di Filomena Baratto
Vico Equense - Finalmente ci si incontra dopo un anno. Si passa da un nucleo familiare a un gruppo vero e proprio in occasione delle feste di Natale a cui non siamo abituati.
La festa fa da cornice tra una celebrazione eucaristica, un fuoco d'artificio e una tavolata, scambiandoci confidenze, chiacchiere e affettuosità oltre a rievocare momenti passati insieme. Sono giorni in cui ci si lascia andare, ogni frase amplifica il suo significato, ogni gesto triplica il suo valore nel bene e nel male, e, anche quello che si sussurra, diventa importante. C'è la figlia che racconta i suoi traguardi, la nonna a caccia di notizie con una parola buona per tutti, il padre che si tranquillizza con i figli intorno al tavolo, la zia che telefona a tutti i parenti, i ragazzi in un angolo con le loro scatole tecnologiche.
Di questi giorni ci si incontra sempre attorno a una tavola infiocchettata dove si mangia in comunione, anzi come su un altare dove avviene l'offertorio, e dove spesso ci si confessa. Tra brusii, tintinnii di bicchieri, bottiglie di vino che si svuotano, si fa festa dovendo aspettare un altro anno per lo stesso incontro.
La tavola celebra i nostri incontri, è lei la vera protagonista delle feste. Tra una portata e l'altra scappa una parolina, c'è sempre qualcuno che si offende e un altro che mette il dito nella piaga. Poi accade che risponde chi non dovrebbe e rincara la dose, allora ci vuole la frase che smorza il tutto e scatta lo zio che dice una battuta, una frase ad effetto, o racconta una storiella completamente avulsa dal contesto. Il nonno parte con i suoi ricordi immancabilmente di guerra o si butta sulla pensione e la politica facendo sbuffare i nipoti a sentire sempre lo stesso discorso.
La nonna lo riprende ma lui dice che sono cose da uomini, come se le donne non vivessero nello stesso mondo.
E poi c'è chi ha lavorato senza sosta ai fornelli e continua la maratona e non aspetta altro che riposarsi, ma deve avere un sorriso sulle labbra per non lasciar trapelare la stanchezza e quando le dicono quanto è stata brava, lei vorrebbe rispondere che è solo olio del suo gomito, tre giorni no stop come nelle grandi cucine dei ristoranti. Ma con aplomb risponde che è stata aiutata e allora tutti puntano gli occhi sul marito e le figlie che, increduli, si chiedono il motivo di quegli sguardi. Tutti sanno che le ragazze amano che la mamma pensi a tutto e ai papà la casa cade addosso e si dileguano prima ancora che inizi la danza in cucina.
Ogni incontro ha i suoi mugugni, le sue offese, le sue decisioni, i suoi momenti di amarcord e di progetti. Il cenone di Capodanno è il momento più teatrale dell'anno, riusciamo ad essere convincenti con i nostri brindisi di prosperità, con il nostro colore rosso nascosto da qualche parte, le nostra risa e con la voglia di festeggiare non già l'anno che passa ma il voler fermare il tempo. E il festeggiare diventa una sorta di rivincita contro questo tempo come se volessimo sfidarlo, per dire che malgrado la sua inesorabilità, noi possiamo festeggiare ancora, salvo poi fare i conti nel nostro cuore di quello che ci è dispiaciuto, di quello che non vogliamo si ripeta e di tutto quello che ancora ci manca. Sarà per questo che non amiamo troppo le feste! Le aspettiamo per stare con la famiglia e gli amici ma poi le temiamo e non vediamo l'ora che passino quanto prima per uscire indenni da ogni imprevisto, buttandoci nella nostra quotidianità. E visto che gli incontri sono tra i più attesi, tutto quello che diciamo durante le nostre tavolate, ha lo stesso valore che un tempo fu della Magna Charta. Si discute della casa da intestare, i risparmi da dividere, il matrimonio da preparare, la carriera da avviare, la figlia da sposare, la nonna da sistemare, il lavoro da trovare...e poi le novità da divulgare, le sorprese da condividere, tutti argomenti che emergono come l'acqua quando trova la strada in mille rigagnoli. Vogliamo per forza dirci tutto durante i nostri pranzi e cene delle feste, quello che, invece, andrebbe fatto e detto giorno per giorno.
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