Gli impianti di telefonia che causano immissioni potenzialmente pericolose per la salute umana vanno rimossi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 04.09.2013 n. 20340. I giudici di legittimità hanno dichiarato che alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, l'esposizione ai campi elettrici e magnetici prodotti dai sistemi di telefonia, può essere a buon diritto considerata fonte di possibili effetti negativi per la salute; pertanto, l'impianto che genera, seppure per periodi limitati, dei valori di emissione di onde elettromagnetiche superiori ai limiti massimi consentiti dalle norme in vigore, deve essere eliminato.
La suprema corte ha ricordato l'esistenza di una specifica normativa relativa ai valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, normativa, quindi, che ha riguardo alla fondamentale finalità della prevenzione delle malattie, con lo scopo di impedire qualsiasi comportamento contrastante. Si viene pertanto ad applicare il c.d. principio di precauzione per cui il superamento dei limiti fissati, di volta in volta, nelle emissioni, comporta una presunzione di pericolosità per la salute umana il che farebbe scattare le norme di tutela.
Inoltre gli Ermellini hanno, nella stessa sentenza, affermato che il traliccio su cui vengono installate le antenne non può essere considerato una pertinenza, perché equiparato ad una “nuova costruzione” peraltro abusiva.
La corte di legittimità ha, poi, osservato che la soggezione ad autorizzazione gratuita, e non a concessione, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, lett. a), del dl 23/01/1982 n. 9 convertito in legge n. 94 del 1982, concerne le opere costituenti pertinenze o impianti tecnologici di edifici già esistenti. Soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla «res principalis», indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (Cons. di stato 2/2/2012 n. 615).
Pertanto il suddetto traliccio non era un accessorio dell'edificio su cui era stato installato, ma uno strumento dell'attività industriale che in esso si svolgeva.(Fonte: ItaliaOggi Sette)
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