Antonino
Siniscalchi, Giornalista
Buonasera, benvenuti alla prima nazionale del
romanzo “Dance The Love - Una stella a Vico Equense” di Raffaele Lauro. Il
volume conclude “La Trilogia Sorrentina”, sulla scia di “Sorrento The Romance -
Il conflitto, nel XVI secolo, tra Cristianesimo e Islam” e “Caruso The Song -
Lucio Dalla e Sorrento”. Il romanzo narra la vicenda, umana e artistica, della
grande danzatrice russa Violetta Elvin, nata Prokhorova e vedova di Fernando
Savarese, ospite d’onore di questa serata. L’evento, non a caso, si tiene sul
Sagrato della Chiesa della Santissima Annunziata, antica sede episcopale di
Vico Equense. Questa significativa manifestazione culturale, con la scelta di
una location unica al mondo, è stata organizzata dalla Città di Vico Equense,
nell’ambito del Social World Film Festival - Mostra Internazionale del Cinema
Sociale, iniziato domenica scorsa e che si concluderà il 31 luglio 2016. Dopo
il saluto del sindaco di Vico Equense, Andrea Buonocore, introdurrà l’evento il
direttore artistico del Social World Film Festival, Giuseppe Alessio Nuzzo. Al
dibattito interverranno, come relatori, il professor Salvatore Ferraro e la
professoressa Angela Barba. Mi corre l’obbligo di giustificare l’avvocato Giuseppe
Ferraro, il quale era previsto tra i relatori, ma impegni improvvisi lo hanno
trattenuto altrove.
Andrea
Buonocore, Sindaco di Vico Equense
Si dice che noi politici parliamo troppo e
diciamo troppe cose. Questa sera dovremmo far parlare il silenzio, sospendere,
per un attimo, ogni tipo di attività, stare comodi su queste sedie e
contemplare il posto, che parla più di ogni intervento e di ogni saluto. Quando
il sindaco gira il territorio, spesso e volentieri, è fermato da tante persone,
che inoltrano richieste di aiuto, oppure viene invitato a riflettere e a
trovare soluzioni a tante problematiche. Invece, in questo momento, si viene
qui e ci si viene a caricare di quella forza, di quell’impegno e di quella
simpatia che fa dire orgogliosamente, sono il sindaco di Vico Equense, perché sono
il sindaco anche di questo luogo, unico nel proprio genere. Penso che questo luogo
dica tutto da solo, senza alcun intervento. Un posto dove cielo e terra si
baciano, dove una cattedrale stupenda domina e si fa notare dappertutto. Una
immagine, che, a volte, è diventata anche l’immagine della stessa Napoli. Quando
c’è un convegno, un incontro che tratta di Napoli, spesso si utilizza questa nostra
immagine. Tutto ciò ci fa onore e di questo dobbiamo essere orgogliosi, ma
anche sentire il peso del fatto che questi luoghi ci appartengono, per cui vanno
tutelati e rispettati. Ecco, noi stasera elogiamo una grande donna, la quale
soltanto il caso, la fortuna, ha fatto abitare qui a Vico. E non è un accidente
che si è innamorata di Vico, guardando questo luogo. Una location particolare
anche per questo, perché, come diceva il senatore Lauro nel nostro incontro al
Comune, questo è il posto che Violetta vede dalla sua stanza e penso che ciò
abbia contribuito, in modo determinante, all’amore per Vico, quell’amore di cui
solo lei è stata capace, amando, attraverso un uomo e un luogo, un’intera comunità.
Bisogna essere grati a questa donna che ha parlato, ha vissuto e ha testimoniato
Vico Equense, in Italia e nel mondo. Il mio saluto è questo: siamo fieri e orgogliosi
di ospitare in questo luogo un appuntamento così importante, nell’ambito di una
manifestazione altrettanto importante: il Social World Film Festival, kermesse
internazionale che stiamo vivendo in questi giorni. Il mio augurio è di
trascorre un’ora di serenità, in questo luogo meraviglioso, e di portarne il
ricordo nel cuore, per sempre. Grazie.
Giuseppe
Alessio Nuzzo, direttore del Social World Film Festival
Buona sera a tutti. Benvenuti. Siamo a metà del
percorso della VI Edizione del Festival Internazionale del Cinema Sociale che,
da due anni, è diventato la Mostra Internazionale del Cinema Sociale, con l’inaugurazione
del Museo del Cinema. Per chi non lo sapesse o per chi non è di Vico Equense,
nei locali dell’Antico Palazzo Municipale ci sono due sale dedicate alla storia
del cinema di Vico Equense. 100 film girati in cento anni. Film con Sophia Loren,
Marcello Mastroianni. Un tributo ad un territorio che di cinema ne ha tanto. Ma
il Social World Film Festival non è soltanto cinema. Lo diciamo sempre. E’ un’esperienza
culturale, facciamo formazione con i giovani, attività internazionali in tutto
il mondo, ci occupiamo di arte. Se qualcuno ha visto le vetrine dei negozi
della città, le strade, le piazze, ci sono esposte opere artistiche, dedicate al
cinema. Abbiamo voluto dare l’opportunità a giovani artisti di esporre le loro
opere sul tema cinematografico, il tema del Social World Film Festival. Il Social
World Film Festival è anche arte in generale e stasera abbiamo voluto dedicare
una manifestazione, in questa meravigliosa location, all’arte della danza e
all’arte dell’editoria. Quando Raffaele Lauro mi ha chiamato, ho accettato
subito l’idea di presentare qui, al Social World Film Festival, questo tributo,
non solo a una donna speciale, a una donna particolare, donna Violetta, ma,
soprattutto, a Vico Equense. Voglio rendervi partecipi di questo libro, che
Raffaele mi ha inviato qualche giorno fa per leggerlo. Sono rimasto enormemente
sorpreso delle parole, non solo da una storia particolarmente incisiva ed
emozionante. Questa storia si inserisce in un contesto geografico, quello di Vico
Equense, che è a dir poco toccante, nonostante la parola sia riduttiva per
esprimere le emozioni che si provano nel leggere le pagine di Lauro. Vi voglio
regalare qualche brano di questo testo, per immergerci nel libro, nel tema che,
poi, verrà ampiamente sviscerato dai relatori: “Quella sera di inizio novembre,
a Vico Equense, soffiava una frizzante brezza di terra, dolce, tiepida, quasi
eccitante, che stava chiudendo una giornata eccezionalmente calda, piena di
sole, luminosa, tersa, densa di colori, quasi trattarsi di un’incipiente
primavera, piuttosto che l’epilogo della stagione autunnale. Un autunno,
quell’anno, senza piogge, tanto da destare legittime preoccupazioni nelle
famiglie contadine, delle vere ambasce, che diventavano oggetto di animate
discussioni tra i tavolini dei bar di piazza Umberto I. A metà strada, tra la
montagna e le spiagge, si affermava, poi, il piano, nel quale trionfava il
cuore pulsante della vita cittadina, il centro urbano, che inclinava verso
l’orlo estremo della costa alta, con gli imponenti palazzi signorili e i
conventi, a precipizio sul mare, dirimpettai del Vesuvio, che sembravano
sfidare le leggi della statica, fino a quel suggello stupefacente della Chiesa
della Santissima Annunziata, autentico miracolo costruttivo, incastonato, come
una gemma preziosa, nella roccia calcarea, divenuto il simbolo supremo della
religiosità dei Vicani e il locus sacer della memoria collettiva. La chiesa,
definita uno scrigno di arte sacra, immersa in un contesto paesaggistico
irripetibile, rappresentava, per i Vicani, una lauda creaturarum al Signore,
come quella del ‘Cantico’ del poverello di Assisi, in quanto il tempio era
stato legato a tutte le vicende più importanti di Vico Equense, fin dal XII
secolo”. Devo confessare che, a causa di questa introduzione così poetica sul luogo
dove siamo oggi, non potevo immaginare di realizzare questo evento che qui. Per
questo, ho voluto leggervi l’incipit del romanzo, proprio per raccontarvi di
persona questo tributo alla città di Vico Equense. Grazie e buona serata.
Salvatore
Ferraro, Accademico Pontaniano
Buona sera. Mi dispiace solo che non sia ancora
arrivata la carissima Violetta Elvin, con la quale colloquio da circa
sessant’anni. Questo è un luogo carismatico per noi Vicani. Qui abbiamo
vissuto, siamo stati con tanti amici, con don Mario Buonocore, e, nella chiesa,
abbiamo celebrato tante funzioni. È un luogo a me caro, perché l’ho vissuto
quasi ogni giorno, per circa ottant’anni. E’ un luogo prestigioso, lo ricordava
già prima Nuzzo, citando una delle pagine più belle di Raffaele Lauro. Ci
troviamo, quindi, in un luogo affascinate, non per niente un pittore russo,
conterraneo di Violetta Elvin, l’ha reso famoso in tutto il mondo. Quel pittore
si chiamava Sil’vestr Ščedrin, morto a Sorrento, il quale, duecento anni fa,
dipinse varie volte questa cattedrale, ormai diventata il logo di Vico Equense,
come ricordava anche il sindaco. “Dance The Love - Una stella a Vico Equense”, un
libro eccezionale questo di Raffaele Lauro, la terza opera de “La Trilogia Sorrentina”.
Ma Raffaele ne ha scritte tante di opere. E’ un’opera a lungo meditata. Io e
l’amico Riccardo Piroddi siamo stati coinvolti in questa operazione da Raffaele
e, per questo, lo ringraziamo. Abbiamo fornito notizie, abbiamo dato spunti,
abbiamo ricordato tutte le vicende di questo paese, perché il libro è, sì,
dedicato a Violetta Elvin, ma è anche un romanzo dedicato alla città di Vico Equense,
perché è la terra degli antenati di Raffaele, i quali qui nacquero e da qui
partì sua madre Angela, a noi tanto cara, viva nel nostro ricordo, procedendo
verso Sorrento, Sant’Agnello, Sant’Agata e, poi, Roma. È un romanzo dedicato
alla ancora oggi affascinate ballerina russa Violetta Prokhorova e, poi, come
vi spiegherò, oggi ricordata come Violetta Elvin, in quanto, quando abbandonò
la Russia per andare in Inghilterra, il suo nome era un po’ complicato da
pronunciare per gli inglesi, che la convinsero a chiamarsi Elvin. Noi siamo
grati a questa donna, che è venuta qui sessanta anni fa, ha scelto questa terra,
anche se per caso. La Tyche greca, a voi ben nota, ha agito in questa scelta.
Violetta conosceva bene l’Italia, era nata, come abbiamo detto, novantatre anni
fa, a Mosca, ha vissuto lì per una ventina di anni, poi, è andata in
Inghilterra, per una decina di anni e, infine, è giunta nella nostra Vico
Equense. Con ritardo, e di questo non voglio incolpare nessuno, Vico Equense
rende onore a questa donna, ma, soprattutto, alla magia narrativa di Raffaele Lauro,
grazie al quale tributiamo un significativo omaggio a lei, con questo bel
romanzo, che sarà, poi, presentato in altre località d’Italia e, successivamente,
anche all’estero. Un omaggio tardivo, ma solenne e sentito. Noi stiamo
aspettando l’arrivo di donna Violetta, la quale ha i suoi ritmi, rimasti quelli
del suo tempo di artista. Ha le uscite in determinate ore del giorno. Procede
per la città in silenzio e nessuno immagina cosa ci sia dietro questi novantatre
anni: una storia ricchissima, che Raffaele Lauro ha narrato, anche se non ha
potuto narrare tutto, perché, ovviamente, alcuni eventi avevano natura privata,
legati alle vicende dell’Unione Sovietica. Il periodo, infatti, più difficile
per Violetta, è stato quello dei primi vent’anni della sua vita, coincidenti con
parte del regime stalinista. Ad ogni modo, nel libro, lei dichiara di essere
grata anche a Stalin, il quale le diede il permesso di espatriare, dopo aver
sposato, in prime nozze, un addetto dell’ambasciata britannica a Mosca. Sorridendo,
ha, poi, raccontato di aver ballato sulla testa di Stalin, in quanto, sia
Hitler che il dittatore russo si nascondevano in bunker sotterranei, privi di
luce, costruiti sotto i teatri d’opera. Violetta ha istaurato, per tanti anni,
con noi Vicani, un legame interiore profondo, un legame di passione, di luce.
Ha dovuto, ovviamente, fare tante rinunce, ma l’amore per questa terra, per il
marito Fernando, che noi ricordiamo con affetto, è stato intenso, sbocciato per
caso. Lei ricorda la prima volta che venne a Vico Equense, un paese che si
riprendeva dalla guerra. Era giunta qui per una breve vacanza, per riposarsi dalle
tournèe, e sostò all’Hôtel Aequa. Dopo questa prima venuta a Vico Equense,
Fernando Savarese, con il suo charme e la sua amabilità, riuscì a catturare
questa donna e il loro legame fu duraturo, mai interrotto e giammai rinnegato.
Una vita vissuta e poco conosciuta a Vico Equense, senza clamore, con
atteggiamento quasi claustrale, discreto, nella propria dimensione familiare,
con la sensibilità di una grande ballerina, protagonista della danza mondiale,
che ha girato tutto il mondo, ha conosciuto molto bene l’Italia, ha vissuto le
luci della ribalta, gli applausi, poi, si è ritirata e Vico, in una terra
straniera che, comunque, l’ha protetta e rispettata con discrezione. Violetta Prokhorova
rimase subito affascinata da questi luoghi, i quali, allora, erano forse più
belli di oggi. Vico Equense era ricca, piena di turisti, una Vico che io
ricordo con piacere. Sono passati gli anni, qualcosa si è perduto, il paesaggio
è sempre bello, anche se ha subito delle ferite. Violetta si è innamorata dei nostri
luoghi, della Marina d’Aequa, delle borgate, dei casali. Gli incontri con lei,
per me, sono sconvolgenti, perché è capace di riflessioni eccezionali, acute e
aggiornate, e questo dimostra una sua capacità mentale notevole, un vero pregio.
Raffaele Lauro, in circa quattro incontri, tenuti eccezionalmente a Palazzo
Savarese, ha costatato bene la ricchezza della sua vita, una vita intensa, tra Mosca
e Londra, e, poi, una vita silenziosa, appartata, preservata, schiva, qui a Vico
Equense, dove tutti la conoscono e la indicano quando passa per strada, rimanendo
sorpresi del suo portamento, della sua grazia e della sua amabilità. Chi leggerà
questo romanzo rintraccerà le complesse vicende storiche e umane che le hanno
permesso di viaggiare per tutta Europa, fino all’approdo a Vico Equense. Questa
terra Violetta già la conosceva, sia perché suo padre le aveva raccontato varie
cose italiane, sia perché lei, in Italia, durante le tournèe, aveva visitato
musei, gallerie e, quindi, conosceva bene la pittura italiana, la grande pittura
fiorentina, umbra e romana. Non avrebbe mai pensato, comunque, che sarebbe
venuta a vivere proprio qui. Lei che
aveva incontrato, a Londra, il grande coreografo Massine, ritrovandolo, poi, qui,
sulle isole Li Galli. In una pagina del romanzo ha detto delle cose molto
belle: la Russia è stata la patria della sua nascita, dell’infanzia, della
giovinezza, della formazione professionale al Teatro Bol’šoj. L’Inghilterra è stata
la patria della sua maturità artistica, dei successi, dei trionfi, degli
incontri con grandi coreografi, con grandissimi ballerini. L’Italia, infine, è
stata la patria del suo vero amore, della sua lunga vita, della sua vicenda di donna,
di moglie e di madre, vissuta nell’intimità familiare, nella serenità, nella
discrezione e nella sobrietà. Violetta ha avuto tre passaporti: russo, inglese
e italiano. Alla domanda posta di quale nazione si sentisse maggiormente
cittadina, ha sempre risposto di sentirsi cittadina del mondo, perché la danza
è un’arte eccezionale, che trasforma gli artisti in cittadini del mondo. Lei è
vissuta in un’epoca di grandi ballerini, il libro è pieno di notizie sui
danzatori, sui coreografi, sui maestri di ballo, sui musicisti, sui
compositori, sugli scenografi, non per niente c’è un indice corposo di sessanta
pagine, dove ognuno può rintracciare tantissime informazioni sulla storia del
balletto mondiale. Come era già avvenuto per agli altri romanzi de “La Trilogia
Sorrentina”, “Sorrento The Romance - Il conflitto, nel XVI secolo, tra
Cristianesimo e Islam” e “Caruso The Song - Lucio Dalla e Sorrento”, anche
questo è il risultato di una lunga meditazione, di una puntuale ricerca e di
approfondite indagini storiche. Io e Riccardo Piroddi siamo stati coinvolti,
abbiamo lavorato con tutta la moderna tecnologia, fax, email, fotocopie, in
modo che la documentazione fosse quanto più ampia possibile. Poi, le interviste
live a donna Violetta sono state affascinanti e hanno permesso all’Autore di cogliere
tanti eventi sconosciuti e mai rivelati alla stampa. Vorrei ricordare un
personaggio che mi ha tanto colpito: nella sua vita, Violetta è stata molto
legata al padre Vasilij, di cui il figlio Antonio Vasilij porta il secondo nome.
Un personaggio che mi ha incuriosito. Aveva sposato la madre di Violetta, molto
più giovane, era stato orfano ed era stato cresciuto dagli zii. Ingegnere,
inventore, anche automobilista, pilotava gli aerei, pilotò un aereo da Parigi a
Mosca, era cacciatore, suonava il pianoforte, giocava a scacchi. Un uomo
geniale e creativo. E’ chiaro che il padre le ha trasmesso molto. Vedo caratteristiche
in lei che appartenevano a suo padre, qualità che, poi, ha sviluppato e ampliato.
Non beveva alcol, era ortodosso, la fece battezzare di nascosto, da un prete
cattolico, sfidando il regime sovietico. Ma la cosa più importante è che suo
padre le trasmise, fin da piccola, l’amore per l’arte e per la danza, portandola,
spesso, al Teatro Bol’šoj. Un uomo eccezionale, ripeto. Anche della madre Irena,
ricordo con piacere la venuta in Italia e il dialogo con la figlia su dove mai fosse
capitata, in quanto non era riuscita a trovare Vico Equense sulle carte
geografiche russe. Fernando e Antonio la accolsero a Vico e anche lei ne rimase
affascinata. Una famiglia interessante, vicende storiche molto affascinanti. Tutto
questo è il romanzo di Raffaele Lauro. Grazie.
(Nel corso dell’intervento del professor
Ferraro, arriva Violetta Elvin, accompagnata dal figlio Antonio Vasilij Savarese,
salutata da una standing ovation delle autorità e del numeroso pubblico
presente)
Angela
Barba, Docente di Materie Letterarie
Innanzi tutto, il mio saluto ai presenti e a
tutti voi che siete intervenuti, dal direttore del Social World Film Festival,
Giuseppe Alessio Nuzzo, al sindaco Andrea Buonocore, a cui mi lega un rapporto
di antica amicizia, a donna Violetta Elvin, la stella brillante, scintillante
di questa serata, arrivata tra noi, e a Raffaele Lauro, il quale ogni volta mi
propone di parlare delle cose che amo, dei libri, della letteratura e, quindi,
accetto sempre con grande gioia queste sfide che mi lancia. Dunque, le
riflessioni su questo romanzo avvincente, appassionante, a tratti anche
commovente, a partire dal titolo, che contiene due parole chiave, importanti,
significative: la danza e l’amore. I due poli tematici dell’opera. Un romanzo
da inserire ne “La Trilogia Sorrentina”. Un romanzo che chiude la trilogia di
Raffaele Lauro, dopo “Sorrento the Romance - Il conflitto, nel XVI secolo, tra
Cristianesimo e Islam”, ricostruzione del sacco turco di Sorrento del 13 giugno
1558, e il successivo, “Caruso The Song - Lucio Dalla e Sorrento”, dedicato al
legame cinquantennale di Lucio Dalla con Sorrento. “Dance The Love - Una stella
a Vico Equense”, un titolo complesso, che si può interpretare in tanti modi,
perché queste due parole sono legate l’una all’altra, implicano l’una l’altra:
la danza che genera l’amore, l’amore che è espressione della danza. Sicuramente,
c’è una simbologia ricorrente nella narrativa di Raffaele Lauro ed è quella
dell’Universo Amore. Ne abbiamo più volte discusso insieme, così come quella dell’Eros
e del Thanatos, le due facce della stessa medaglia, l’amore e la morte, l’arte
e la vita, il tempo, come limite, nel suo rapporto con la dimensione
dell’eternità. Altro nucleo tematico è quello legato alla centralità della
figura femminile, l’archetipo femminile, che nei romanzi di Raffaele è sempre
presente. La donna madre, figlia, sposa, sorella, madonna, la donna a cui Raffaele
attribuisce una funzione salvifica, soteriologica. Una donna che salva il
mondo, che è sempre creatura feconda, che genera e che dà la vita. Un tema che
io apprezzo molto in questa trilogia di Raffaele, l’amore per la donna, la sua
capacità di raccontare le donne, di tracciare una storia delle donne. Un’altra
costante dei romanzi di Raffaele, lo diceva bene il professor Ferraro, è
l’intreccio tra microstoria e macrostoria. La vicenda di Violetta Elvin, che
copre il secolo breve e si proietta nel XXI, è locata in un contesto storico,
politico e ideologico, che viene ricostruito con scrupolo, con rigore
documentario. Il genere stesso è, di per sé, un ibrido, una biografia, una
biografia romanzata, che presenta i tratti del romanzo storico, con inserti
lirici, come il finale straordinario del sogno, anch’essi una caratteristica
dei romanzi di Raffaele. L’Autore racconta i tre tempi della vita di donna
Violetta: il tempo russo, moscovita, quello inglese e quello italiano e vicano,
con una dovizia di episodi, di cui rimando a voi lettori, perché è una scoperta
continua di vicende, di incontri, a partire dagli anni moscoviti, gli anni di
Via Arbat, dei genitori straordinari, la madre Irena, l’eclettico padre
aviatore, inventore, appassionato di arte rinascimentale, che impregna sua
figlia di questa passione che lei porterà sempre con sé. La ricostruzione del
background culturale di Violetta, negli anni durissimi della formazione alla
scuola del Teatro Bol’šoj, l’incontro fondamentale, a Mosca, con il primo marito
Harold Elvin e il viaggio verso la libertà, un viaggio segnato da incontri insospettabili.
Mi ha colpito l’episodio della partita a scacchi con il compositore Šostakovič,
la conversazione, a Helsinki, con l’architetto Aalto, sul tema del genio creatore
di Leonardo e, ancora, per quanto riguarda gli anni del Royal Ballet, a Londra,
gli incontri con i grandi protagonisti della danza mondiale, a partire da
Ninette de Valois, la mentore di Violetta, Margot Fonteyn e tutta la vicenda
della presunta rivalità, inventata dalla stampa, Sir Frederick Ashton, il quale
svolge una funzione fondamentale, Léonide Massine, che Violetta rincontrerà nella
bellissima costiera amalfitana. E, poi, l’incontro con Vico Equense, all’inizio
degli anni Cinquanta, e con Fernando. Lì comincia la vicenda che porterà Violetta
ad operare quella che, nel romanzo, viene definita la scelta per amore, che
apre e inaugura il terzo tempo della sua vita. Il tempo della discrezione, del
silenzio, della presenza elegante, che ha segnato i nostri luoghi e che arriva
fino ai nostri giorni. Vi esorto a leggere questo romanzo perché le vicende narratevi
ci fanno capire la grandezza straordinaria di questa storia, una vicenda che ha
un valore paradigmatico, esemplare. La chiusura del libro, poi, è legata al
tema letterario del sogno, un momento in cui il passato si salda con il
presente. L’antico sogno di Violetta di tornare a calcare il palcoscenico del Teatro
Bol’šoj per danzare “La bella addormentata”, si ripropone in una notte magica,
incantata, in un notturno lunare che è quello che tra un po’ ci avvolgerà e ci
sorprenderà. Rapidissimamente, condivido con voi degli spunti che mi hanno
particolarmente commossa e toccata, utilizzando proprio le citazioni del
romanzo. In un punto, si parla di una conversazione tra Violetta e il partner
Ugo Dell’Ara, al Teatro alla Scala, agli inizi degli anni Cinquanta, sulla
filosofia della danza. Credo questa sia una chiave di lettura del romanzo importante,
perché la danza viene definita offerta di sé, fonte di energia, forza vitale
del proprio corpo, da esprimere sempre, senza abbassamenti di tensione, nelle
prove, nella prima, nelle repliche e, finanche, nella vita. Questa filosofia
della danza ha segnato, improntato l’intera esistenza di Violetta Elvin. Mi ha
colpita anche il tema dell’amore, l’amore per la danza, rimando sempre al
titolo. Quando il sentimento reciproco tra Violetta e Fernando, a Londra,
comincia a svelarsi e a farsi strada, come si legge nel romanzo, “quell’amore
era pronto a fare scelte radicali, prima di allora neppure immaginate, come
rinunziare persino al successo, agli applausi, alla fama, all’arte, nel convincimento
che una bella storia d’amore rappresentasse, essa stessa, per chi la vive,
un’opera d’arte”. Quell’amore, ancora Raffaele scrive a proposito dell’amore tra
Violetta e Fernando, fu un atto di follia creatrice. Una definizione bellissima,
in quanto l’Autore riconosce questo sentimento come complesso e necessario
nella vita di ognuno di noi. Una follia creatrice, che fu premiata. In un altro
colloquio, tra Violetta e Sir Ashton, ospite a Vico, il coreografo inglese, affermando
che Violetta avesse lasciato un grande amore, quello per la danza, per un amore
ancora più grande, quello della vita, dice, e penso che queste parole dovremmo
portarle con noi: “La felicità è come un treno che passa. Se non sali in tempo
perché sei distratto o pensi ad altro, il treno non torna più. Tu, Violetta,
sei salita su quel treno della felicità in tempo, a differenza di tanti altri,
di tutti noi”. Riconosce a Violetta questo tempismo, questa capacità di operare
una scelta e di farlo con grande coraggio e con grande consapevolezza, senza
rammarico. L’altro vero protagonista di questo romanzo è Vico Equense e da
vicana mi sono ritrovata in queste pagine, dedicate alla nostra terra,
riconoscendo il genius loci vicano, la malia dei nostri luoghi, che il sindaco metteva
bene in evidenza, quella patria del vero amore di Violetta, della lunga vita,
della vicenda di donna, di moglie e di madre, vissuta nell’intimità familiare,
nella serenità, nella discrezione, su cui dovremmo riflettere in un epoca in
cui la volgarità, le urla, l’esibizione, l’ostentazione e il protagonismo narcisistico
la fanno da padrone. Si deve vivere con stile. Lauro fa dire a Violetta che si
può morire con stile. Questa è una sentenza sulla quale meditare. Lo stile, con
tutto quello che questo concetto implica. Dicevo, la penisola, la sua malia, il
fascino dei nostri luoghi. Ci sono descrizioni paesaggistiche su cui l’Autore
indugia, che accarezza con lo sguardo di chi ama. Mi ha colpito molto quello
che la madre Irena dice a Violetta nella prima visita in Italia: “Certo, tra la
libertà, l’amore e la bellezza tu non hai dovuto scegliere, perché hai trovato
tutto insieme”. La danza e l’amore, questi due poli tematici sui quali stiamo
incentrando questa nostra conversazione. La danza è arte e l’arte è una
componente fondamentale nella vicenda umana e artistica di Violetta. Sempre in
questo dialogo madre-figlia, che ho trovato uno dei momenti più emozionanti del
romanzo: Irena chiede alla figlia se i suoi occhi sarebbero stati in grado di
reggere a tanta meraviglia, a tanta abbacinante bellezza. Violetta risponde:
“Non mi è dato sapere, né mi interessa sapere. La mia parabola è stata intensa,
quando ho dedicato la vita all’arte e all’amore”. A valori assoluti, quindi,
atemporali. Il fattore tempo perde il suo profilo condizionante, il suo tratto
nemico. Chi vive d’arte e di amore è come Tosca, vive già nell’eterno. Questo è
un altro passaggio bellissimo, un altro filo rosso del romanzo: l’arte di
vincere il tempo limite per superare quella cesura che è data dalla morte.
Violetta, una musa cosmopolita, che ha affascinato il nostro autore, innescando
la sua capacità affabulatoria. Violetta come sintesi di danza, di arte, di
amore e di bellezza. Violetta come ponte, pontifex. Questa è un’altra immagine
utilizzata nel romanzo. Questo ponte tra le culture, questo dialogo
interculturale, che Lauro ricerca costantemente nelle sue opere. Nella
bellissima conversazione telefonica tra Violetta e Zarko Prebil, in occasione
del novantesimo compleanno di Violetta, viene utilizzata proprio questa
immagine, perché Zarko dice: “Il bilancio della tua vita si può sintetizzare in
due parole, danza e amore”, insistendo su questa diade. “Tutta la tua vita è
stata ed è un messaggio di amore, di tolleranza, di dialogo tra culture, tra
mondi diversi. Sei stata una messaggera d’amore, sei stata un ponte, e la
bellezza della tua storia è che all’amore per la danza hai sostituito l’amore
per la bellezza della natura e per un uomo, il tuo Fernando. Un amore perfetto,
che non avevi mai raggiunto e che inseguivi sempre, e la bellezza di questa
storia è tutta in questa scelta. E’ vero che lasciasti un’arte che amavi tanto
ma, dall’altro lato, amavi e rispettavi un uomo che ti ricambiava totalmente.
Amare sinceramente una persona, senza fare compromessi, senza dover inseguire
il tempo da condividere insieme, può diventare un’opera d’arte. Ci vuole
coraggio e non tutti abbiamo avuto questo coraggio”. Il tema della storia
d’amore come esperienza che fa scaturire una fortissima energia creatrice. Mi
soffermo rapidamente sullo stile. In una discussione avuta con Raffaele qualche
giorno fa, mettevo in evidenza come il suo sia, per me, uno stile
multisensoriale, che stimola tutti i sensi, tattile, olfattivo, acustico. Che
sia un abito, il Balmain, o le note di Arpège di Lanvin o la serica freschezza
di una sciarpa rossa di seta o l’olezzo delle rose bianche, che Violetta Elvin
ama moltissimo, o dei frutti freschi, imbanditi nel pranzo a Palazzo Savarese,
in occasione della prima visita di Violetta alla famiglia di Fernando, o che
sia l’immagine del mare, illuminato dal sole, o di un tramonto a mare o di una
notte, che Violetta può contemplare dal terrazzo di Palazzo Savarese, o il
rumore delle onde, che si infrangono sulla battigia de Le Axidie. C’è una scena
bellissima della danza leggera di Violetta, naiade marina, sulla sabbia de Le
Axidie, quando Fernando la vede, la scorge, per la prima volta, in una sorta di
epifania. Oppure il rumore della natura sul Monte Comune, in cui, in una sorta
di estasi panica, Violetta ha una premonizione, un’intuizione della vita che l’attende.
La capacità dell’Autore di saper descrivere e di saper ricreare, attraverso la parola,
questi luoghi. Componente fondamentale della sua scrittura, quindi, è sempre la
capacità tattile di evocare situazioni, paesaggi, luoghi. Questo è un romanzo a
passo di danza, “Dance The Love”, realizzato da Raffaele e Violetta, utilizzando
due linguaggi artistici, diversi, pur nell’alveo comune dell’arte, un pas de
deux, volteggiando entrambi. Isadora Duncan diceva che la danza è movimento
dell’Universo, condensato in un individuo. Violetta ha incarnato questo
movimento dell’Universo, incarna ancora questa danza. Io ero bambina e la
ricordo emergere dal mare de Le Axidie, mentre si avvolgeva in quell’accappatoio
bianco, una scena impressa nella mia memoria. L’Autore, ancora una volta, ha saputo
rendere, attraverso la sua scrittura, il ritmo della vita. Ancora questi due
poli: la danza è ritmo, la vita è ritmo, il battito del cuore è ritmo vitale. Tutta
l’opera di Raffaele Lauro e questo romanzo in particolare, sintetizzano come
una laus vitae, come una lode alla vita, un respiro di vita, soprattutto se resa
feconda dalla bellezza, dalla cultura, dall’arte e dall’amore. E’ un cerchio
perfetto, penso a “La danza” di Matisse, in cui tutto si armonizza, un cosmos
armonico, in cui il tempo limite è la morte, temi che Lauro affronta,
costantemente, nelle sue opere e che non hanno mai il sopravvento sulla componente
vitale e solare. Universo Amore, per l’appunto. Grazie ancora.
Raffaele
Lauro, Scrittore
Se avessi dovuto scegliere un luogo per
presentare questo terzo romanzo della mia trilogia sorrentina, come hanno
ricordato i relatori, atto d’amore verso la mia terra d’origine, non avrei
potuto scegliere altro. Eppure, di luoghi incantati, da Sorrento a Massa
Lubrense, lungo la costiera amalfitana, fino a Capri, credo ce ne siano tanti. Questo
luogo, però, che io definisco il luogo sacro della memoria dei Vicani, sia dal
punto di vista civile che dal punto di vista religioso, è il più
rappresentativo per celebrare, non solo una donna straordinaria, ma anche una
terra straordinaria, una terra meravigliosa. Se avessi dovuto scegliere una
donna rappresentativa del mio archetipo femminile, il quale, come ha ben
ricordato Angela Barba, domina tutta la mia opera narrativa - come ho sempre affermato,
senza volere strappare gli applausi delle donne, considero la donna l’unica
strada per la salvezza del mondo - non avrei potuto scegliere che donna
Violetta. Ho avuto il privilegio, l’onore di incontrarla. Ha condotto una vita
riservatissima e mi ha permesso, attraverso delle conversazioni, di conoscere
il suo universo mondo. Ecco perché, la dedica a lei, che è stata citata, non è
una dedica formale, è una dedica di sostanza, perché donna Violetta,
effettivamente, mi ha fatto scoprire l’amore per la libertà. Tutta la sua vita
è un inno alla libertà e non soltanto perché lasciò l’Unione Sovietica, il
regime stalinista, e arrivò nell’Inghilterra
del dopoguerra, governata, dopo Churchill, dai laburisti. Non soltanto per
questo, piuttosto perché nella sua vita di artista, nella sua vita di donna, ha
operato scelte di libertà. Angela Barba, nel suo prezioso intervento, ha colto
il segno di quello che tentavo di descrivere. La scena su Monte Comune, in cui
donna Violetta guarda, dall’alto, lo strapiombo dei Monti Lattari verso la Punta
della Campanella, che si immerge, poi, nelle acque e riemerge con l’Isola di
Capri, è una scena panica, primordiale. Il cratere dove si è creato il grande
vuoto, riempito, poi, d’acqua marina, origine del Golfo di Napoli, è il ventre
della madre, è il ventre dell’Alma Mater. Quella visione di donna Violetta l’ho
immaginata, pur interpretando il suo amore per la natura, non come un estetismo
decadente, non come paesaggismo, ma come consapevolezza di ciò che la natura ci
dà e che della natura va rispettato. Quindi, se avessi dovuto scegliere un
luogo, stasera, per chiudere la mia trilogia, e una donna che fosse la
rappresentanza più alta del mio archetipo femminile, che domina tutta la
trilogia, anche “Caruso The Song”, con Lucio Dalla, il suo amore per la madre e
il suo legame edipico con ella, non avrei potuto operare scelte diverse. Grazie,
donna Violetta! Tutto quello che avrei potuto scrivere, l’ho scritto nel libro.
L’amore per la libertà e l’arte della danza, la bellezza e il rigore. Il rigore,
in un paese che non ha più rigore, dove i politici non hanno più rigore, i
medici non hanno più rigore, gli amministratori non hanno più rigore. La danza,
come diceva Massine, un grande coreografo, che le insegnò il rigore e le impose
disciplina ferrea, per consentirle di sostituire, in pochi giorni, Margot
Fonteyn ammalata, e trionfare, nella prima de “Il cappello a tre punte”,
all’Opera House di Covent Garden. Vorrei fermare il tempo, stasera! Il silenzio
ci vorrebbe, come auspicava prima il sindaco. Devo ricordare, donna Violetta, i
nostri incontri, il suo garbo, la sua delicatezza di offrirmi il the. Devo ricordare
il modo con cui mi chiedeva di intervallare le nostre conversazioni, cioè la
grazia, la bellezza, a novantatre anni, abbiamo il coraggio di dirla questa età!
Una donna straordinaria, la quale, quando salivo le scale di Palazzo Savarese, quasi
sospinto da Riccardo, perché quelle scale sono molto erte, non per lei ma per
me, lei, dal ballatoio più alto, mi raccomandava: “Senatore, vada piano!”. Una
scena da film. Quasi comica. La signora ultranovantenne che dall’alto mi
invitava a salire piano per non affaticarmi! E’ stata richiamata da Siniscalchi
la mia dedica: l’amore per la libertà, l’amore per la danza e l’amore per la
vita. Ma anche l’amore per Vico Equense, ricordato dal professor Ferraro. Lei
stessa mi ha dato la chiave di lettura del romanzo, quando mi ha detto: “Nel 1951,
sono arrivata qui e sono rimasta stupita dal fatto che, in uno spazio così
limitato, ci fosse tutto ciò che la natura può produrre di bello e meraviglioso.
Una montagna alta, con una vegetazione straordinaria, delle colline, dei borghi
stupendi, un piano, questi palazzi, che sembrano arrivare fino all’orlo della
costa, questa cattedrale, che li ferma e non li fa precipitare, questa costa,
che pare una cattedrale gotica, questo mare, questi tramonti. In tante parti
del mondo ho visto spettacoli naturali di grande bellezza, ma tanti elementi,
così complessi, racchiusi in uno spazio limitato, non li ho mai visti!”. Lo
dico a voi Vicani, seguendo l’esempio di donna Violetta: amate la vostra terra,
difendetela e proteggetela, perché questa è l’unica ricchezza che potete ancora
tutelare. Chiudo, per dare di nuovo la parola al sindaco, dicendo che l’altra
notte navigavo su internet e ho trovato, su un quotidiano nazionale on-line, le
immagini della partenza dell’imperatore del Giappone Akihito e dell’imperatrice
Michiko, verso la loro residenza estiva nel nord del Paese, su quello che viene
definito il bullet train, il treno proiettile. La tenerezza di quelle scene rivela
qualcosa di incredibile: i dignitari impettiti, l’imperatore affabile,
considerato un dio in terra, e l’imperatrice, accanto all’imperatore, simbolo
di una semplicità assoluta. Io adoro l’imperatrice del Giappone e io ho visto
in lei, nei gesti di Michiko, i gesti donna Violetta. Ho pensato: Michiko è
donna Violetta! C’è, tra l’altro, un legame con l’imperatrice. Anche lei ha studiato
a Firenze, anche lei conosce il Rinascimento, come lo ha conosciuto donna
Violetta, attraverso le rappresentazioni che il padre Vasilij le sottoponeva. Voglio
soltanto dire, poiché lo avevo promesso e desidero farlo, anche se sfioro una
sfera affettiva delicatissima della vita di donna Violetta. Tutti hanno parlato
di Fernando, della famiglia Savarese, una delle grandi famiglie dalla Penisola Sorrentina.
Ebbene, io voglio ricordare un amico carissimo di donna Violetta, scomparso
solo un mese fa. Questa sera sarebbe dovuto essere qui per presentare il mio
libro: Zarko Prebil, grande ballerino, che ha studiato al Teatro Bol’šoj, poi, è diventato primo
ballerino in parecchi teatri, étoile e coreografo, ha preparato decine di
giovani danzatori. Zarko Prebil è stato il filo conduttore che ha consentito a
donna Violetta di rimanere a Vico, di ritornare, quando voleva, a Londra, e di
non perdere mai il suo legame col mondo della danza, perché Zarko Prebil era il
suo informatore, colui il quale le riferiva le novità, le raccontava degli
ultimi artisti. La loro amicizia è stata anche un modo per donna Violetta per
dare continuità, non solo all’amore ma anche alla danza come amore. Grazie a
tutti.
Andrea
Buonocore, Sindaco di Vico Equense
A nome mio e dell’Amministrazione Comunale di
Vico Equense, che presiedo, della città che rappresento, dono questa targa a
donna Violetta. In essa sono racchiusi i sentimenti di stima e di affetto che
la città, oggi, attraverso il libro del senatore Lauro, le tributa, perché lei
ha reso grande, ha contribuito a rendere grande la nostra città. Lei, oggi,
vive una vita discreta, silenziosa, una vita ritirata e non rifugiata, come
diceva il senatore. Noi le auguriamo lunga vita, le auguriamo tutto il bene, le
auguriamo di poter arricchire ancora, con la sua presenza, la nostra città.
Voglia gradire, donna Violetta, questa targa, a nome mio e del direttore del Social
World Film Festival, nell’ambito del quale, a pieno titolo, questa manifestazione
rientra. Voglia riconoscere, in questa targa, l’affetto e la stima che ogni
cittadino vicano, di ogni tempo e di ogni epoca, rivolge alla sua degna
persona: “A Violetta Elvin, stella luminosa della danza mondiale e donna
straordinaria, il cui pluridecennale legame affettivo con Vico Equense viene
oggi celebrato dall’intera comunità. Con profonda ammirazione e gratitudine, il
Sindaco e l’Amministrazione Comunale”. Grazie.
Violetta
Elvin
Grazie. Io volevo dire due parole, però, adesso,
sono rimasta senza fiato. Sono state dette tante cose bellissime su di me. Ne sono
molto onorata, anche perché, tutto ciò è accaduto di fronte a questo monumento
secolare, che ho amato molto, insieme con mio marito. Il professore aveva
ragione, la bellezza di Vico Equense è qualcosa di straordinario. Quando ho
inviato il telegramma a mia madre, questa potrebbe sembrare una storia naif,
dopo essermi trasferita a Vico Equense, avendo lasciato l’Inghilterra, le ho
scritto: Mamma, ho lasciato Londra e adesso vivo nel Golfo di Napoli, a Vico
Equense. Il giorno dopo aspettavo la risposta, ma non arrivava. Ho atteso
alcuni giorni, fino a quando, una sera alle 23.00, qualcuno bussò vigorosamente
alla porta di casa nostra. Fernando e io andammo ad aprire. Era il postino di
Vico Equense. Allora, a Vico, c’era solo un postino, che si chiamava Robertino.
Conosceva tutti e ci disse, con quell’accento così bello: Avvocato, c’è un
telegramma da Mosca. Io pensai che, se qualcuno aveva mandato, a quell’ora, un
telegramma, era successo qualcosa di grave. Aprii il telegramma e vidi scritto:
Dove sei finita? Ho guardato molti libri nelle librerie di Mosca. Non c’è Vico
Equense nel Golfo di Napoli! Voglio aggiungere che per me è stato ed è un
grande onore vivere qui. Sono imbarazzata per tutte le belle parole che sono
state dette su di me e di cui ringrazio il senatore Lauro, il sindaco
Buonocore, il direttore Nuzzo e i professori Siniscalchi, Ferraro e Barba.
Dobbiamo continuare a rendere omaggio a questo bellissimo golfo, perché non è
mai lo stesso. Di notte, se vado alla finestra, tutta Napoli brilla. Il golfo è
stupendo. Dobbiamo continuare ad amare questo luogo e renderlo sempre più
bello. Grazie, grazie a tutti i presenti!
Andrea
Buonocore Sindaco di Vico Equense
Adesso è doveroso ringraziare e omaggiare
Raffaele Lauro, il quale, con quest’opera, ha voluto elevare un monumento a
Violetta Elvin e, nello stesso tempo, a Vico Equense. Finalmente incominciamo a
parlare bene anche di Vico. Questo omaggio, che stasera offro al suo cuore, a
nome mio e dell’Amministrazione Comunale, sia il segno di riconoscenza, per lui
che ha voluto investire tempo, fantasia e capacità, per parlare bene di Vico. Infatti,
quanti leggeranno questo libro vi troveranno non solo l’elogio di una donna
meravigliosa, ma anche le lodi di un territorio unico nel suo genere, che, come
diceva donna Violetta, abbiamo tutti il dovere di difendere, di proteggere, di custodire,
di migliorare e di consegnare a coloro che verranno dopo di noi. Mi sia
consentito questo riconoscimento perché, grazie a questo libro meraviglioso, il
senatore Lauro ha celebrato la nostra Vico. Tutti noi, a partire dal direttore
del Social World Film Festival, ce la stiamo mettendo tutta e, ciascuno nel suo
piccolo, dobbiamo contribuire a parlare e a far parlare bene della nostra Vico
Equense. Grazie.
(Il resoconto integrale è stato curato da
Riccardo Piroddi)
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