indicando le priorità a cominciare dall'emergenza lavoro e senza aver paura del popolo del web.
Un esecutivo che duri non più di un anno per poi tornare al voto con una nuova legge elettorale e dopo aver approvato un pacchetto di provvedimenti che diano una boccata d'ossigeno ai cittadini.
E magari dopo aver introdotto l'elezione diretta del capo dello Stato.
«A questo punto il Pd è in un angolo. O ne esce oppure salta in aria».
E come ne può uscire?
«Partiamo da quel che è successo. Il Pd ha avuto una strategia. perdente in quasi tutto. Ha inseguito le formule e i tatticismi regalando la leadership della discussione una volta a Grillo, una volta Berlusconi. Ha rincorso e non ha guidato. Questa è una settimana decisiva per imprimere una svolta».
Intende dire per la formazione del governo?
«Guardi, io sono rimasto sgomento e disgustato per gli insulti ai parlamentari da parte dei grillini. Io difendo Franceschini e Fassina. Ogni forma di violenza va condannata, ma dobbiamo essere noi a uscire dall’impasse. Il PD dica che governo vuole, eviti le formule. La smetta con gli aggettivi e inizi con i sostantivi. Si faccia avanti con le sue idee. E le imponga al nuovo governo».
Lei ha qualche suggerimento? «Il problema, quello vero, è il lavoro. Basta con le discussioni tecniche, basta annunciare provvedimenti di legge che poi non si realizzano mai. Bisogna semplificare e sburocratizzare. Nei primi cento giorni di governo si semplifichi la normativa sul lavoro, si proceda con gli sconti fiscali per i neo assunti. La riforma Fornero è un papocchio, non ha agevolato alcunché».
Vuole misure più liberiste?
«Io voglio qualcosa che crei più occupati, che consenta ai giovani di trovare lavoro e di non essere sballotati tra stage e apprendistato. Su questo si può coinvolgere tutto il partito».
Ma il nodo non è come creare di posti lavoro ma come si licenzia. È l'articolo 18.
«Quando il paese la smetterà di discutere di questo e inizierà a parlare dei 450 mila nuovi disoccupati, allora tutto si potrà risolvere. Il resto è ideologia. Le aziende stanno chiudendo. Dobbiamo semplificare liberando le energie. Il Paese è paralizzato, i cittadini stanno soffrendo. Questa è la vera emergenza».
I cittadini veramente chiedono anche di con-dividere i sacrifici.
«Io dico: taglio netto non ai costi ma ai posti della politica. Via il finanziamento pubblico dei partiti. Trasparenza nelle spese dei partiti e della Pubblica amministrazione. Io non voglio darla vinta ai grillini. Sugli "open data" siamo più bravi noi. La trasparenza non è lo streaming, non è il Grande fratello, non è la morbosità ma è rendicontare le spese. È sapere cosa ci fa Grillo in Costa Rica».
E tutto questo lo si può fare con un governo insieme a Berlusconi?
«Non mi interessa questa discussione sulle larghe intese o su Berlusconi. Non mi preoccupa il Pdl, con loro abbiamo già fatto un governo. Pensiamo a quel che si deve fare. Tutti sanno che io sono per andare a votare subito, ma è evidente che dopo la conferma di Napolitano al Quirinale le urne sono improbabili. Vogliamo continuare a parlare di questo o di cosa fare? Io preferisco indicare le priorità, altrimenti buttiamo altri giorni preziosi».
Quanto tempo può durare questo esecutivo?
«Il meno possibile. Diamoci un tempo. Ma se in sei mesi o un anno realizza un po' di questi interventi, ci guadagna il Pd e il Paese».
Chi dovrebbe presiederlo?
«Intanto mettiamoci la faccia. Non si abbia paura di tutto, non seguiamo i grillini. Mettiamoci la faccia e diciamo noi quel che va fatto. Poi può presiederlo anche uno d'area centrosinistra, un tecnico o un politico. Certo deve appartenere al nostro mondo, deve essere una persona stimata e godere di consenso. E comunque dimostriamoci leader e non follower. Non si può essere terrorizzati da un tweet. Al primo cinguettio c'è qualcuno che se la fa addosso. Io voglio che i democratici diano la linea al web e non viceversa. I nostri militanti, quelli che si sacrificano, i volontari non vogliono che i loro leader siano impauriti. Non vogliono un partito succube. Puntiamo sulla trasparenza, aboliamo le province, abbattiamo le burocrazie, organizziamo una lotta all’evasione fiscale a tutto campo. Andiamo in Parlamento e vediamo chi è contro, se ne assumeranno la responsabilità».
Ma il suo partito ora è decapitato. Come può riuscire a imporre uno sforzo di questo tipo?
«Basta non farsi prendere dal panico, e indicare un progetto. Il Pd ha tanti deputati (forse non ne avrà più così tanti), Scelta Civica è disponibile a contribuire. Una base parlamentare c'è».
Perché non fa lei il premier?
«Il capo del governo lo sceglie il Presidente della Repubblica con le convergenze che si realizzeranno. Il problema quindi non si pone. Il punto è rendere più smart l'Italia. E più aperta».
In che senso?
«Parlavo nei giorni scorsi con Soru e mi diceva che Amazon in Sardegna sta assumendo 600 persone, è l'equivalente della Carbosulcis e nessuno se ne occupa. Google investirà qui nel 2014 due miliardi. Se può discutere? Gli immobili inutilizzati dello Stato possono essere venduti. Se ne può parlare? Gli italiani non toccano i loro soldi perché hanno paura. Vogliamo fare qualcosa? In cento giorni è possibile far partire una n uova luna di miele con gli italiani. Ma se si fa quel che è giusto».
Lei però deve farei conti anche con Beppe Grillo che definisce un golpe l'elezione di Napolitano ed espone al pubblico ludibrio qualsiasi progetto.
«Quello è il massimo del centralismo antidemocratico. Dice delle castronerie incredibili, sfidiamolo. Se facciamo le cose, sconfiggeremo anche i grillini. Abolire il finanziamento pubblico non è uno scalpo è la riconciliazione con l'opinione pubblica. I1 Pd vince se riesce a essere il centro del cambiamento».
Insomma lei si candida a guidare il suo partito.
«La mia ambizione è cambiare l’Italia e cambiare un partito che riflette sul suo ombelico».
Si candida o no?
«Non so come, non so quando ma io ci sono. Ora non voglio aprire un dibattito su di me, non sono in cerca di una seggiola. Io in questo partito ci sono e ci resterò con Fassina e con Orfini. Non mi candiderò per il gusto di candidarmi. Bersani ha vinto alle primarie ma la sua linea è stata sconfitta. Il partito vuole vincere con una linea diversa? Io ci sono. Vuole proteggere solo la sua classe dirigente? Non ci sono. Vuole cambiare l'Italia? Allora cambiamo il partito per cambiare l'Italia e io ci sono. Rifondiamolo con un riformismo che scalda i cuori, con un'anima. Dobbiamo essere capaci di esprimere un nuovo racconto».
In questo percorso c'è spazio anche per Fabrizio Barca?
«Non ho capito qual è il suo progetto. Ci vedremo. lo voglio un partito che coinvolga le persone e le speranze ideali. Un partito concreto. Su questo anche Barca ben venga».
Il ministro ha ipotizzato di sdoppiare la guida del partito dalla premiership.
«Non è un problema. lo preferisco il modello classico, ma sono pronto a dialogare. Purché alcuni presupposti siamo chiari».
Quali?
«Si prenda atto che Grillo con parole d 'ordine tipo "golpetto" va preso sul serio. Sfidiamolo dicendogli "sei un infingardo". Tu parli e noi lavoriamo per davvero. Poi Vendola: lui è fuori. Apra il cantiere a sinistra. Una formazione alla mia sinistra non mi fa paura. Noi siamo il Partito Democratico di Obama, di Hollande, di Clinton. Siamo il partito democratico che vince le elezioni».
Un partito di sinistra?
«Certo, un partito riformista e non massimalista. Poi ho mandato un sms a Nichi. Gli ho detto: teniamoci in contatto. Mi ha risposto dicendomi che stava per spedirmi lo stesso messaggio».
Tenersi in contatto per provare a governare insieme?
«Ci penseremo al momento opportuno. Ora pensiamo ad altro. Di sicuro lui ha sbagliato sul Quirinale. Inaccettabile insistere su Rodotà davanti alla disponibilità di Napolitano, una figura di garanzia che ha dimostrato un incredibile senso di responsabilità. Doveva ritirarsi. E poi tutti sapevano che Rodotà non avrebbe comunque avuto i consensi per essere eletto».
Nel frattempo il centrosinistra ha silurato prima Marini e poi Prodi.
«Marini sarebbe stato un passo indietro. Ma quel tifo da stadio era sconvolgente. Io ho difeso Prodi a spada tratta. Non ho avuto paura del web. Il killeraggio nei suoi confronti è venuto da parte degli expopolari e degli ex Ds. Spero che questa sia stata l'ultima volta di un capo dello Stato eletto in questo modo».
In che senso?
«Spero in modalità diverse. Io sono per il sindaco d'Italia».
Vuoi dire l'elezione diretta?
«Perché no?».
Farà arrabbiare molti dei suoi colleghi di partito.
«Non so se quest'anno cela faremo perché è una modifica costituzionale. Ma perché non coinvolgere direttamente i cittadini evitando questo tifo da stadio? Credo che non ci sia niente di male. Il sistema semipresidenzialista è un punto di riferimento di larga parte della sinistra. Perché non da noi?»
Nei prossimi dodici mesi forse va cambiata prima la legge elettorale.
«Certo, io adotterei anche in questo caso il sistema dei sindaci. Si sa chi vince, funziona. Poi va bene qualsiasi altra soluzione che dia certezze sul vincitore. L'importante ora è fare qualcosa per gli italiani. Il mio obiettivo, le mie ambizioni sono meno importanti del successo del nostro Paese. L'Italia viene prima».
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