di Filomena Baratto
Vico Equense - Se in queste elezioni è avvenuto il miracolo di San Gennaro, non dimentichiamo che il sangue non si scioglie senza la partecipazione dei fedeli, anche se il miracolo avviene per poche gocce. Il ballottaggio ha ribaltato l’esito del primo turno. Le elezioni sono finite ma, come lunghi strascichi, si portano avanti malumori. Quando si vince non c’è da screditare e quando si perde c’è sempre da pensare. Chi si è astenuto non ha niente da ricusare, chi ha imbrattato la scheda ha perso un suo diritto. Chi non è contento del risultato poteva scendere in campo personalmente e mettere su una lista con persone ritenute adatte per il ruolo, situazione questa da coltivare col tempo e a cui dare attenzione e cura prima di giungere alla presentazione della lista. In politica si procede a fatti e non a chiacchiere. Si è sempre responsabili in un modo o nell’altro quando le aspettative deludono, per non aver fatto abbastanza. A volte si è delusi e insoddisfatti comunque, e non si sa nemmeno cosa volere o cosa sia bene fare. Le persone che hanno sempre da dire e ridire non risultano né positive, né propositive e sembrano come quei corvi che, mentre cantano, perdono il pezzo di formaggio posto tra i denti. Molti vedono la politica come un agire in base alle situazioni. Così quando le cose vanno secondo le nostre aspettative, siamo d’accordo, quando non ci accontentano, invece di analizzare la realtà da cambiare, valutare cosa non è andato bene, individuare i veri problemi, siamo capaci di rivoltare tutto. Si fa politica per gli interessi della comunità, ma spesso questo concetto lo eludiamo e ad ogni elezione ci ricordiamo quello di cui abbiamo bisogno personalmente.
I candidati devono far leva sui bisogni degli elettori per essere presi in considerazione e sperare nel voto. Poi ci si lamenta delle persone elette, comportandoci spesso come Pilato, lavandocene le mani, come se non fossimo stati noi ad eleggerli. Il puntuale atteggiamento a elezioni terminate è di volere sempre qualcosa che non è accaduto. La colpa è sempre degli altri mai nostra e sappiamo enumerare in modo preciso tutto quello che non doveva essere fatto con una memoria da Pico della Mirandola, per le cose altrui, e con un’altra “scordarella” per le nostre.
Le persone che operano concretamente sanno cosa vogliono cambiare contrariamente a quelli che criticano e si comportano come i cecchini sparando su tutto ciò che accade. Se invece di stare a guardare, si alzassero dalla sedia e preparassero una lista, ci lavorassero su, formassero un gruppo secondo i criteri che hanno in mente e se non si lamentassero di non avere il tempo o non si trincerassero dietro il fatto che non gliene frega nulla ma frega loro parlare 24 ore su 24 dell’operato altrui e di politica dimostrando che gliene frega, eccome, forse la politica potrebbe essere anche più interessante. Chi preferisce fare da spettatore, dovrebbe restare tale, in quanto l’agire è ben diverso. La politica non è cosa semplice, ciascuno ne vede un aspetto, che è sempre ristretto e manchevole del resto. Siamo tutti bravi ad additare, ad accusare e a fare chiasso, ma alzare la voce è solo indice di incapacità. La politica non deve essere il rifugio dei repressi, né di chi non vuol mollare il potere, né di chi crede di poterselo creare. E’ ben altro ed è ora di cambiarla. E’ colpa nostra se nel tempo l’abbiamo fatta diventare tale e adesso assistiamo impotenti. Politica non è riempire una lista all’ultimo momento e presentarsi come ad una gara canora, ma tutto un lavoro e una volontà di mettere al servizio degli altri idee e mezzi, di preparare un programma da limare e controllare per capire se i punti che esso racchiude siano quelli che la comunità chiede e quali tra questi le priorità. Non è una corsa tra persone, non è misurare la bravura di nessuno, solo mettere a punto seri progetti per la comunità e su quelli misurarsi. Le più belle idee in politica, se lontane dalla gente, non funzionano, la politica è risoluzione di problemi. E stare vicino alla gente non è, come molti credono, presentarsi solo durante le elezioni. L’elettore è stato educato a chiedere in cambio del voto e di votare quel candidato solo se ne ottiene dei vantaggi. E’ stata abituata così perché è quello che le viene dato non è un programma su cui contare, solo promesse di cui fidarsi.
Al vincitore non si perdona, in politica come in tutti gli altri ambiti, non siamo abituati ai successi degli altri, li prendiamo per offese personali. La prima cosa a cui bisognerebbe abituarsi in politica è la sconfitta. Ce ne vogliono sempre tante per un successo. Un successo è una strada che arriva alla meta e non solo del singolo, ma di tutti coloro che hanno partecipato. Può esserci merito senza successo, ma mai successo senza qualche merito.
In queste elezioni vincono i giovani e l’esperienza senza la quale non si procede speditamente. Vince anche il tutoraggio che non è mai stato un aspetto negativo se la simbiosi tra vecchio e nuovo è l’unico modo per non restare indietro e non andare avanti dimenticando il passato.
Non bisogna sciupare questa bella opportunità di sinergia tra le parti, creando presupposti per basi più solide. Una campagna elettorale, più che riportare vincitori e vinti, deve mettere a punto un metodo di lavoro, un programma da perseguire, dove anche la sconfitta dei vinti è un aspetto della lotta e un motivo per non fermarsi, un contrappeso intelligente e costruttivo.
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