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lunedì 17 novembre 2014
Ecomostro di Alimuri, Lucio Dalla voleva scrivere una canzone
“Bum! Un gran botto e via!”… L’abbattimento dell’immobile è previsto per il prossimo 30 novembre
Vico Equense - Lucio Dalla voleva la demolizione dell’Ecomostro di Alimuri. E promise che un giorno avrebbe scritto una canzone su quel rudere di cemento che deturpa la baia di Alimuri. Lo rivela, a oltre due anni dalla morte del cantautore, l’ex senatore Raffaele Lauro, che a febbraio presenterà “Caruso the song-Lucio Dalla e Sorrento”, il romanzo biografico sull’artista bolognese. “Tutta l’opera artistica -si legge in un brano, tratto dal romanzo di Raffaele Lauro - di Lucio Dalla è permeata dalla bellezza della natura e dal rispetto per essa, come fonte di ispirazione poetica e come risorsa vitale per l’umanità. Il tema della salvaguardia del mare e dello sviluppo sostenibile lo impegnava sempre in prima persona, dedicando, ad esempio, la sesta edizione del festival tremitese “Il mare e le stelle”, che si tenne, sulla piazza di San Domino, la sera del 30 giugno del 2011, alla difesa ecologica dell’Adriatico e delle Isole Tremiti dalla minaccia incombente delle perforazioni petrolifere. A quella entusiasmante serata musicale parteciparono, a titolo gratuito, altri artisti, attori, cantanti e musicisti, per dare man forte a quel piccolo grande uomo, il quale non si tirava mai indietro, qualora si trattasse di tutelare la natura, il bene più prezioso, donato da Dio all’uomo, giudicato, da lui, addirittura sacro.
Per tale filosofia di vita, quando navigava dal Bikini di Vico Equense al porto di Marina Piccola di Sorrento, e viceversa, passando, con Il Catarro, davanti alla Marina di Alimuri, Lucio Dalla distoglieva lo sguardo da quell’enorme, e orrido, scheletro di cemento, che profanava, a pelo d’acqua, un meraviglioso manto roccioso, non riuscendo a reggerne la vista e inveiva: “Una terra di tanta bellezza, come la costiera, dovrebbe essere difesa, con la vita, da simili attentati sacrileghi. Come può la gente sorrentina, che io amo molto, perché civile e ospitale, tollerare oltre che questo mostro, un’altra vergogna nazionale, resti ancora al suo posto, lì, sopra le rocce, dopo decenni, come estrema profanazione, simbolo nefasto dell’avidità degli uomini, della stoltezza dei governanti e dell’inerzia colpevole di un’intera comunità. Se trovassi dei complici, andrei, di notte, a metterci sotto mille cariche di tritolo. Farei saltare tutto in aria. Bum! Un gran botto e via! La libertà. E, poi, mi piacerebbe scriverci una canzone”.
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