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martedì 17 maggio 2016

Mens sana… in corpore sano

di Filomena Baratto 

Vico Equense - La vita odierna ci porta a vivere nella nostra solitudine per non avere, all’occorrenza, un interlocutore adatto a noi. Molto più spesso avremmo bisogno di qualcuno che ci desse un consiglio, ci togliesse un dubbio, manifestasse un parere diverso dal nostro, ma troviamo sempre qualche impedimento, di tempo, di persone giuste e per non saperci aprire agli altri. Oggi, quando accumuliamo un bel po’ di cose negative, andiamo dallo psicologo, figura ritenuta indispensabile nel nostro tempo, al quale affidiamo l’onere di prendersi cura di noi, coccolarci, comprenderci e darci consigli. In un’ora di seduta tiriamo fuori le nostre ansie, le nostre paure, i nostri timori e li mettiamo in fila per conoscerli e riconoscerci. Il nostro interlocutore ascolta senza critiche, dandoci quello che nei rapporti con gli altri manca: essere ascoltati. Mancano figure di riferimento a cui affidarsi così come il tempo, un grande oppressore. I rapporti hanno una durata compulsiva, nel senso che si accendono, bruciano e si spengono in breve tempo a dispetto della comunicazione che è molto lenta, ha bisogno di conoscenza, fiducia, stima. Quanto dura un’amicizia? Il tempo della conoscenza. E l’amore? Il tempo dell’innamoramento. In questa società liquida, che Zygmunt Bauman definisce tale per essere le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile, ascoltarsi e raccontarsi è controcorrente. La nostra quotidianità misura la quantità delle cose effettuate più che la qualità di vita. Non possiamo sempre disporre del nostro tempo parlando con un amico o ascoltando delle confidenze. Le reputiamo cosucce di poco conto in relazione agli affari e al lavoro che ingombrano le nostre giornate.
 
Rimandiamo sempre a un tempo migliore credendo che prima o poi questo arrivi. Si sono prese le distanze poi dalla confessione, momento di confronto spirituale: non si ha voglia di raccontarsi a un uomo fuori dal contesto quotidiano a causa del sempre verde pregiudizio che il sacerdote, privo della nostra esperienza, non possa capire. Ma è proprio di un uomo un po’ staccato dalla nostra quotidianità di cui abbiamo bisogno, per vedere meglio dall’esterno la visione della nostra vita. Se poi accade di avere questo confronto, siamo reticenti, striminziti e approssimativi come se, invece di confessarci, dovessimo giocare ad occultarci. Peggio ancora quando crediamo di essere capaci di assolverci da soli, considerando che, per la reiterazione del nostro errore, non ci convenga parlarne. In un cambio di tendenza, poi, gli ambulatori di medicina generale durano oggi un tempo interminabile in quanto i pazienti sono più propensi a parlare col proprio medico, più che con altri, di aspetti anche più intimi e personali, visto che ci conosce. Nel suo computer c’è la nostra cartella clinica che racconta della nostra vita di paziente tra anamnesi, cure, diagnosi e ricerche di laboratorio. A questo punto gli diamo il permesso di indagare anche sulla nostra sfera psichica, che si sa, riversa sul fisico le sue richieste e i suoi affanni. Un mal di stomaco ci attanaglia dietro una tensione o preoccupazione, l’ansia ci viene in seguito a una paura, un herpes ricorrente che si presenta dopo un rifiuto mentale diretto a qualcosa di specifico... Così lo psicologo, il medico e il sacerdote sarebbero i custodi del nostro benessere interiore e fisico, l’uno per esperienza, l’altro in forma spirituale e l’ultimo per il nostro corpo. Le tre sfere vanno insieme, spirito, psiche e corpo appartengono allo stesso proprietario e ognuna delle tre si riflette nell’altra e viceversa. E con gli amici che vanno e vengono, con la vita che corre più di noi, impieghiamo del tempo prima di correre ai ripari. Così’ evitiamo di andare dal medico mostrandoci ipocondriaci; tendiamo a sottovalutare lo psicologo visto che ogni seduta ci costa, come se questi dovrebbe solo farci un favore e non dovesse avere il corrispettivo di quanto ci offre; dal sacerdote riduciamo a un flash la confessione preferendo a questo delle critiche nei suoi confronti invece di lasciarci andare al suo ascolto e chiedere venia per la nostra anima. Abbiamo quindi la presunzione di poterci gestire da soli, che nessuno meglio di noi ci conosce, che le malattie una volta presentatesi non c’è alcun rimedio, che prima lo psicologo non esisteva e si viveva bene lo stesso, o apparentemente era così. Il fatto è che noi avremmo bisogno di queste tre figure aggiunte alle altre più vicine, come un amico, a cui raccontarsi, un compagno di scuola, con cui ricordarsi del vissuto insieme, una parente a cui chiedere, un padre che ascolti, una madre vicina, una figura scelta per le confidenze. Queste valvole di sfogo servono a resettare la nostra mente bombardata quotidianamente e bloccata da tanti inutili pensieri. Ascoltare e confessarci sono azioni che vanno ripetute, necessarie al processo di crescita e maturazione di ogni uomo. E non per forza vanno di pari passo. C’è un tempo per ascoltare e un altro per parlare, per manifestarsi, per confessarsi, chiedere. Il primo esercizio per farsi ascoltare è quello di non lamentarsi continuamente della vita, non “piangere” per giocare al ribasso o essere insistenti credendo di riuscire ad ottenere quello che è nelle nostre intenzioni. Per la confessione poi dovrebbe ritornare il vecchio esame di coscienza che da un po’ abbiamo mandato nel dimenticatoio da quando facciamo tanti altri esami nella nostra vita. E farlo anche per le cose insopportabili che, se condivise, dimezzano il loro peso. Plinio il Vecchio affermava “Nulla dies sine linea” un modo per dire allo scrittore “mai un giorno senza scrivere”, io lo adotterei in questo ambito: mai un giorno senza confronto con noi stessi e con gli altri. I nodi vanno sciolti in giornata onde evitare che orde di pensieri negativi e inutili intasino la nostra mente e il nostro cuore. E che non si creda di essere prototipi troppo sofisticati, siamo semplicemente umani. Nella decima satira Giovenale si scaglia contro quegli uomini che pregano per ottenere ricchezze, potenza e onori, affermando che sono solo falsi dei. L’unico bene, afferma ancora l’autore latino, è quello di aspirare alla serenità dell’anima e al bene della salute, appunto una “Mens sana in corpore sano” . Non possiamo allenare il fisico lasciando la mente al buio e il cuore in ombra. Va tutto di pari passo e tutte e tre si influenzano. Anche il fisico più forte crolla sotto i colpi di un’ansia o di una paura o una tensione ricorrente. Così come il cuore più freddo e la mente più lucida non sapranno come reagire a un fisico molliccio.

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