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sabato 10 settembre 2016

Il bisogno di essere accettati e l’apparire

di Filomena Baratto

Vico Equense - Nell’era dell’immagine “apparire” è un dovere, “essere” un valore e pertanto non visibile, per cui la vista è uno dei sensi più osannato. L’era del click è assetata di immagini, di bello, credendo che questo dia emozioni, piccole turbolenze interiori con le quali misuriamo la nostra esistenza. Emozionarsi è quello che chiediamo oggi facendo confusione tra emozione, sensazioni e sentimenti e l’immagine ne procura, effimere o reali che siano. Da qui la mania di mostrarsi, farsi vedere, esserci con le immagini più belle del nostro repertorio. Metterci in mostra non basta, vogliamo un riscontro con un indice di gradimento. Tutto nasce dal bisogno di sentirsi accettati, ben voluti, amati. I like condensano questa esigenza nel modo più veloce e oggi sembra anche più facile riscuotere consensi con un’immagine. Per paradosso ci apprezzano le persone distanti da noi mentre quelle vicine sono distratte. E non importa quanto gli altri ci conoscano o meno, interessa che abbiano di noi una bella idea, anche solo esterna. Peccato che questo bisogno sia macroscopico nelle donne e minimo negli uomini. E’ una prerogativa femminile per un bisogno di conferme, di continue manifestazioni affettive. Sarà perché la donna invecchiando sente maggiormente il peso degli anni e assistere al suo sfiorire è la cosa più insopportabile, contrariamente all’uomo che invecchia meglio.
 
La vanità maschile si manifesta diversamente: l’uomo crede che il potere possa assurgere a fascino nel rapportarsi con le donne e fa poco caso al suo aspetto, non si preoccupa di calvizie, o muscoli che perdono tono, o pancetta debordante, crede che il potere valga più della bellezza. Anzi, retaggio di vecchie filosofie e tesi storiche e contro storiche, egli pensa che il suo fascino risieda altrove, nell’intelligenza, giusto quello che fa la differenza con l’altro sesso. In una donna, le stesse qualità vengono sempre dopo la bellezza. Una bella immagine femminile diventa esca ed è costume tutto maschile quello di soffermarsi sul bello e di ritenere la donna una provocatrice. E non ha tutti i torti, ma riprendiamo temi vecchi quanto il mondo, è il gioco dei ruoli e come tale dobbiamo tenerne conto. L’uomo crede nel potere non nella bellezza, vista come un aspetto principalmente femminile, tanto da credere che esse, prive di questo ornamento, perdano gran parte del loro valore. La tecnologia, oggi, accentua questo assioma facendoci credere che la femminilità sia il punto forza della donna mentre quello dell’uomo sia la forza fisica e mentale. E, mentre lei si affanna ad essere bella, da esasperare quelle che sono le sue forme e a combattere la forza di gravità, sua acerrima nemica, l’uomo la lascia in questa opportuna convinzione. Se togliamo le immagini di donne con cui tappezziamo i giornali, il web, la pubblicità e altro, resterebbe veramente poco su cui discutere e allora sì che dovremmo informarci e prepararci tutti, compresi gli uomini, per sopperire a questo vuoto. La bellezza femminile è un ricco contenitore, che si presta a molteplici interessi. Essa è un valore quando non la si ostenta, quando non è oscenamente mostrata come un trofeo. Difficile che si ammiri per quello che è, spesso si riduce a un mezzo per attirare. Nell’era dell’immagine chi si mostra e chi ammira sono entrambi bisognosi di attenzioni: l’una per il bisogno di conferma, per colmare insicurezze, facendo leva su aspetti tra i più fragili, l’ altro per il bisogno di catturare, anch’esso strumento di conferma. In ultima analisi abbiamo imparato anche a staccare la nostra immagine dal nostro “essere” e abbiamo capito che non conviene mostrarci per quello che siamo ma per quello che gli altri vedono di noi. Questo ci ripara e ci mette al sicuro, non ci scopre più di tanto e diamo la nostra immagine serena. Prelude anche alla paura della profondità, a dare agli altri noi stessi, a far capire chi siamo realmente come se questo smascherasse le nostre debolezze e ci ponesse al cospetto degli altri più nudi di un’immagine svestita. E mentre la donna ama mettersi in mostra, l’uomo mette in piazza la sua doppia personalità, arrivando anche a un doppio nome, doppia identità. Giochi di società per schivare giudizi, per elevarci al di sopra, per usare una parte sola di noi stessi. La mancanza di tempo di oggi non è altro che la difficoltà di rapportarci con gli altri, preferiamo nasconderci e confonderci in tanta bolgia. Anche l’eccessivo consumo di immagini può significare di mantenere le distanze, mantenere un’identità a mezz’aria, che se viene troppo approfondita ci mette a nudo. L’era dell’immagine produce tante isole in mezzo al mare dove il bisogno di affermarsi è più forte del bisogno di essere. Un aspetto inquietante soprattutto tra le più giovani, che non percepiscono a cosa vanno incontro, ma amano contare solo le preferenze, magari cadendo in depressione se mancano le conferme. L’era dell’immagine è dovuta anche alla stanchezza di educare i figli lasciandoli pascolare per il web, su Instagram, su qualsiasi rete per sopperire alle mancanze e alle aspettative con la richiesta del facile click. Ma veramente crediamo che gli altri ci amino così tanto? Chi lo spiega a questi ragazzi? Un abuso dell’immagine di se stessi è togliere attenzione al nostro essere puntando alla superficialità, lasciando alla pelle ogni tipo di relazione e diventando sempre più soli interiormente.

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