Flora Beneduce |
Vico Equense - Le direzioni generali non hanno più scuse. Gli strumenti normativi per decongestionare i Pronto soccorso ed evitare lo scandalo-barelle ci sono. Proprio qualche settimana fa, Flora Beneduce, consigliere regionale della Campania e vice presidente della commissione consiliare permanente che si occupa di Affari istituzionali, aveva bacchettato i direttori generali delle Asl, per la cattiva gestione di un’emergenza, “dovuta all’incapacità di costruire una rete complessiva, di comunicazione e coordinamento tra la medicina territoriale e gli ospedali “. Oggi l’onorevole è soddisfatta per l’approvazione del decreto che riorganizza le cure primarie. Onorevole, da medico ha denunciato più volte la difficoltà di offrire ai pazienti un percorso diagnostico e terapeutico che partisse dai medici di Medicina generale, e non dal Pronto soccorso. Questo decreto risponde al suo appello? Assolutamente sì. Il testo ha l’obiettivo di realizzare, nel territorio, la continuità dell’assistenza 24 ore al giorno, umanizzare le cure, mantenendo la persona nel proprio ambiente, favorire l’evata qualità delle caratteristiche tipiche dell’assistenza primaria, come la relazione interpersonale, la continuità, il coordinamento dell’assistenza. Inoltre, viene garantita la gestione integrata dei pazienti, attraverso l’implementazione di percorsi assistenziali e l’integrazione tra sociale e sanitario.
In che modo? Attraverso le Aggregazioni Funzionali Territoriali (Aft) e le Unità Complesse di Cure Primarie (Uccp). Può spiegarci cosa sono? Le prime costituiscono un’articolazione del distretto socio sanitario nell’ambito delle quali operano i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, che garantiscono il massimo di operatività grazie all’organizzazione in team. Le Aft, dunque, rappresentano la cornice nella quale si inserisce al riorganizzazione delle cure primarie. Esse si occupano, in primis, di assistere nelle forme ambulatoriali e domiciliari la popolazione in carico a medici di medicina generale e a pediatri di libera scelta. Inoltre, valutano i bisogni popolazione assistita e sviluppano il sistema di relazioni tra tutti i professionisti del sistema. E le Unità Complesse di Cure Primarie? Le Uccp non sono alternative alle Aft, ma piuttosto complementari. Queste hanno una struttura più articolata, dal momento che aggregano professionalità diverse. Infatti, si compongono di personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, insieme con altri operatori del territorio, sanitari, sociali e amministrativi, messi a disposizione dal distretto e dalle municipalità. Le Unità complesse si occupano di attività prevenzione, come vaccinazione ed educazione sanitaria, offrono prestazioni e processi assistenziali, come visite domiciliari e ambulatoriali a scopo diagnostico e terapeutico, trattamento di alcune malattie, diagnostica rapida; e gestiscono la cronicità. La struttura delle Uccp tiene conto della varietà urbanistico-territoriale della Campania? Ovviamente sì. Sono previste Uccp a sede unica, il cosiddetto modello metropolitano, che ha una sede ogni 30mila abitanti e un numero di medici di medicina generale non inferiore a 20. Ci sono, poi, le Uccp in rete. Si tratta del modello rurale e montano a bassa densità abitativa, con una o più sedi di riferimento correlate alle necessità della popolazione assistita. Il numero di medici di medicina generale non deve essere inferiore a 10 e gli assistiti non devono essere meno di 5mila. Infine, sono previste le Uccp secondo il sistema hub and spoke, il modello sub urbano, che prevedono l’individuazione di una sede di riferimento nel luogo a maggiore richiesta assistenziale o nel luogo di maggiore densità abitativa, collegata telematicamente ad altre sedi dislocate sul territorio di riferimento, con non meno di 15 medici di medicina generale e numero di assistiti non inferiore a 15mila. Una rivoluzione per l’intero comparto sanitario. E come tutte le rivoluzioni lascia sul campo delle vittime: coloro che hanno ignorato la legge del 2012 che anticipava queste misure, coloro che hanno anteposto i propri interessi e le proprie clientele alla necessità di costruire la rete, coloro che hanno alimentato la macchina del fango sul lavoro del governatore e della sua giunta. Lei ritiene che l’impegno di Caldoro per la Sanità abbia prodotto risultati soddisfacenti? Le immagini delle barelle al Cardarelli sembrano raccontare un’altra storia… La storia è la stessa. Un comparto in rosso, viziato da sacche clientelari e da malcostumi consolidati. La necessità di tenere i conti in ordine e la scure della spending review. La mancanza di personale medico e paramedico per il blocco del turn over. In queste condizioni, chi avrebbe fatto meglio? Stefano Caldoro ha avviato il coordinamento tra i nosocomi per i reparti di cardiochirurgia, ha fronteggiato l’emergenza barelle smistando al Policlinico i degenti del Cardarelli. Ha smosso mille assunzioni, attraverso la stabilizzazione dei precari e la mobilità. Ora sta operando un forte pressing sul governo per sbloccare il turn over. Da ultimo, con l’atto del 18 febbraio scorso, ha fornito una via d’uscita all’empasse legato alla medicina territoriale. Non gli rimprovera nulla? Forse, all’inizio, avrebbe dovuto essere più deciso nell’operare scelte nette al fine di estirpare i vizi del sistema e tagliare i rami secchi. Ma ha recuperato alla grande e sono convinta che non siano sfuggiti ai cittadini campani gli sforzi del governatore e di tutto il Consiglio regionale. C’è tanto da fare ancora, è vero. Ma cinque anni possono essere sufficienti a rimette in moto la sanità. Sempre che non cambino i progetti e il modus operandi, improntato all’etica e alla dignità, delle istituzioni e delle persone.
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