Senza la Funivia un calo di presenze dell’80 per cento. E per ritirare la posta bisogna scendere fino a Meta
Fonte: Ciro Sabatino da Metropolis
Vico Equense - C’è un buco, sulla sommità
del Faito. Qui lo chiamano
‘neviera’. Un po’ di tempo
fa, quando ci finiva dentro
la neve, e quando la neve
diventava ghiaccio, c’era
anche qualcuno che si calava
in quel buco, tirava via
il ghiaccio e lo vendeva. Il
ghiaccio.
Denaro. Risorse. Chance.
Per chi ci viveva, su quella
montagna.
Ma erano altri tempi. “I
tempi del Conte”, dicono
da queste parti. E ovviamente
parlano di Girolamo
Giusso. E fanno riferimento
a più di un secolo fa.
Ora non è più così. Non
è più come ‘ai tempi del
Conte’. Ora la Montagna è
un gigante torpido e solitario.
Una specie di grande
tartaruga con le zampe sui
sassolini di una spiaggia di
Capri, e la testa nella Reggia
di Quisisana. Incastrata
tra due meraviglie. Schiacciata
su migliaia di case
abusive, nate come funghi
alle pendici del Monte.
Il Faito. Quattro pensionioncine,
cinque bar, un
minimarket, una chiesetta
che però si chiama come
una cattedrale. Il tempio di
San Michele. E poi un centinaio
di ‘residenti’, un’ottantina
di cani randagi, dei
corvi grandi come falchi,
15 bambini e neanche uno
scuola-bus.
Qui per andare a studiare si
organizzano le macchine la
mattina, e il comune paga
un po’ della benzina. E se
gira bene, se non c’è troppo
traffico, dopo aver fatto
scendere i pargoli davanti
all’asilo di Vico Equense,
chi guida si tira pure un
attimo a Meta di Sorrento,
per ritirare la posta.
Già, perché l’ufficio postale
non c’è, al Faito. La
munnezza se la portano
via due volte alla settimana,
e il ‘pullman’ sale quattro
volte al giorno. Ma fino
alle cinque di sera. Dopo
è finita. Ti chiudi in casa e
ciao ciao.
E la faccenda non vale
solo per gli ‘autoctoni’. Si
fregano anche quelli che
qui hanno le villette. Sono
un migliaio di ‘stranieri’,
con duecentottanta baite
di lusso, raffinate e discrete.
Anche per loro il Faito
d’inverno, dopo le cinque
di sera, è un eremo silenzioso
e distante. Da tutto
quello che chi sale lassù
vuol lasciarsi alle spalle.
Non c’è più il Conte. E
non c’è più neanche quello
che si era inventato. Le
neviere, i fasci di carbone,
le castagne dei Pirenei. O
una strada, per esempio.
Quella che dalla Reggia di
Quisisana portava dritto
dritto in cima, evitando il
caos della costiera. Niente.
Oggi quel serpente che
strisciava sulla dorsale di
Castellammare e portava
su turisti e denaro, è ‘chiuso
al traffico’. Le macchine
salgono lo stesso. In attesa che venga giù tutto e qualcuno,
dicono da queste parti,
sia costretto a piangere i
suoi morti.
Danilo Somma, il proprietario
dell’Hotel sant’Angelo,
ha gli occhi neri che gli
brillano e certe cose non
vorrebbe dirle. “Deve girare”,
dice. “E c’è bisogno di
essere positivi, di avere più
entusiasmo”.
Lui è un ‘ragazzo’. Vive a
Sorrento, ma ogni mattina
apre il suo albergo e aspetta.
Che qualcosa cambi, su
quella meravigliosa montagna.
“Scriva che sono il
nipote del custode della
montagna”. E anche lui fa
riferimento al Conte. Perché
il nonno di Danilo era
per il Conte, che lavorava.
Una vita fa.
Danilo è uno di quelli che ce
la mette tutta. Un po’ come
Alfonso Cannavale. Un
pensionato della Fincantieri
che ha due figli, quattro
nipoti, otto cani e un’Opel
Corsa ‘tutta scassata’.
Alfonso ha le idee chiare. E
mentre guida la sua Opel
Corsa ‘tutta scassata’, e
prova a ricordarsi i nomi
dei suoi otto cani (Nevrus,
Tom, Apache, Gimmi senza
y, e poi... e poi...) la dice, la
verità. Qui senza Funivia
non c’è speranza. Non ci
sono chance. Per nessuno.
“Dicono - dice - che chi
vive qua sopra è nu’ poco
pazzo. Secondo me sono
più pazzi quelli di giù,
però. Se pensano che una
montagna così possa vivere
senza turisti”. Ha ragione.
Non ci sono dubbi. Rispetto
agli anni passati, con la chiusura della Funivia, c’è
stato un calo di presenze
dell’80 per cento. Vincenzo
Circiello, il proprietario
del Papillon, proprio di
fronte alla Funivia, fa un
conto facile facile. “Dal primo
settembre nel mio bar
saranno entrate si e no cento
persone. Comprese le
domeniche”. E Giovanni
Somma della Cinciallegra
annuisce. Nervoso.
Il Faito è un gigante abbandonato.
Oggi ci volano
corvi che sembrano falchi.
Alfonso ha riempito una
busta di funghi. E parla di
briganti, di storie antiche.
Danilo sorride, silenzioso.
“Deve girare”. Pensa. E gli
brillano gli occhi.
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