Gennaro Esposito |
Vico Equense - Particolarmente fortunata, per non dire gustosa, l’annata gastronomica della penisola sorrentina che può vantare una lunga tradizione culinaria e chef stellati di fama nazionale. Accanto al noto Antonino Cannavacciuolo, vicano d’origine, doppia stella Michelin e protagonista della seguitissima serie tv “Cucine da incubo”, e alle new entry del panorama stellato dei fornelli Mario Affinita e Cristoforo Trapani, c’è l’intramontabile maestria e simpatia dello chef super quotato della Torre del Saracino, anch’egli vicano d.o.c., Gennaro Esposito. Patron della “Festa a Vico”, Premio Sorrento nel Mondo 2011, due stelle Michelin e pochi giorni fa protagonista di “MadreMare” per la rivalutazione del mare e del pescato, Gennaro ha raccontato il suo Natale tra i fornelli. «Le feste natalizie sono sinonimo di tradizione, anche in cucina. Ci sono piatti, ad esempio, che non sono potuti mancare tra la vigilia e il Natale, che tra loro rappresentano due scenari culinari molto diversi: durante la Vigilia c’è la cosiddetta “cena di magro” con l’insalata di rinforzo, lo spaghetto alle vongole, il capitone, la frittura. Per il pranzo di Natale, invece, a farla da padrone è l’abbondanza con lasagna, pasta al forno, l’agnello, il capretto e il pollo ripieno. La “mia” tavola, quindi, rispetta queste tradizioni».
Pur vero è che non tutti i paesi hanno le stesse tradizioni e mangiano alla stessa maniera e questo, anche secondo lo chef vicano, ha il suo valore aggiunto: «Il bello dei nostri territori è proprio che in ogni paese c’è quella chicca che rende il piatto diverso perché lo si interpreta e realizza differentemente e questo appartiene alla ricchezza dei nostri luoghi. La caratteristica della Penisola sorrentina, per esempio, è il trionfo delle verdure dato dal nostro orto molto ricco e autentico, per cui abbiamo la tradizionale minestra maritata, la cicoria in brodo con le polpettine e tutta una serie di piatti e di gestualità in cucina che amiamo fare, vedere e assaggiare. Poi, chiaramente, per concludere i dolci natalizi e qui il catalogo è ricchissimo con forme e ripieni differenti purché, per noi, ci sia il profumo del limone e del miele». Ma sicuramente una delle curiosità più forti da soddisfare quando si è di fronte ad uno chef stellato dalla lunga esperienza come Gennaro Esposito è chiedergli qual è il suo piatto preferito, quello che saprebbe renderlo felice a tavola, non da chef, ma da commensale. «Io sono di gusti molto semplici, anche la mia filosofia di cucina cerca di prediligere piatti che abbiano un’immediatezza, che abbiano la capacità di emozionare. Di piatti preferiti ne ho diversi, ma adoro sicuramente la pasta di qualità in bianco condita con un buon olio: un piatto sensuale perché ci sono la masticabilità della pasta e la pienezza dei profumi uniti alla semplicità. Tutti ingredienti che mi piacciono molto. Poi adoro tutti i piatti classici, adoro prepararli, assaggiarli e a volte mi invento qualsiasi trucco pur di farmi invitare da qualcuno, che sia un amico o un conoscente, perché penso che in questi piatti sono custodite memorie che bisogna recuperare e tramandare. Credo sia importante riuscire a tradurre questa sorta di empiricità. La nostra missione è quella di capire cosa si nasconde in termini scientifici in un piatto, in quella proporzione in quel gesto che è sempre stato fatto così dai nostri nonni, perché è lì che sta la vera essenza della cucina». Le festività natalizie sono sì, sinonimo di cucina e di prelibatezze, ma rappresentano soprattutto lo stare insieme di cui il cibo è un umile servitore, un mezzo per generare convivialità e riunione l’intera famiglia attorno ad una tavola. La cucina perciò è strettamente collegata all’esistenza di un nucleo famigliare e non è un caso che la tavola sia imbandita delle migliori e più disparate leccornie in misura proporzionale al numero di invitati a tavola, al di là delle possibilità economiche. Lo sgretolamento delle famiglie, sempre più piccole, separate, con nonni lontani geograficamente, si ripercuote necessariamente sulla cucina che assume nuove forme e connotazioni, adeguandosi al tipo di società che cambia. «L’uomo è destinato e ossessionato da questa voglia di progredire, evolversi e modernizzarsi ed è un fatto giusto perché grazie a queste ambizioni abbiamo continuamente dei traguardi nuovi. E anche in cucina c’è questa voglia di andare avanti ed evolversi. Chiaramente tutto questo imprime al ritmo una velocità diversa nel nostro quotidiano. Se questo concetto lo spostiamo sulla famiglia, vediamo che oggi essa vive un periodo del tutto nuovo. Come diceva lei, oggi ci sono ancora gli ultimi avamposti delle nonne che fanno un po’ di tutto: custodiscono la tradizione, aiutano i giovani e le mamme che molto spesso lavorano e per questo la cucina sembra vivere una situazione di difficoltà. Però le devo dire che io non ho mai visto così tanti giovani al ristorante che sono curiosi di assaggiare una cucina nuova, moderna. Non ho mai visto tanti giovani incuriositi nel vedere programmi di cucina o frequentare corsi di cucina. per cui io penso che come al solito l’evoluzione ha fatto un grande giro ma alla fine torniamo sempre ai fornelli».
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