di Filomena Baratto
Vico Equense - Ad ogni mio onomastico prendo in considerazione il mio nome che ho sempre reputato non proprio “bello”, anche se mi sono abituata e non potrei averne un altro. Da piccola ricordo che ho sentito questo nome anche in versione maschile. La tradizione vuole ( meglio dire voleva) che bisogna dare ai figli il nome dei nonni paterni e in secondo ordine quelli dei nonni materni. Pertanto nella mia famiglia ci sono quattro “Filomene” di cui due con lo stesso cognome, quindi omonime. L’omonimia, nell’ambito della stessa famiglia, è solo uno dei problemi in cui si incorre con questa tradizione. Ai nonni piace avere tanti nipoti con il proprio nome, come se fosse un capitale, soprattutto se sono maschi e permettono di perpetuare il nome della famiglia. Se aggiungiamo che, una volta adulti, devi accettare il nome che i genitori hanno scelto per te, a “scatola chiusa”, come diceva un vecchio spot pubblicitario, alla fine non ti resta che identificarti col nome che porti e guai a chi te lo tocca.
Questa consuetudine dei nomi dei nonni è tutta meridionale. Oggi molti giovani mettono i nomi che vogliono ai propri figli, anche stravaganti: Chanel, Paris, Sharon, Omar, solo alcuni per dire che il nome può riprendere qualsiasi cosa di questo mondo, mentre eravamo rimasti ai Santi. Poi ci sono le mezze tradizioni, per cui se uno dei nomi dei nonni è bello, lo si mette ai figli, altrimenti lo si cambia. Altri, invece, cominciano la tradizione col nome bello dei nonni e finiscono con quello che più piace, mietendo discriminazioni peggiori dei nomi brutti. Avremo così un figlio col nome della nonna e l’altro con quello dei cartoni, per esempio. Se una tradizione va seguita, che sia in modo coerente e non in base alla persona o, peggio ancora, in base agli interessi o i gusti.
Per me risulta troppo lungo, poco armonico, compreso il diminutivo: Filly, Mena, Menuccia, Filo! Nessuno di mio gradimento, tanto vale essere Filomena e basta. La cosa più odiosa è sentire il tuo nome in inglese, ma perché? Ho conosciuto il suono del mio nome con mia nonna, quando lo pronunciava per intero mettendoci tutto il tempo necessario, senza fretta, quasi compiaciuta di ripetere in quelle sillabe il nome dell’altra nonna, quella paterna. Come diminutivo nessuno l’ha pronunciato meglio di mia madre: Menuccia! Mi chiamava così quando mi sollecitava a fare qualcosa che lei desiderava ed io pronta a esaudire ogni suo desiderio. Mi risuona ancora all’orecchio quel modo dolce e affettuoso come solo le mamme sanno fare. E quando ci penso, mi dico che a lei non importava il suono, in quelle lettere c’era tutto l’amore che aveva per me! E allora ho cominciato a capire che siamo identificati al nostro nome, anche se ci sono tante persone che lo adottano, siamo quelle lettere messe insieme e non potremmo chiamarci in nessun altro modo. Il nome Filomena abbonda in penisola per diversi motivi, anche letterari, in riferimento al capolavoro di Eduardo De Filippo “Filumena Marturano”, una commedia in tre atti scritta nel 1946 con un argomento caro all’autore: quello della famiglia, della ricostruzione di una società fatta a pezzi, dopo la guerra, che doveva contare solo sulla reciproca fiducia se voleva farcela. “Filumena” era il simbolo della condizione della donna a Napoli negli anni 40, una donna forte e determinata, analfabeta, che riescì a fregare il suo Domenico Soriano al quale attribuì la paternità dei suoi tre figli, pur non essendo tutti di “Dummì”. Una storia che avrà suscitato grande interesse nel pubblico per rispecchiare quell’amore materno che si erge al di sopra di ogni altro sentimento in ogni mamma. Filumena Marturano rappresenta una voce in quella Napoli di soprusi e povertà narrata da Eduardo. Credo che la grande ammirazione per questo autore, regista, attore e poi l’interpretazione della Loren e di Mastroianni nei ruoli principali, abbiano lasciato un segno in tutti. L’autore dà alla protagonista questo nome proprio per la grande devozione dei Napoletani alla Santa e alla sua tradizione. Non so quante volte da piccola mi hanno chiamato col nome per esteso della protagonista, tanto da farmela conoscere attraverso i loro richiami. Con la prossima generazione, ma già con quella attuale, ci sarà un ribaltamento totale, assistendo alla fine di questo nome. Una volta i nomi venivano dati senza pensarci su, facendo riferimento ai nonni paterni, mentre oggi i giovani non sanno che farsene di questa abitudine. I nomi preferiti sono quelli dei protagonisti di fiction e film, degli amici o delle persone che più ammirano, tutti tranne quelli dei genitori. Ci sarà sempre una scusa per non mettere il nome dei nonni: troppo obsoleto, troppo lungo, troppo vecchio, troppo corto, da martire… I nomi in voga saranno Tamara, Oscar, Debora, Kim… non c’è più motivo di mettere i nomi dei nonni che hanno perso quel ruolo di una volta e anche quell’eroicità che gli si attribuiva. Erano nonni che avevano vissuto le difficoltà della guerra, avevano portato avanti una famiglia in ristrettezze economiche ed erano dei veri eroi. Le nostre nonne potevano insegnare l’economia, il galateo, i mestieri, la cucina, altro che eroine, sono state delle donne che hanno costruito e tenuto su famiglie su famiglie. Oggi il massimo che i nonni devono sopportare sono i crack finanziari e le guerre le guardano in tivù, per cui i nomi dei nonni moderni non hanno alcuna chance in più rispetto agli eroi della tv, né tanto meno le hanno i Santi di una volta. Vuoi mettere Santa Filomena martire, il cui culto ebbe origine il 25 maggio 1802 e sul suo loculo c’era la scritta “Lumena pax te cum fi”, “La pace sia con te, Filomena!” con una moderna eroina televisiva? Il loculo della Santa era chiuso da tre tegole di terracotta, risalenti ad un periodo fra la fine del III e l’inizio del IV secolo dopo Cristo e proprio su una tegola fu trovata la scritta. Mettere a confronto una martire con una Brigitte, una Linda, Donna Imma, Penelope…, non regge, questi nomi hanno tutto un altro fascino, se non altro costruiscono storie dove soldi e potere prendono il posto dell’amore, quello vero, quello insegnato a suon di esempi. E se ci piacciono i nomi, non ci piace, poi, perdere la storia del “nostro nome”, il legame con la nonna paterna, il rassomigliare a lei, l’avere qualcosa che ci riporti alla sua fisionomia o ad aspetti caratteriali. Quando mio padre mi dice, per esempio, che ho in comune con mia nonna un tale modo di fare o di agire o di pensiero, un po’ mi rincuora e mi fa trovare mille ragioni di avere il suo nome e sembra tutto più plausibile e accettabile. La storia della famiglia e il perpetuare la memoria delle persone aiuta a credere bello qualsiasi nome. In entrambi i casi ci sono situazioni da superare come quella di non mettere a un figlio un nome solo per ricordare i natali e non rendersi conto per esempio che Bianco Natale non va bene, così come Santa Barbara o Barba Celeste siano alquanto ridicoli. Il buon senso e la coerenza non devono mai mancare.

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